Terry Gilliam nel mondo del cinema è un personaggio unico e geniale. Ho avuto modo di conoscerlo di persona più volte (qui c’è un resoconto dell’ultimo incontro ripescato dall’archivio). Ogni volta che ho potuto, ho cercato di andare a vederlo di persona perché regala sempre gioia. L’impressione avuta guardando le sue opere è sempre stata quella di aver di fronte una persona che si diverte a fare il suo mestiere.
La leggenda del re pescatore per me è uno dei suoi film migliori insieme a “Brazil” e “L’esercito delle 12 scimmie”. Arrivò al cinema 30 anni fa dopo il flop del “Barone di Munchausen” che era troppo colto per esser capito dal grande pubblico. Stavolta prese una sceneggiatura dell’esordiente Richard LaGravanese (autore de “I ponti di Madison County”) e tirò fuori dal cilindro una storia apparentemente semplice sulla condizione umana. Naturalmente non manca il consueto stile strampalato, cartoonesco, visionario e folle (aiutato dal direttore della fotografia Roger Pratt, già autore di Brazil con Gilliam, oltre a Batman e Edward mani di forbice per Tim Burton). Per renderlo ancora più accattivante, è sicuramente immancabile la partecipazione di Robin Williams, capace da solo di far capire al pubblico tantissime sensazioni in maniera intensa e rapida. Prima di andare a girare “Hook” di Steven Spielberg, scelse di far parte del progetto. Era effettivamente un film cucito su misura per lui.
Questa pellicola, piuttosto difficile da comporre, è assolutamente riuscita perché riesce a trasmettere gioia, risate, rabbia (il cameo del cantante Tom Waits nei panni del veterano senza gambe è un colpo di genio), dolore, amore. Per capirlo bene occorre vederlo più volte. È come un quadro: i colori della realtà si mescolano a quelli di una fantasia allegorica. Ci sono i castelli moderni newyorkesi, i bassifondi della Grande Mela, dame in attesa di cavalieri sprofondati nel baratro. Solo Terry Gilliam può regalare emozioni su vita, povertà e morte facendoti ridere e riflettere.
La storia si ispira al romanzo “Terra desolata” di T.S. Eliot. Il protagonista è il dj radiofonico Jack Lucas (Jeff Bridges de “Il grande Lebowski”). Durante una delle tante mattinate tutte uguali in diretta, arriva una telefonata di un ascoltatore. Jack inveisce contro lo stile di vita degli yuppie. Sullo sfondo c’è Ray Charles con “Hit the road, Jack!”
È un consiglio spassionato al protagonista a “rimettersi in piedi”. Il regista ci fa subito capire che in Jack c’è qualcosa che non va. Infatti poche ore dopo l’ascoltatore, ferito dalle sue parole, compie una strage in un locale e si toglie la vita. Jack Lucas viene a saperlo e si sente in qualche modo responsabile, ma non sa come rimediare.
Tre anni dopo la sua vita è completamente diversa: vive con la compagna Anne (Mercedes Ruehl) che è proprietaria di un videonoleggio. Lucas è un qualunquista cinico autodistruttivo, non ama lavorare al pubblico, non gli piace la gente e sa di aver problemi psicologici.
Una sera, dopo aver litigato con Anne, beve troppo. Esce per strada e vorrebbe farla finita. Questa parte del film è una delle migliori. Bridges esegue un notevole monologo sugli “scarti di fabbrica” (lo potete vedere qui). Si rende conto di essere un Pinocchio: un uomo che fa delle bugie e dell’autoindulgenza la propria forza che però poi gli causa problemi. Non è un caso che il suo alter ego sia proprio il souvenir del burattino di Collodi che gli viene lasciato casualmente da un ragazzo. Mentre si sta per uccidere, viene quasi accoppato da due balordi. L’intervento provvidenziale di un barbone, Parry (Robin Williams), gli salva la vita. Entrambi sono vittime di violenza, ma di diverso tipo: Jack di quella verbale che poi è sfociata in fisica, Parry soprattutto in quella psicologica derivante da quella fisica.
Dopo poco si scopre che quest’ultimo era un professore di storia medievale di nome Henry Sagan. È diventato pazzo e il suo cervello ha rimosso l’episodio. È diventato il barbone Parry per il dolore successivo alla brutale strage in cui la moglie rimase barbaramente uccisa. La stessa che fu provocata da Jack. Il destino va in soccorso dell’ex dj per riconciliarsi con una delle vittime delle sue parole. I due diventano amici e Jack decide di aiutare Parry, per sdebitarsi, nella sua missione più importante: evitare il Cavaliere Rosso (che sarebbe il trauma del passato) e trovare il Sacro Graal. Se per un cristiano questo sarebbe il calice in cui Gesù bevve nell’ultima cena, per Gilliam (e per Parry che sarebbe il suo alter ego) è la ricerca della felicità di vivere e di sentirsi amato. La vita non è potere, gloria e bellezza. Il duetto tra Bridges e Williams, nudi come vermi a Central Park, è il momento clou del film, dove si apprende l’essenza del film e il significato dello strano titolo (lo trovate qui).
Parry ritiene che Jack sia il Prescelto, colui che è stato scelto da Dio per soccorrerlo nella sua missione. Le occasioni per rimettere le cose a posto capiteranno sia a Jack sia a Parry, ma accecati dal loro ego non riescono pienamente a comprenderlo. Lentamente si scopre che i due hanno più cose in comune di quello che all’inizio si poteva scommettere. Sembrano due moderni Don Chisciotte e Sancho Panza che lottano contro i mulini a vento. Nessuno come Gilliam ha lottato per portare al cinema la sua visione dei personaggi di Cervantes (trovate la recensione del film qui). Riusciranno i nostri prodi cavalieri a risolvere i loro problemi e a conquistare il Sacro Graal?
Terry Gilliam è straordinario nel comporre e ricomporre il dramma e la bellezza della vita. L’emblema è Jack Lucas che passa dai freddi piani alti dei grattacieli newyorchesi ai quartieri bassi popolati da gente con dei problemi, ma sicuramente più umana. Alla fine sia i ricchi sia i poveri hanno situazioni diverse, ma soffrono di qualcosa. Terry sa tirar fuori da ogni classe sociale il peggio che scaturisce da mancanza di immaginazione ed empatia verso gli altri. Un problema che oggi è particolarmente evidente. In tal senso la scena del ristorante (in puro stile Lilli e il vagabondo) dove Anne, Parry, Jack e Lydia (Amanda Plummer) interagiscono, ha una doppia valenza: è girato con un pianosequenza (poi sforbiciato in fase di montaggio) per far intendere che è vita vera. Infatti è una scena genuina, di vita quotidiana e anticipa che la coppia Anne-Jack è speculare, con problemi diversi, a Parry-Lydia.
Il film vinse un Oscar (Mercedes Ruehl, bravissima specie nella parte centrale) e il Leone d’argento al Festival di Venezia. Due riconoscimenti sacrosanti che probabilmente sono un po’ stretti alla qualità complessiva della pellicola, vista la mole di idee che questo film sprigiona.
Questo è la classica storia intelligente che ti entra nel cuore e ci rimane per diversi giorni. Anche se tra nella parte centrale e in quella finale c’è qualche eccesso di zucchero. Che però non guasta e non appesantisce. Riguardare La leggenda del re pescatore è sempre emozionante ed è l’ennesimo gioiello di Terry Gilliam. Tant’è che alla fine vi verrà voglia di cantare Frank Sinatra o di sbracarvi nudi come vermi in mezzo a Central Park. In attesa che la vita ci dia i fuochi d’artificio che tanto agognamo.
FONTI: Cinematografo, Debaser, Storia dei film, Coming Soon, Movieplayer, Bad Taste, My Movies
Regia ****1/2 Interpretazioni ****1/2 Fotografia **** Sceneggiatura ****1/2
LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE ****1/2
(USA, GB 1991)
Genere: Drammatico, Commedia, Fantastico, Sentimentale
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Richard La Gravanese
Cast: Robin Williams, Jeff Bridges, Mercedes Ruehl, Amanda Plummer, Tom Waits
Durata: 2h e 17 minuti
Fotografia: Roger Pratt
Distribuzione: Columbia Pictures – Sony
Budget: 24 milioni di dollari
Trailer Originale qui
Premio Oscar 1992 per Miglior Attrice non protagonista a Mercedes Ruehl
Leone d’Argento al Festival di Venezia 1991 a Terry Gilliam
La frase: Vedi uno va a lavorare 8 ore al giorno per 7 giorni la settimana. Si sente le palle talmente così strizzate nella morsa che comincia a contestare l’essenza stessa della sua esistenza.
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.