Verso la conclusione della campagna elettorale: considerazioni sulla situazione
Si chiude la stagione dei sondaggi, mentre la campagna elettorale entra nelle ultime settimane. Se si vuole credere alle rilevazioni e all’opinione di commentatori e politici in vena di sincerità ci si avvia – complice la crisi che sembra stia vivendo il Partito Democratico e l’ingombrante presenza del M5S – verso una situazione di stallo, con nessuno dei tre poli principali in grado di conquistare una maggioranza di seggi nei due rami del Parlamento, e quindi o verso grandi coalizioni, che però potrebbero scontrarsi contro i numeri, o verso inevitabili nuove elezioni.
Di elezioni e di prospettive postelettorali parliamo a dieci mani questa settimana.
I sondaggi raccontano spesso una versione della realtà molto lontana dai fatti, ed è un errore di ingenuità politica affidarcisi troppo. Prendendo i dati delle rilevazioni con le pinze, e assegnando loro un valore puramente indicativo, si possono comunque tentare dei ragionamenti di massima.
Il PD sembra avvitato in una crisi di consenso potenzialmente esiziale, prevedibile dati fattori tra cui cinque anni di ricette antioperaie da Third Way blairiana resuscitate dalla tomba della cattiva economia politica e complotti e intrigucci correntizi per mantenere tanto il potere di “gigli magici” che le rendite di chi con la crisi si è arricchito, uniti ad una strategia di campagna elettorale che eufemisticamente potremmo definire dilettantesca e coronata da candidature tragicomiche – la foto che circola sul web in questi giorni che ritrae Pierferdinando Casini mentre parla di fronte ai quadri di Gramsci, Togliatti e Di Vittorio potrebbe degnissimamente chiudere una storia dell’epopea del compromesso storico permanente che ha portato la maggioranza PCI ad approdare in qualche decennio all’Itaca PD – e alle tante figuracce à la Giachetti, cuor di leone delle candidature a giorni alterni. Chi ieri dava del perdente a Bersani potrebbe domani trovarsi a rimpiangere il risultato del 2013.
Un centrodestra fortemente tendente all’estrema destra continua la sua inquietante rimonta, ed è ora ad un passo e qualche collegio meridionale dalla maggioranza. Qui sul Becco non ci siamo mai accodati alla maggior parte dei commentatori, che davano la deplorevole accozzaglia postberlusconiana per morta una volta per tutte, e a posteriori i fatti sembrano darci ragione. Come ai tempi del Berlusconi premier il centrodestra fa da testa di ponte del neofascismo nostrano, con la sola differenza rispetto ad allora che ora non è più l’unico a far uscire certi soggetti dalle fogne.
A sinistra, mi sembra che si sconti una certa vaghezza nel progetto politico, già presente nell’ambiguo progetto del “Brancaccio”, naufragato contro il sempiterno scoglio dell’opportunismo. Liberi e Uguali, che si presenta con un programma di buone intenzioni e vaghe suggestioni neokeynesiane, ricorda da un lato la vecchia SEL, mentre d’altro canto – guardando alle candidature – sembra poco più di MDP sotto falso nome. Ben oltre LeU in sé, Fassina che elogia un candidato della Lega in quanto euroscettico ci parla dell’abbandono di ogni prospettiva di classe da parte di pezzi interi di sinistra, a vantaggio di un nichilismo per cui tutti i gatti sono bigi e per il quale, quando si tratta di considerare politicamente problemi reali, un approccio di estrema destra (disponibile) vale quanto un approccio di sinistra (da costruire).
Potere al popolo rappresenta forse l’unica vera sorpresa della campagna elettorale. Nonostante un programma che in più di un punto cede alla tentazione dello slogan facile e un profilo non chiarissimo su una serie di questioni cruciali, tra cui le prospettive in caso di ingresso in parlamento, Pap è sicuramente la più votabile delle liste “unitarie” post-Arcobaleno.
Tutto sta nel fregarsene delle accuse di minoritarismo e inutilità, prendendo l’appuntamento elettorale come un’occasione per coinvolgere e presentare una serie di istanze, impegnandosi a prescindere a dar loro gambe nella realtà quotidiana, e non come orizzonte ultimo e tremendo. Anche perché, dato il contesto, la cosa più sensata da fare è prepararsi alla prossima stagione di lotta.
La peggior campagna elettorale della storia repubblicana probabilmente arriverà alla sua degna conclusione con l’ennesimo governo non eletto. Questo potrebbe manifestarsi nella forma più probabile di una grande coalizione alla tedesca tra il polo di centro-sinistra e quello di centro-destra.
A meno di eventuali e improbabili disastri del PD o della Lega, i due poli, una volta raccattati i voti degli ultimi superstiti della Seconda Repubblica, andranno a convergere pur di eliminare l’instabilità politica tanto invisa ai mercati. Possiamo infatti scommetterci che vi sarà un accordo tra chi in questi anni si è alternato al potere, pur di non trovarsi entrambi all’opposizione. Se non riusciranno a convergere probabilmente arriverà l’ennesima bufera finanziaria per costringere a governi tecnici.
Insomma, siamo nelle mani dei cittadini elettori più che dei mercati, almeno fino a quando questi, sopraffatti dalla Sindrome di Stoccolma, non si lasceranno influenzare abbastanza da votare per gli stessi che in questi anni li hanno macellati in pieno stile europeista. Intanto ci godiamo il debitometro in piena campagna elettorale per vedere quanto è cresciuto il debito pubblico durante le nostre azioni della vita quotidiana in modo da autocensurarci in nome dell’austerità. Da quando ho iniziato a scrivere queste mille battute il debito pubblico deve aver subito un’impennata preoccupante per le generazioni a venire. Mea culpa, scippatemi pure la libertà di voto.
Finite le elezioni tutte le liste dovranno ringraziare e riconoscere l’impegno di chi ha portato avanti una brevissima campagna per queste politiche. La stampa e gli analisti ipotizzano l’assenza di una maggioranza chiara ed esaltano la capacità di Spagna o Germania nell’andare avanti a prescindere dai governi (…) sul piano economico.
Il capolavoro della sinistra italiana si ripropone, facendo più rumore un Casini sotto le foto dei “padri nobili della sinistra” (ma Renzi da dove viene?) che una (mancata) proposta di rottura che possa unire l’alternativa al centrosinistra.
Il cortocircuito del “capo” politico rende tutto ulteriormente surreale. Gentiloni conferma la sua disponibilità a un’iniziativa di una lista accreditata (per ora) sotto l’1% (con Prodi). Pisapia rimane un passo indietro con Tabacci abbracciato a Bonino. Il 5 Stelle si adatta a qualsiasi nuova suggestione scelga si abbracciare, del tutto incapace di produrre anticorpi, aprendo a ignote alchimie di coalizione futura. La destra riesce a non venire derisa, nonostante abbia tre candidati presidente/premier alleati come se non esistesse il 5 marzo.
LEU scommette su un buon risultato che le permetta di chiedere al PD di esautorare Renzi e creare un nuovo centrosinistra (anche se Fratoianni guarda più alla situazione Linke, ignorando evidentemente i rapporti di forza nella nuova formazione, sulla cui tenuta nessuno scommetterebbe più di un caffè, anche se in questo campo ogni 5 minuti le strategie mutano e tutto può essere).
Poi ci sono tutte le altre realtà, con Potere al Popolo come unica lista a cui sembra possibile superare il 3% ma isolata dai disastri dell’ultimo decennio e circondata da forte scetticismo (oltre che da una barbarie egemone).
Neppure la sordina imposta per legge alla pubblicazione dei sondaggi basterà a salvarci, visto che imperverseranno i soliti spacciatori di indiscrezioni su ippodromi e conclavi – una piaga, quella dell’elusione del divieto, contro la quale lo Stato dovrebbe agire senza paura.
Venendo al discorso politico, nel 2008 trovavo abbastanza folle che Veltroni e Berlusconi escludessero un governo di larghe intese post-voto, visto che quella sarebbe stata l’unica e obbligata strada in caso di non maggioranza al Senato. Poi nel 2013 le larghe intese furono fatte davvero: le contestò e le contesta chi voleva e vuole consegnare il Paese all’eversione del M5s. Al tempo il Presidente Napolitano lamentò come, rispetto agli anni della “Prima Repubblica”, i partiti avessero perduto la capacità di scendere a compromessi. Ora corre l’anno 2018 e purtroppo, invece di parlare di programmi, tocca sentir ripetere che si è contrari alle larghe intese e che – ci viene spiegato – nel probabile caso di mancata maggioranza bisognerebbe tornare a votare. L’obiettivo è, immagino, quello di fornire una pessima immagine della politica democratica e sfiancare l’elettorato fino a spingerlo su posizioni nazifasciste.
Certo, Forza Italia non è la Dc, ma se è per questo negli anni Settanta l’estrema destra non contava sulle cifre del M5s e Salvini, fatto che rende oggi imperativa la composizione di un fronte a difesa delle libertà costituzionali. Purtroppo il livello di estraniazione dalla realtà è tale che anche la candidatura di Casini (che su Europa e lotta al nazifascismo ha da anni le posizioni del Pd) appare uno scandalo.
L’impressione è che molti a sinistra vivano ancora nel mondo fatato in cui il No, lungi dallo spianare la strada alle estreme destre di varia lega, ha difeso la Costituzione del 1948 (che non è mai esistita, perché ancora non interamente applicata quando modificata per la prima volta nel 1963, ma questo loro non lo sanno). L’impressione è che pensino che il centrosinistra non va bene, il centrodestra non va bene, il M5s non va bene, le larghe intese non vanno bene, il governo tecnico non va bene, eccetera; senza spiegarci però come intendano realizzare un governo integralmente sovietico. (Senza considerare chi, come D’Alema, dice apertamente che lui le larghe intese le vuole e sta in politica solo per annichilire Renzi. Mi rifiuto infatti di commentare simili operazioni che considero esterne alla dignità politica.
Si potrebbe essere anche in parte d’accordo sul fatto che vincere le elezioni non è imperativo (ma potendolo fare, perché non provarci?): il Pci vinse solo le europee del 1984, eppure fu in grado per molti anni di condizionare l’azione parlamentare. Ma all’epoca perdere era una necessità dettata dalle costrizioni internazionali, e comunque proprio tali costrizioni tutelavano, sia pure in un rigido blocco, la permanenza in vita delle strutture democratiche. Oggi i blocchi non ci sono più e con essi sono rimossi alcuni ostacoli a un governo di sinistra; d’altro canto, in caso di sconfitta della sinistra oggi non vince la Dc, e neppure i liberali di Malagodi, bensì aperti proponitori di rastrellamenti e pulizia etnica.
Con la nuova legge elettorale, è molto complicato vincere ma è anche difficile perdere, paradosso di un compromesso fra forze politiche che puntano a restare a galla in parlamento anche se sconfitti nelle urne.
Chi quasi sicuramente non perderà è Berlusconi al quale va ancora una volta riconosciuta una intelligenza tattica notevole. Difficile infatti ipotizzare un prossimo governo senza di lui, sia che si vada verso un governo di larghe intese che verso una vittoria della coalizione di destra. Inutile dire che quest’ultima ipotesi sarebbe una catastrofe per le fasce più deboli: i migranti si troverebbero in un clima di odio istituzionale verso lo straniero che non si respira dai tempi del fascismo, i lavoratori vedrebbero le poche risorse pubbliche disponibili drenate da una delle misure più inique mai proposte in Italia, la flat tax.
Il PD, che non ha saputo dare una risposta di sinistra alla crisi, si trova in grave difficoltà. Credo che il suo calo di popolarità sia dovuto sopratutto alla tattica sbagliata di voler inseguire la destra sul tema del lavoro, della sicurezza e dell’immigrazione ma senza calcare troppo la mano: il PD con questa mossa (Jobs Act, timida reazione alla tentata strage di Macerata, controversa politica interna di Minniti, ecc.) ha perso molti voti a sinistra senza guadagnare più di tanto le simpatie dei moderati di destra (ad eccezione di pochi centristi come Casini e Lorenzin), ricompattati per lo più sotto il simbolo di Forza Italia.
Chi invece può permettersi di continuare a dire tutto e il contrario di tutto senza risentirne troppo dal punto di vista dei consensi è il sempre più inquietante Movimento 5 Stelle che però difficilmente potrà capitalizzare l’inspiegabilmente alto consenso che continua a riscuotere vista la sua natura settaria: è abbastanza curioso (ma a ben vedere perfettamente logico) che proprio la forza politica che ha usato lo spettro più variegato di argomenti politici, spaziando con nonchalance da promesse di sinistra a slogan di estrema destra, sia quella meno disposta ad alleanze con altre forze politiche. Sembra che sia proprio questa zoppicante illusione di purezza a costituire l’ultimo baluardo che tiene in piedi il castello di carte grillino.
La sinistra è come al solito quella più difficile da commentare. Di Liberi e Uguali è difficile capirne la proposta: antirenzismo fine a se stesso o reale alternativa di sinistra? Mossa tattica per poter ricompattare il centro sinistra in futuro sotto un altro leader o rivendicazione di una identità diversa? Difficile dirlo. Sicuramente in ogni caso se la passa peggio dal punto di vista delle intenzioni di voto Potere al Popolo la cui serietà progettuale andrà però verificata all’indomani delle elezioni quando, superata la soglia del 3% o meno, dovrà dare continuità a un progetto nato da pochi mesi. Se l’entusiasmo e la voglia di lottare messo in campo da molti militanti continuerà e la lungimiranza dei suoi dirigenti non verrà scalfita da interessi particolaristici dopo le elezioni, PaP avrà la possibilità in futuro di dire la sua, altrimenti, se si dimostrerà l’ennesima accozzaglia elettorale come Rivoluzione Civile sarà di nuovo notte fonda per l’estrema sinistra italiana.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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