Recatomi in Sicilia per una breve vacanza ho trascorso alcuni giorni a Palermo, ultima destinazione prima di tornare a casa. Qui, lontano dal centro (partendo dal Teatro Massimo è necessario cambiare due autobus) e dai luoghi più gettonati, si trova un bel museo che meriterebbe di essere più conosciuto (e che dovrebbe avere un sito internet e profili social che invece, purtroppo, non ha: ma questa è credo l’unica pecca).
Non lontano dallo stadio Barbera e adiacente alla Palazzina Cinese cui è legato (l’architetto è stato lo stesso, Giuseppe Venanzio Marvuglia, che costruì il complesso per i Borbone tra la fine del XVIII ed i primi anni del XIX sec.) si trova infatti il museo etnografico comunale Giuseppe Pitrè.
Nato nel 1841 e di professione medico condotto, il Pitrè, mosso dalla curiosità verso i propri consimili, fu il fondatore di una disciplina etno-antropologica che chiamò “demopsicologia” e per la quale fu istituita presso l’Università di Palermo una cattedra, retta dallo stesso Pitrè dal 1910 fino alla morte avvenuta nel 1916.
Autore di una monumentale opera – la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane in 25 volumi – Pitrè raccolse nel corso dei suoi studi migliaia di oggetti che furono dapprima esposti in mostre temporanee ed infine donati al Comune di Palermo che li affidò, parecchi anni dopo la sua morte, all’antropologo Giuseppe Cucchiara che curò il primo allestimento.
Il percorso, strutturato con moderne vetrine ottimamente allestite e raccontato con grande professionalità (e, credo, anche con autentica passione) da un operatore del museo, consente al visitatore di immergersi all’interno della Sicilia del XIX sec. (periodo al quale appartengono la maggior parte dei parte dei reperti).
Le varie sale illustrano l’intero mondo culturale dei siciliani (appartenenti a diverse classi sociali) del secolo scorso: dalla tessitura agli strumenti per l’igiene personale passando per le calzature, gli abiti (dei contadini e delle classi agiate. Da segnalare uno splendido abito nuziale proveniente da Piana degli Albanesi), gli strumenti e le tecniche per la caccia (presenti nella sala anche i famosi “specchietti per le allodole” e le gabbie per i richiami vivi oltre a diversi fucili ad avancarica) e le attrezzature per la pesca.
Di particolare interesse una galleria che mostra i dipinti su vetro, opera pittoriche a basso costo e commissionate dalle famiglie a scopo devozionale (alcuni quadri, per risparmiare, presentano un vero e proprio affollamento di santi, spesso raffigurati in modo piuttosto naif).
Vi sono poi oggetti legati alla pastorizia (tema che ritorna nell’ultima sala con vere e proprie opere artistiche realizzate dai pastori in legno o in corno di animale), all’agricoltura (qui riprodotto anche un sistema di registrazione dei contratti di affitto delle terre su bacchette di legno ed attestato per la prima volta sette secoli fa), alla lavorazione dei metalli, alla misurazione di solidi e liquidi, all’arte ceramica (in questa sala una vetrina mostra anche le maschere utilizzate per allontanare il malocchio).
Il percorso porta poi a un’immersione nel mondo più profondamente astratto degli abitanti dell’isola di centocinquanta o duecento anni fa, con la presenza di oggetti rituali utilizzati dalle fattucchiere per propiziare qualche evento positivo (o, al contrario, per emanare influssi magici capaci di procurare dolore e persino la morte dei nemici) nonché oggetti legati alla spiritualità tradizionale.
In quest’ultimo caso meritano una menzione gli ex voto dipinti: alcuni di grande pregio artistico ma tutti interessanti ai fini della comprensione dell’orizzonte culturale di quegli uomini. Moltissimi, per altro, gli ex voto che esprimono la gratitudine verso il divino (la famosa “grazia ricevuta”) di chi li commissionò per non essere morto di tubercolosi (una vetrina che meriterebbe di essere mostrata ai “no vax” affinché possano immaginare un mondo “without vax”) ma presente è pure un incidente ferroviario (forse uno dei primi nell’isola) nonché il ringraziamento di un tal Giuseppe Vaccaro per non essere stato ucciso da una turba a Tunisi nel 1899.
Sempre nell’ambito delle credenze nel soprannaturale, il museo ospita alcune divise e diversi contrassegni di appartenenti a confraternite nonché strumenti per la mortificazione corporale del peccatore (tanto maschili quanto femminili).
Per ciò che attiene i mezzi di trasporto sono poi presenti due splendide carrozze nobiliari e due portantine manuali (una con l’unica funzione di essere utilizzata come toilette dal fortunato possessore) nonché diversi carretti utilizzati dai contadini ed alla fine della visita sarete in grado di raccontare molto di più su questi mezzi divenuti simbolo della Sicilia (mia moglie ha subito capito la differenza tra il carretto palermitano e quello catanese ma sul punto lascio la suspance e rimando alla visita qualora abbiate curiosità).
Dopo i mezzi di locomozione è allestita una vera e propria riproduzione di un teatro stabile per l’opera dei pupi cui segue una ricca raccolta di ceramiche (con simpatici portacandele raffiguranti frati e carabinieri che potevano essere così irrisi, mediante le fiamme che uscivano dalle orecchie della statuina, senza incorrere in conseguenze spiacevoli) e due tipiche cucine (originali del periodo di costruzione dell’edificio) a legna che servivano i Borbone ed i loro ospiti alloggiati nell’adiacente Palazzina Cinese (i piatti giungevano a tavola dei fortunati ospiti mediante un complesso marchingegno denominato “tavola matematica”).
A chiudere l’esposizione vi sono poi gli strumenti per il diletto: dalle carte (anche quelle per i tarocchi) a degli splendidi trenini fino agli strumenti musicali nonché le riproduzioni, in miniatura, degli “strumenti di lavoro” del prete e della suora (piccoli crocifissi, ostensori e calici) atti ad abituare gli sfortunati bambini cui erano stati regalati alla vita alla quale erano stati destinati dai genitori.
Uno sguardo a tutto tondo, dunque, quello che il Museo Pitrè offre a coloro che sono interessati a conoscere la vita quotidiana, l’orizzonte materiale e spirituale, le paure e i motivi di gioia, dei siciliani (nel mio caso dei miei conterranei) del secolo scorso. Migliaia di oggetti ben raccontati ed esposti con criterio che riescono a far compiere un breve ma intenso tragitto nelle vite di quelle persone nonché a far cogliere differenze e similitudini con l’oggi.
Immagini di Roberto Capizzi
Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.