Un primo commento dopo le elezioni
Il risultato elettorale italiano segnala un generale riassestamento del sistema politico e della sinistra.
Le forze principali sono costituite ora dalla demagogia M5S e da una coalizione di (centro)destra in cui i partiti moderati sono subalterni a quelli orientati anch’essi alla demagogia.
A sinistra al tracollo del PD non corrisponde una parallela crescita di soggettività più a sinistra.
Le forze “estreme”, sui due lati dello spettro politico, non sfondano: quelle nere sono già rappresentate nelle forze maggiori, quelle rosse sembrano non avere un bacino.
L’Italia appare nuovamente spaccata in due: con la zona rossa ridotta ai minimi termini, il Centro-Nord è appannaggio della destra mentre nel Sud passano i 5 stelle, con percentuali preoccupanti in zone storicamente di criminalità organizzata e quindi di distacco dallo Stato.
Marine Le Pen ha commentato la notte elettorale come “una cattiva serata per la UE”. L’interrogativo è quanto la notte sarà lunga.
Le elezioni consegnano un risultato largamente prevedibile.
L’M5S ha evidentemente beneficiato del fatto di essere da mesi il più probabile primo partito, risucchiando con la prospettiva di un governo in solitaria voti che altrimenti sarebbero finiti in forze più piccole.
Con l’hubris di Renzi crolla il PD, una sconfitta di proporzioni catastrofiche cercata col lanternino da un segretario noto, tra le altre cose, per aver dato del perdente a Bersani, che quantomeno era riuscito a costruire una coalizione meno ridicola del manipolo da zerovirgola di ambientalisti craxiani e liberaloidi confusi propinato agli elettori a questa tornata.
Da persona che ha abitato a Prato un decennio il pensiero va a Benedetto Della Vedova, europeista radicale ed ex pidiellino lombardo che probabilmente non saprebbe indicare Prato su una mappa della Toscana, ma che, nonostante tutto, i geni del centrosinistra locale e nazionale hanno deciso di candidare all’uninominale della città laniera, perdendo ignominiosamente.
Se Atene piange, Sparta non ride.
Lo strano mix reducistico di Liberi e Uguali riesce a malapena ad entrare in parlamento, con buona pace delle ambizioni di rappresentanza del fantomatico e indistinto “popolo della sinistra” che già dallo slogan (copiato) connotava la formazione di Grasso.
Per finire, una lista che ho sostenuto e nella cui proposta credo, una lista che pensava di parlare a nome di nientepopodimeno che categorie come «le giovani e i giovani che lavorano a nero, precari, per 800 euro al mese perché ne hanno bisogno […] lavoratori e lavoratrici sottoposte ogni giorno a ricatti sempre più pesanti e offensivi per la nostra dignità […] disoccupate, cassaintegrate, esodati […] i pensionati che campano con poco anche se hanno faticato una vita e ora non vedono prospettive per i loro figli. […] donne che lottano contro la violenza maschilie, il patriarcato, le disparità di salario a parità di lavoro […] persone LGBT discriminate sul lavoro e dalle istituzioni […] pendolari, abitanti delle periferie che lottano con il trasporto pubblico inefficiente e la mancanza di servizi […]malati che aspettano mesi per una visita nella sanità pubblica […] studenti con le scuole a pezzi a cui questo paese nega un futuro […] le lavoratrici e i lavoratori che producono la ricchezza del paese» si è ritrovata a conti fatti con l’1%.
Forse bisognerebbe invece accettare il fatto che – in questa fase storica infame – quel “popolo” non esiste, banalmente perché le istanze della sinistra sono patrimonio di una minoranza lodevole ma striminzita.
I «giovani che lavorano a nero, precari, per 800 euro al mese», i «pensionati che campano con poco» e tutto il catalogo umano non votano partiti attivamente neoconservatori e pro-disuguaglianze come Lega o M5S perché la sinistra abbia abbandonato chissà quali valori (LeU, PaP, il Partito Comunista di Rizzo e Per una sinistra rivoluzionaria presentavano un’ampia scelta di ricette di sinistra-sinistra-proletar-popolar-eccetera) ma semplicemente perché decenni di egemonia culturale di destra hanno plasmato priorità politiche, culture, modi di leggere il mondo e categorie in senso fascistoide e regressivo.
Quindi, che fare? La cosa più stupida sarebbe buttare all’aria anche quell’1% di consenso.
La cosa giusta da fare è pensare al lungo periodo, costruendo nel frattempo un “comune” di spazi di resistenza e di autodeterminazione, puntando a ricostruire città per città un senso di solidarietà umana che è la base di ogni politica progressiva.
Il resto o non serve o perpetua vecchi errori.
E così il voto ha restituito il riflesso di un paese in piena crisi isterica.
La crisi sociale morde nonostante le fanfaronate del governo di centrosinistra, la delocalizzazione continua imperterrita e la povertà aumenta vertiginosamente. La finta sinistra rottamatrice renziana si è schiantata contro il muro della destra populista e del M5S, il resto, cioè la Sinistra, è marginale. Non c’è più alcun argine alle destre ed è assolutamente colpa delle strategie tenute dal centrosinistra, che infatti è chiuso nella morsa tra un 32% circa del M5S e un 36% circa del Centrodestra.
Si sta ricreando il bipolarismo, senza più le sinistre che hanno portato a compimento quel suicidio iniziato con Occhetto, proseguito con D’Alema e Prodi e arrivato a Renzi.
In generale le forze politiche moderate non se la passano molto bene e questo è esattamente il risultato di una crisi profonda che attanaglia il paese, ma è importante capire che senza risolvere i problemi sociali la politica sarà sempre più sclerotizzata.
C’è anche da dire che la situazione è di una gravità tale che non sarà schivando il populismo che si uscirà dall’angolo in cui si è finiti, tanto più che il populismo riflette inesorabilmente il malessere che si è voluto ignorare in questi anni di governo. Mettere la testa sotto la sabbia o peggio costruire montagne di fuffa porta a questi risultati.
Infine occorre prendere atto che se il popolo italiano sembra essere unito da una deriva populista, è altrettanto evidente una spaccatura impressionante tra Nord e Sud.
Il Nord si aggrappa alla Lega concepita come unico salvagente in un mare di politica che ha solo deluso. Al Sud invece ci si getta completamente tra le braccia del M5S, tentando di voltare pagina politica, magari chiudendo la Seconda Repubblica.
Insomma, abbiamo davanti un Paese stanco e disilluso che è ancora disposto a cambiare utilizzando armi democratiche come il voto (vedi i dati positivi sull’affluenza).
Non si capisce ancora se cambierà qualcosa dopo il voto oppure, complice la pressione dei mercati, si viaggerà nuovamente verso un commissariamento e l’accantonamento dei risultati delle elezioni. Se prevarrà questa ipotesi la sclerotizzazione politica continuerà ancora.
L’ultima ipotesi che mi sento di lanciare è la situazione in cui il M5S come primo partito riuscisse a governare, con qualche forma di stampella. In questo caso tutte le chance di cambiamento populista verrebbero giocate subito.
Il possibile fallimento di questo ipotetico governo, magari sull’onda di una normalizzazione del Movimento, aprirebbe scenari inediti e ancora più pericolosi dell’attuale.
Il disastro delle sinistre è senza appello.
Conferma un arretramento pesante di qualsiasi opzione progressista e attesta una mancanza di qualsiasi prospettiva radicata nel senso comune. La “minaccia nera” di CasaPound non produce lo stesso effetto di quel timore per i 5 Stelle che ha illuso Matteo Renzi di poter portare a casa un referendum costituzionale e un suo secondo incarico da Presidente del Consiglio, dopo il successo delle europee.
Liberi e Uguali supera di poco il 3%: stipendi, risorse, rappresentanza capace di garantire la presenza anche fra cinque anni. Cinicamente potrebbe pure accontentarsi, scavando ancora più a fondo la fossa in cui la sinistra italiana si è incastrata. Lo stesso potrebbe fare Potere al Popolo, se davvero scegliesse di brindare al fatto che almeno esiste. Purtroppo non basta.
Non ci sono più punti di riferimento chiari, non resta che aggrapparsi all’organizzazione per non farsi travolgere dalle suggestioni narrative. Altrimenti rischieremo di vedere il Partito Democratico conquistarsi il ruolo di opposizione responsabile, mentre ogni sentimento di sofferenza sociale continuerà a tradursi in posizioni reazionarie o facilmente strumentalizzabili.
Sarebbe da capire quante di quelle persone che avevano guardato con interesse a Falcone-Montanari hanno poi scelto il Movimento 5 Stelle (può anche darsi che la risposta sia “pochi”).
Non mancheranno preziose analisi dei dati. Certo è che l’affluenza (in realtà la più bassa tra gli ultimi appuntamenti nazionali) oscilla significativamente nel giro di pochi mesi, tra elezioni locali e passaggi emotivamente più rilevanti.
La realtà si è complicata. Lo si sente nelle code dei cinema, nelle mense aziendali, in quei pezzi di società dove il senso comune si sgretola a colpi di barbarie.
Da una parte ci sentiamo migliori di chi vota Lega Nord o Movimento 5 Stelle, dall’altra pensiamo di dover inseguire la “pancia” del Paese. Forse basterebbe avere qualcosa da “fare” e da “raccontare”, convincendo che vale la pena tentare una strada radicalmente alternativa allo stato di cose presenti, senza proiettare sulla casta o sui migranti tutti i problemi.
C’è l’angoscia del giorno dopo, segnato dal sangue di Diene Idy. Ma non è niente rispetto a quella che causa il pensare che, nonostante tutto questo, nessuno saprà reagire, osando essere all’altezza dei tempi, per una volta, dopo tutti questi tentativi a vuoto.
Dopo la vittoria del No al referendum costituzionale il prevalere dei suoi principali azionisti – M5S e Lega – era del tutto preventivabile. Il mancato sfondamento di CasaPound e Italia agli Italiani non deve stupire né essere motivo di sollievo: i loro programmi sono ampiamente rappresentanti in quelli del maggior partito italiano e del maggior partito di destra.
Le organizzazioni storiche della sinistra che hanno contribuito alla vittoria del No hanno contribuito con ciò alla riduzione e alla contrazione dello spazio politico della sinistra, che conta oggi su un totale complessivo di circa il 25% dei votanti.
L’idiosincrasia verso il segretario del Partito Democratico ha avuto come prezzo – e chi l’avrebbe mai detto? – il potenziamento abnorme dei suoi principali avversari: non la sinistra radicale, non Berlusconi, ma il M5S che vuole abolire i partiti e processare gli avversari politici, la Lega che vuole “pulizia di massa” contro i migranti e che considera la “razza bianca” il fondamento stesso della società italiana.
Gli spazi politici a sinistra del maggior partito della sinistra italiana sono sempre stati in termini miserabili.
Questa costante della storia italiana è stata testardamente misconosciuta da alcuni dirigenti (falliti) del campo della sinistra e il risultato è stato il potenziamento di un’altra costante: il prevalere dell’antinazione, dell’antistato, dell’antipartito; dei fermenti qualunquisti e sanfedisti che hanno fatto maturare le basi, prima del consenso per il regime fascista, poi del naso turato verso la democrazia a guida democristiana, indi dell’avventura populista berlusconiana e adesso di una nuova destra estrema dai contorni inquietanti che sospinge l’Italia verso l’autoritarismo ungherese e polacco.
Personalmente non sono preoccupato per il futuro. La sinistra italiana è forte. Ha resistito alla persecuzione squadrista, al regime fascista, all’occupazione nazista, ai tentativi golpisti della guerra fredda, allo strapotere mediatico berlusconiano in un contesto in cui la democrazia non era più garantita – come tuttora non è – da schieramenti internazionali.
La sinistra italiana è forte e resisterà anche alla nuova banda di avventurieri violenti che oggi ci minacciano.
Ma la democrazia italiana non è forte. I costi dello spread si pagano con l’oro, ma i costi dell’odio si pagano più spesso con il sangue.
Per anni ci siamo sentiti dire che i problemi erano Banca Etruria, Verdini e Casini.
Adesso, forse, ne scopriremo di nuovi.
Alle difficoltà oggettive di un commento a caldo, dovute a una legge elettorale pensata per non far vincere nessuno, si sommano le difficoltà soggettive, psicologiche di un risultato che non può che amareggiare chiunque si riconosca nella sinistra, moderata o radicale che sia.
Perché l’unico risultato inequivocabile è lo sconfitta netta di tutte le sinistre. La variabile geografica è particolarmente significativa. Al Sud il Movimento 5 Stelle trionfa con percentuali bulgare, riducendo la sinistra a una forza di rappresentanza mentre il Nord è a totale appannaggio della destra, soprattutto della Lega che dilaga con forza anche al Centro, in quelle ex regioni rosse dove la sinistra sta perdendo sempre più roccaforti.
Difficile per ora parlare di governi e di programmi, dato che ci aspettano giorni turbolenti di consultazioni parlamentari che lasciano aperte molte possibilità, tutte, dal mio punto di vista inquietanti. Qualche sovranista anti-austerity avrà esultato a vedere gli exploit del 5 Stelle e della Lega, ma non credo che una loro possibile alleanza porterà a un governo di rottura con Bruxelles e con l’austerity né tantomeno con il regime neoliberista imperante. Le voci più esagitate e le componenti più “radicali” all’interno di quelle forze politiche, non certo anti-sistema, verranno dirottate su una retorica xenofoba e razzista come valvola di sfogo che non porterà alcun miglioramento alla popolazione (semmai il contrario) ma peggiorerà sicuramente solo le condizioni di vita dei migranti.
Di fronte a questi risultati, in realtà non del tutto inaspettati, è facile farsi prendere dallo sconforto.
L’Italia è divisa in due ma la spaccatura è fra due destre per niente rassicuranti. Ma non si può far altro che continuare a lavorare, cercando di imparare da una serie di errori e di sconfitte in fila che sembra non avere fine, ma che nonostante questo può essere interrotta.
Laddove si è lavorato sul territorio in maniera sistematica, i risultati per la sinistra sono un po’ meno deprimenti: segno che la politica non è, nonostante tutto, solo comunicazione. Ripartire da lì non è più un’opzione ma un obbligo.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.wikipedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.