Nel valutare i fatti
politici è buona norma guardare non tanto ai dati immediati ma agli
obiettivi tattici e strategici degli attori, e al rapporto di quelli
con questi ultimi.
L’estrema destra tedesca di AfD alle
elezioni nei Länder orientali (Sassonia,
Brandeburgo, Turingia) dello scorso anno si era evidentemente posta
due obiettivi di breve periodo e uno di carattere più strutturale.
Rispettivamente, conquistare almeno in uno stato il posto di primo
partito, superare la soglia psicologica del 30%, infine costringere
gli altri partiti (dai democristiani della CDU alla sinistra radicale
della Linke passando per liberali, verdi e socialdemocratici) ad
allearsi tra loro in coalizioni litigiose e disfunzionali o tentare
la destra “costituzionale” ad unirsi ad AfD in un inaudito fronte
conservatore. I primi due non sono stati raggiunti nemmeno in
Sassonia, la culla del movimento islamofobo e anti-immigrati PEGIDA e
la preda più ambita dell’estrema destra alle ultime elezioni, mentre
il terzo – purtroppo – non può che dirsi parzialmente raggiunto.
Riprenderemo l’analisi dei risultati dopo una necessaria parentesi.
L’obiettivo
strategico di lungo termine per AfD rimane riuscire a sdoganarsi
come partito “civico”, possibile interlocutore e alleato di
governo del centrodestra, seguendo in questo l’esempio di partiti
simili (Front National, Lega, Partito norvegese del Progresso) nel
Vecchio continente. Uno sforzo che fino ad ora è stato frustrato
dalla tenuta del fronte dei partiti “tradizionali” e
dall’indisponibilità dell’intero sistema politico-mediatico a
considerare “normale” l’esistenza istituzionale di un partito
schierato radicalmente a destra come AfD. Quest’ultima, di fronte
alle resistenze dei suoi avversari, sembra aver precocemente
abbandonato la via autoplastica – modificare o mascherare le
posizioni più controverse, censurare o cacciare i personaggi più
evidentemente neofascisti, schierare “facce” rassicuranti nei
rapporti con l’esterno – tipica del modello francese per perseguire
tanto nella tattica quanto e soprattutto nella strategia un
comportamento smaccatamente alloplastico, volto cioè a modificare
l’ambiente politico-istituzionale e gli attori politici altri.
D’altronde, a livello
di discorso pubblico, l’operazione è riuscita alla perfezione, se si
pensa a quanto il
senso comune e l’agenda politica siano in questi anni state spostate
in senso razzista. A
fronte della recente minaccia all’egemonia del discorso di destra
sulla cosiddetta crisi migratoria posta dalla crescente pregnanza dei
temi ambientali (e connessa vertiginosa ascesa nei sondaggi dei
Verdi, a fronte di un sostanziale plateau nel consenso alla destra)
AfD si è riconvertita – senza abbandonare le vecchie posizioni
anti-immigrati – a partito del carbone, del diesel e
dell’opposizione alle turbine eoliche, contro un presunto “estremismo
verde” che a loro dire minaccerebbe lo stile di vita tanto del
tedesco medio automunito quanto del’onesto farmer.
Deformare discorsi a
proprio vantaggio, inventare
simboli identitari a partire
da questioni tecniche e
oggetti pedestri, crocifiggere nemici di paglia e porsi come unica
opposizione al favoleggiato “pensiero unico” politicamente
corretto: un insieme di
pratiche che punta a costruire
una sfera politico-culturale del tutto strumentalizzata dalla destra.
In Turingia come nel Brandeburgo AfD ha presentato come candidati di punta due personaggi dell’ala più estremista del partito, in tutti e tre i Länder in gioco ha condotto una campagna elettorale a base di pesanti e ripetuti attacchi contro gli avversari. La meta del partito della destra radicale non sembra essere conquistare il potere nell’immediato, ma demolire nichilisticamente le basi del “vecchio” ordine, creando quanto più caos possibile nel campo avversario e coltivando la sfiducia del pubblico nelle istituzioni e nel processo democratico sabotandoli, delegittimandoli, facendoli apparire bastioni di un ordine antidemocratico e incompetente.
Per questo forzare gli avversari in un’ammucchiata inaudita o conquistare i democristiani ad una unholy alliance a livello locale, con conseguente immaginabile crollo della Grande coalizione e rottura di ogni rapporto tra CDU e centrosinistra a livello nazionale, è così importante nella strategia di AfD.
Personaggi folkloristici ma tutto sommato senza arte né parte come i leader nazionali uscenti Alice Weidel, che vive in Svizzera con la propria compagna e afferma di essere entrata in politica con AfD per via della sua passione per la commedia, e Alexander Gauland, con i suoi richiami ad un conservatorismo britannico da operetta e le sue uscite razziste sui calciatori di colore, sembrano sulla via del tramonto, a fronte dell’ascesa di figure più esplicitamente connotate in senso nazionalista come Höcke. Perlappunto, il candidato di punta di AfD in Turingia.
Qui
Bodo Ramelow
(Linke), il Ministerpräsident
uscente, che ha governato negli scorsi anni in base ad un accordo con
SPD e Verdi, rimane una figura popolare; popolarità che si è
riflessa in un ottimo 31% alle elezioni dello scorso 27 ottobre.
Nonostante ciò, il contestuale crollo
della SPD – travolta
dalle proprie difficoltà nazionali – e un risultato inferiore alle
aspettative dei Verdi hanno di misura impedito la reiterazione della
maggioranza rosso-rosso-verde.
AfD,
con il suo 23,4%, diventa
il vero convitato di pietra del processo di formazione di un nuovo
esecutivo, nonostante il rifiuto – prima, durante e dopo la
campagna elettorale – di qualunque ipotesi
di accordo con la forza di
destra da parte di tutti gli altri partiti. Nuove
elezioni – con conseguente rischio “spagnolo” di veder
aumentato ad ogni votazione inconcludente il consenso per l’estrema
destra – escluse, la palla passa quindi nel campo della CDU.
L’opzione di un
sostegno di qualche tipo ad un nuovo esecutivo Ramelow,
nonostante le insidie cui abbiamo accennato,
sembra la più logica, ma è particolarmente difficile da digerire
per un partito che vede nella Linke nient’altro che la reincarnazione
del vecchio partito di regime della cosiddetta Repubblica
democratica, e che in ossequio a questa visione (alquanto
anacronistica, bisogna dire)
e ad una retorica di
contrasto responsabile agli “opposti estremismi” ha sempre
rifiutato ogni collaborazione con il partito della sinistra radicale.
Sia detto di passaggio, l’estremismo di sinistra è in Germania un problema in certi limitati contesti specifici (poche curve, alcuni contesti urbani); ma non solo c’entra assai poco con la Linke, partito inserito nel sistema democratico, con una esperienza di coalizione e di governo che ormai è impossibile ignorare, ma soprattutto non è assolutamente paragonabile in violenza e in pericolosità all’estremismo di destra. Basti ricordare l’assassinio da parte di un fanatico neonazista di Walter Lübcke, politico proprio della CDU, o l’attentato alla sinagoga di Halle, sempre a firma neofascista, contando solo i fatti più gravi del 2019. Paragonare episodi simili a fatti gravi ma di tutt’altro spessore criminale come quelli di Lipsia di questo inizio 2020 o a qualche tafferuglio da stadio non fa che – nuovamente – minimizzare il pericolo ben più reale dell’estremismo neonazista.
Tornando
alla questione di un possibile appoggio democristiano a Ramelow, va
prima di tutto detto che la
CDU vive a livello
nazionale una crisi solo
leggermente meno grave di quella che ha travolto l’SPD, che si è
tradotta nel caso della Turingia in una vera e propria batosta
elettorale (-11,8% rispetto al 2014). Voti
che nella quasi totalità dei casi sono finiti nel calderone di AfD.
Un’ulteriore crepa che si
aggiunge alla
spaccatura che nei democristiani divide la grande maggioranza
merkeliana
contraria a qualunque patto con AfD e
WerteUnion, corrente di minoranza interna della CDU, più favorevole
ad un dialogo. Uscita umiliata da tutti i confronti interni ai
democristiani, la minoranza ultraconservatrice non si è rassegnata a
lasciare il campo ai propri avversari centristi, vedendo nella
debolezza della attuale leader Annegret Kramp-Karrenbauer lo
spiraglio per una futura rivalsa.
In
Turingia sembra essersi giocato un nuovo capitolo di questo scontro
interno, che oltre a dividere uno dei pilastri dell’attuale ordine
politico rischia di consegnare fette di potere ad un partito come AfD
che, come abbiamo rilevato supra,
invece che moderarsi è andato radicalizzandosi.
Il
5 novembre (2019) una lettera aperta di 17 personalità della CDU in
Turingia chiede al partito di non escludere a prescindere un accordo
con nessun partito “democraticamente eletto” (quindi nemmeno
AfD), posizione sostenuta anche da parte del gruppo dirigente
democristiano locale, ma prontamente rintuzzata dai vertici
nazionali.
Date le
possibilità in campo ad esclusione di un accordo con AfD (nuove
elezioni, governo di minoranza rosso-rosso-verde con il sostegno
almeno di qualche parlamentare statale della CDU, Linke-CDU,
Linke-SPD-Verdi-FDP) Ramelow invita la CDU ad un confronto senza
pregiudizi, ma inutilmente. Il Ministerpräsident
uscente decide quindi di tentare
la formazione di un governo di minoranza con la vecchia coalizione,
sperando in un sostegno di qualche genere, almeno pro
tempore, da parte di FDP e CDU.
Il
5 febbraio Ramelow si presenta quindi per essere rieletto davanti al
parlamento della Turingia.
I primi due rounds
dell’elezione a Ministerpräsident,
a voto segreto, richiedono una maggioranza assoluta, il terzo una
maggioranza relativa. AfD nomina il sindaco ex indipendente Cristoph
Kindervater, mentre Thomas
Kemmerich della FDP –
partito liberale che ha superato a malapena la soglia di sbarramento
– annuncia che si presenterà al terzo round se il parlamento vorrà
appoggiarlo. I primi due voti falliscono, al terzo la AfD abbandona
Kindervater e vota Kemmerich con FDP e la
maggior parte dei parlamentari CDU.
La vittoria del candidato di FDP viene annunciata ad un
parlamento attonito, una parlamentare colta dall’ira getta il mazzo
di fiori che tradizionalmente viene consegnato al vincitore ai piedi
di Kemmerich. È la prima
volta che un Ministerpräsident
viene eletto con i voti dell’AfD.
Nelle principali città della
Turingia i cittadini scendono in piazza; qualche storico e
giornalista rivanga il governo della turingia Baum-Frick del 1930, in
un sinistro parallelismo il primo governo di un Land
tedesco costruito con
la partecipazione del partito nazista.
La
reazione indignata della CDU nazionale costringe prima il partito
locale a dichiarare che sosterrà Kemmerich solo se quest’ultimo non
collaborerà con AfD, poi – anche a fronte del disgusto degli altri
partiti, che rifiutano qualunque dialogo – ad una serie di
giravolte mediatico-politiche che si concludono con le dimissioni
di Kemmerich.
Intanto,
i principali quotidiani pubblicano una serie di retroscena che
sembrano mettere in dubbio la sincerità della sorpresa di CDU
e FDP,
che sembrerebbe abbiano quantomeno accettato
la possibilità che AfD abbandonasse Kindervater e votasse Kemmerich
con loro.
Nella
materialità istituzionale si apre l’ipotesi di nuove elezioni o di
una nuova votazione a Ministerpräsident;
nella realtà politica rimangono molte domande senza risposta.
L’intera questione si può leggere come un tentativo della
parte ultraconservatrice della CDU di testare i limiti forzandoli,
magari nella speranza di mettere il partito nazionale di fronte al
fatto compiuto e confidando nell’apatia o addirittura nel sostegno
dell’opinione pubblica. Una folle
sconsideratezza, quindi.
Oppure semplice incompetenza e spaventosa mancanza di una
qualsivoglia padronanza della situazione: pensare che AfD avrebbe
continuato a sostenere Kindervater, o che gli altri partiti
accettassero di sostenere Kemmerich previo taglio dei ponti con AfD.
Per citare Arthur C. Clarke,
“both are equally terrifying”.
Se c’è qualcuno che può festeggiare è invece AfD. Si può immaginare facilmente che il partito di destra radicale non si aspettasse realmente di governare con CDU e FDP, quindi la sua quasi immediata esclusione dai giochi non cambia granché. Oltre a ottenere gratuitamente una quantità non indifferente di attenzione mediatica, oltre a poter portare la Turingia come esempio del presunto “pensiero unico” escludente dei “vecchi partiti” e della propria sedicente buona volontà “civica”, AfD ha avuto un’occasione d’oro per portare avanti la pratica di quella demolizione nichilistica di cui si è detto sopra, dando un’ulteriore picconata al sistema politico e di partiti della Germania contemporanea.
Una vecchia barzelletta afferma che per quanto la nazionale di calcio inglese abbia avuto, abbia e possa aspettarsi di avere in futuro ottimi calciatori, nessuno potrà mai battere in quanto a reti segnate Own Goal (autogol). L’autogol dell’intero centrodestra tedesco rischia non solo di risultare più centrale nella storia di tanti operatori politici di talento, ma di essere segnato troppo vicino al novantesimo minuto.
Immagine di Sandro Halank (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.