Un nuovo governo per l’Italia?
Alla fine, dopo 88 giorni di stallo, l’Italia ha un governo. Sabato primo giugno il giuramento di Giuseppe Conte come Premier inaugura ufficialmente una legislatura a guida M5S e Lega.
E dire che solo pochi giorni prima si era consumata quella che per molti è stata una delle più gravi crisi istituzionali della storia repubblicana.
Il compromesso raggiunto attorno alla nomina a Ministro di Paolo Savona, ha raffreddato un clima rovente ma ha dimostrato la presenza di una forte frattura politica sul piano della questione europea.
Con una programma di governo molto ambizioso, Lega e M5 Stelle si trovano così a guidare un esecutivo su cui molti italiani hanno proiettato molte speranze di cambiamento, mentre altri tutti i loro timori.
Dopo pochi giorni, già non sono mancate le prime polemiche, dalle dichiarazioni del neoministro della famiglia e della disabilità Fontana (“le famiglie arcobaleno non esistono”), alle parole di Salvini sui migranti.
Piergiorgio Desantis
Governo delle continuità, più che del cambiamento. È facile passare in rassegna le biografie di alcuni dei ministri più importanti per capire che le politiche di questo governo saranno di sostanziale coerenza con quelle portate avanti dal centrodestra e dal centrosinistra a partire dagli anni ’90 in poi.
Perché vedere un montian/lettiano agli esteri e giudice della Corte di Giustizia europea non può far pensare a una sostanziale aderenza all’europeismo reale che abbiamo conosciuto fin ad oggi, ovvero un’assenza di politica estera comune e una sudditanza degli stati del Sud Europa a Francia e Germania.
Il ministero dell’economia affidato al Prof. Tria, legato storicamente a Brunetta e Sacconi, il quale ci ha già fatto sapere, in un suo intervento, che è cosa giusta aumentare l’Iva per finanziare un provvedimento come la flat tax. In altre parole, attraverso l’aumento della tassa più antisociale e antiprogressiva che esista (IVA), si dà modo di drenare risorse per una misura anticostituzionale e ingiusta che riduce le imposte per i ricchi quale è la flat tax. Praticamente è la realizzazione del sogno di ogni liberista con i conti a posto per l’UE: più austerity e meno tasse per i più abbienti.
Ha già visto svariate stagioni politiche anche il ministro della Pubblica amministrazione Avv. Giulia Bongiorno, già avvocato di Giulio Andreotti, già deputato di Alleanza Nazionale, già candidata nel partito di Fini Futuro e Libertà, poi ancora con Monti. Ora è in quota Lega, in un ministero che era avocato nella cosiddetta “prima repubblica” alla Democrazia Cristiana.
Poi ci sono le figure di ministri quali lo stesso Di Maio al Welfare e Bonafede alla Giustizia che sono contraddistinte da un curriculum legato al Movimento 5 stelle. Per quanto riguarda il primo, è assai difficile capire quale orizzonte in materia di lavoro possa avere; ciò nonostante, qualche sua dichiarazione ci fa capire cosa possa (non) avere in testa: “internet è la più grande fabbrica di posti di lavoro” e “i sindacati si autoriformano o, quando saremo al governo, faremo noi la riforma”. In poche parole c’è un mix di inconsistenza teorica e pratica (quale dovrebbe essere il meccanicismo per cui internet dovrebbe produrre posti di lavoro?) e bassi istinti reazionari (ridimensionamento di tutti i corpi intermedi, quindi del sindacato, in previsione di una non meglio identificata democrazia diretta che richiederebbe una modifica della forma repubblicana stessa).
Sono, fin da subito, assai preoccupanti le politiche che porteranno avanti Salvini e Fontana, rispettivamente ai dicasteri degli Interni e Famiglia. C’è in vista un ulteriore inasprimento delle politiche securitarie e di migrazione (finora ancora ridotte a slogan da lanciare alla pancia degli elettori) e un ritorno alla famiglia tradizionale con la conseguente lotta senza quartiere all’aborto e ai diritti civili.
Ciò ci fa riflettere a sinistra del fatto che l’avanzamento e l’arretramento dei diritti sociali e del lavoro con quello dei diritti civili siano strettamente interconnessi.
Il Governo Conte è nato dopo un travaglio durato 88 giorni e una crisi istituzionale senza precedenti.
L’intromissione delle istituzioni sovra-nazionali ed estere è giunta al suo apice durante i lavori per la formazione di questo governo. Una simile crisi non si era raggiunta nemmeno con la seconda elezione del Presidente della Repubblica Napolitano che diede poi un preciso indirizzo politico al Paese, sconquassando del tutto le prassi costituzionali.
Siamo giunti al punto in cui al venerdì esce un becero articolo di quelli che solo i giornalacci tedeschi colmi di luoghi comuni riescono a partorire, sul Der Spiegel nella fattispecie, in cui si accusa un altro popolo dell’Unione Europea di essere “scrocconi” per via delle conseguenze di una posizione antieuropeista e la Domenica sera il Presidente della Repubblica si assume la responsabilità di far fallire un Governo con la maggioranza parlamentare per convocarne uno tutto suo.
La Costituzione è stata calpestata a tal punto che persino i vertici di Bruxelles si sono vergognati e hanno preferito lasciar fare il Governo populista pur di non andare incontro ad uno stallo in grado di aprire una faglia grande come una voragine nel Paese.
Infatti, come ogni Governo anche quello Cottarelli avrebbe dovuto passare per la fiducia, inesistente in questo caso, delle Camere.
L’evidenza di un colpo di mano presidenziale, dettata da poteri sovra-nazionali aveva fatto venire dubbi a tutti, tranne a Ugo De Siervo e a tutti i rinomati costituzionalisti sempre meno servi della Costituzione probabilmente.
Dmitrij PalagiRaccontare le cronache della settimana passata (vedi l’articolo di ieri qui) è stata effettivamente un’esperienza traumatica. Secondo l’editoriale del Sole 24 Ore di domenica 3 giugno, di Sergio Fabbrini, il consenso di questo governo si baserebbe su «un’area di ceti sociali privi di connessioni organizzate», interessata a ottenere aiuti dalle casse pubbliche (revisione della Fornero, reddito di cittadinanza, risorse tolte ai migranti per la spesa sociale rivolta agli “italiani”).
Sorprende la supponenza con cui anche molti a sinistra guardano alla parte maggioritaria (tra l’elettorato attivo) del Paese.
Questo esecutivo è un sogno rassegnato, una notizia positiva rispetto all’improbabile soluzione Cottarelli. Salvini è sicuramente riuscito ad ottenere una sovrarappresentazione della Lega, avendo ottenuto un risultato elettorale nettamente inferiore a quello del Movimento 5 Stelle.
Resta interessante capire quanto l’Italia anticiperà dinamiche diffuse occidentali. Di paura non se ne avverte poi molta. Macron aveva già fatto i complimenti a Conte il 26 maggio e il sistema economico non sembra temere molto.
Mattarella è riuscito a ricondurre lo strappo elettorale nei limiti della Costituzione? Forse, ma il problema pare essere più capire chi sta fuori dalle regole di questo regime economico. Le sinistre paiono decisamente destinate a non riacquisire un ruolo. Ci sarebbe la Grecia a ricordare cosa dovrebbe voler dire aspirare a governare per un cambiamento radicale. Il rischio è ritrovarsi isolati, sull’orlo del precipizio, o finire per sposare l’irrilevanza come condizione definitiva.
È giusto sfidare Di Maio, Salvini e Conte nel merito dei programmi e delle questioni reali del Paese. Definire cosa stia dietro questi slogan appare meno facile.
Su liberalizzazioni, repressione, fiscalità non progressiva l’unanimità parlamentare sembra essere all’orizzonte… Tocca sperare in Berlusconi? {Ironia}
Il 22 maggio Salvini disse ai cronisti: «Non facciamo noi i nomi dei ministri al Presidente della Repubblica. [Savona] A me piace molto, a me piacerebbe molto. Non indico io niente a nessuno». Il giorno successivo Di Maio dichiarava: «Sui ministri non c’è nessuna discussione in atto, perché i ministri li sceglie il Presidente della Repubblica» (un’interpretazione, questa, pesantemente estensiva delle prerogative presidenziali pur se già verificatasi nella storia almeno a partire da Bresciani Turroni nel 1953).
Per quale motivo, dunque, il 27 maggio Salvini si è impuntato sul nome di Paolo Savona, fino al punto da provocare una grave crisi istituzionale?
E per quale motivo già il 28 maggio è ripartita la trattativa M5S-Lega, che si è concretizzata poi nel giuramento del Governo il 1° giugno?
L’impressione è che Salvini volesse alzare la posta nei confronti del M5S, che dei due alleati era chiaramente quello più famelico di andare al governo – non potendo inoltre contare, a differenza della Lega, su altri partiti come ruote di scorta. Non per niente è stata proprio la Lega a non associarsi alla richiesta di processare il Presidente della Repubblica, richiesta invece strombazzata da Di Maio il quale pure con Mattarella aveva costruito un certo rapporto ma che aveva un disperato bisogno di rigalvanizzare la base in vista di nuove elezioni.
Formato il Governo, non è difficile dire dove risiede il vero potere. Non a Palazzo Chigi, occupato da un secondario docente universitario sconosciuto a tutti e ministro senza portafoglio nel fantagoverno pre-elettorale del M5S. Bensì al Viminale, dove sempre ha risieduto il potere politico nell’Italia monarchica. Era il Ministro dell’Interno, infatti, a controllare la rete dei prefetti, le forze di Pubblica sicurezza e l’organizzazione delle elezioni. La titolarità del Ministero dell’Interno era infatti spesso assegnata al Presidente del Consiglio o, più correttamente, il Ministro dell’Interno assumeva anche la carica di Presidente del Consiglio.
Questa pratica si è verificata per 64 anni su 85 di monarchia (1861-1946) ed è andata avanti fino agli anni Cinquanta. L’ultimo caso è quello di Antonio Segni, che fu Ministro dell’Interno nel suo secondo Governo (febbraio 1959-marzo 1960).
Oggi, avendo alla Presidenza del Consiglio un signor nessuno come Conte, e al Viminale invece un noto leader politico come Salvini, si torna di fatto a un’azione di governo decisa dal Ministero dell’Interno ed esercitata tramite la rete di cui egli dispone: la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, i prefetti, i segretari delle amministrazioni locali.
Riguardo queste ultime, in particolare, il “Contratto” M5S-Lega prevede chiaramente l’ingerenza del potere centrale applicando ad esse una normativa sul conflitto d’interessi che si intende piuttosto elastica, essendo concepita non limitatamente all’interesse monetario (e quindi facilmente applicabile a qualsiasi ambito desiderato).
I richiami di Salvini all’asse con l’Ungheria e il suo protagonismo mediatico forniscono già le prime avvisaglie della stretta fascista proposta nel “Contratto” (ne ho parlato nel Dieci mani del 22 maggio, qui), in attesa delle meraviglie del mitico Ministero per la Democrazia diretta.
E così finalmente il governo 5 Stelle – Lega è diventato realtà. Guidato da un premier per ora debole, apparentemente un burattino nelle mani di Salvini e Di Maio, questo strano Frankenstein populista pone molti interrogativi e poche certezze.
Una di queste ultime è la capacità di Salvini di ritagliarsi un ruolo da protagonista nonostante la debolezza relativa del suo partito all’interno della coalizione. Questo sta spingendo il 5 Stelle ad adattarsi a un programma di destra, sicuramente nelle sue corde, ma non del tutto rappresentativo di tutte le posizioni all’interno del movimento. Ciò significa anche che nel medio-lungo periodo i malcontenti si potrebbero respirare maggiormente all’interno del campo pentastellato piuttosto che in quello leghista.
Tutto il resto è abbastanza un mistero.
Siamo di fronte a un esecutivo di destra piuttosto spinta, fondata su una retorica securitaria e anti-immigrazione e anti-abortista ma sostanzialmente in linea con la prassi di governo liberal/liberista che caratterizza da decenni il nostro paese, o ci troviamo veramente di fronte al “primo esecutivo populista dell’Europa occidentale”, con la forza e l’intenzione di rompere con Bruxelles e rivoluzionare profondamente le istituzioni statali?
Le parole di Di Maio “adesso lo Stato siamo noi”, al di là del contesto nel quale sono state pronunciate, fanno paura a prescindere, ma cosa aspettarsi veramente? Difficile dirlo per ora. La sensazione è che la dicotomia europeisti/euroscettici per come si sta sviluppando in Italia non sia una riproposizione aggiornata del conflitto capitale/lavoro ma solo una contrapposizione fra gruppi di potere diversi, fra una piccola borghesia nazionale e reazionaria e una grande borghesia mondialista e liberal.
Occorre stare molto in guardia dalle possibili derive fascistoidi di questo governo e opporsi alla sua visione della società ma pensare che la salvezza sia nei mercati finanziari e negli ammonimenti di Bruxelles sarebbe un errore fatale.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.governo.it
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