L’impatto ambientale dell’𝓊𝓈𝒶 ℯ ℊℯ𝓉𝓉𝒶 durante la pandemia, l’assenza dalle piazze settimanali dei Fridays For Future e il calo significativo della mobilità a livello globale sembravano aver mitigato la cosiddetta “emergenza climatica”, almeno dall’agenda politica o dal dibattito pubblico.
Alcuni segnali invece vanno in direzione diversa. Basta pensare alla vittoria del Partito Democratico negli Stati Uniti (con una centralità nel programma di governo del tema ambientale), o alla rilevanza che sembra aver avuto – all’interno della crisi istituzionale italiana – l’istituzione di un ministero dedicato alla transizione ecologica.
In questa rubrica ci siamo occupati più volte delle tematiche ambientali e dei movimenti attivi su questo fronte. Torniamo a farlo in questa situazione straordinaria, guardano alla situazione globale e al nostro Paese.
Piergiorgio Desantis
Una rondine non fa primavera (soprattutto in mezzo ai draghi). Il caso del ministero della transizione ecologica è come la caramella che serve per ingoiare la pillola. Mari tempestosi dalle parti del M5s, anche alla luce dell’uscita di Alessandro Di Battista. È davvero inquietante che temi così importanti come l’ambiente e lo sviluppo sostenibile siano trattati come una sorta di cambiale in bianco nelle mani del presidente del Consiglio Mario Draghi. Ancora neanche un accenno su dove si voglia andare a parare, mentre si vota la fiducia al nuovo governo. Anche in ciò si manifesta il distacco della politica, non solo dal corpo elettorale, ma dalla realtà. Viene da confidare, ancora una volta, in movimenti come Friday for Future che possano dare un po’ di ossigeno in una fase storica così irrespirabile.
Francesca Giambi
La discussione sulla creazione del Ministero della Transizione Ecologica ha riportato l’attenzione generale sul tema ambientale che, purtroppo, negli ultimi mesi è sembrato “marginale” rispetto all’emergenza sanitaria ed economica: si è parlato di “natura che si riprende i suoi spazi” (pensiamo ai delfini nei canali di Venezia) come se le riduzioni di emissioni del 2020 dovute ai lockdown avessero risolto o almeno alleggerito il problema. La realtà ci vede ancora molto distanti dagli obiettivi dell’Agenda 2030; per esempio la virtuosa Germania che aveva come obiettivo fissato per il 2020 una riduzione del 40% di emissioni si è fermata, nonostante la pandemia, a circa il 37%.
L’idea del nuovo Ministero che unisca le competenze per lo sviluppo economico, l’ambiente e l’energia, fa comprendere come sempre di più la questione ambientale sia anche e soprattutto economico-sociale. Abbiamo “vicino casa” esempi più o meno riusciti, in particolare Francia e Spagna con ministeri simili creati negli ultimi anni, anche se sono necessari alcuni distinguo.
La Spagna, come evidenziato da Greenpeace, ha dimostrato che i cambiamenti dati dal riordino dei ministeri hanno portato a prendere maggiori decisioni strategiche in campo energetico nella giusta direzione, anche se ancora troppo lentamente; il limite spagnolo sembrano essere le materie di competenza, che escludono alcuni settori strategici.In Francia a fronte di alcuni importanti innovazioni, quali la promozione di fonti rinnovabili, auto elettriche ed un piano per le infrastrutture verdi nelle città, il Ministero si è trovato in forte difficoltà, anche con l’Eliseo stesso, per la cosiddetta “fiscalità ecologica”, che prevedeva un incremento della tassazione su carburanti fossili, che è stata poi la miccia per le proteste dei gilet jaune.
Sulla carta quindi la visione nuova con cui ci si approccia alla questione ecologia dovrebbe avere il consenso ed il supporto di tutti, ma purtroppo ad oggi registriamo difficoltà anche solo in una normativa comune sulle plastiche.
Leggendo recenti dichiarazioni dell’ex ministro dell’ambiente Ronchi, il quale sostiene la necessità di cambiamento nella visione della “transizione verde” e l’urgenza del “saper spendere” in questa direzione i fondi in arrivo, appare evidente come bisogna evitare i principali errori francesi. Nello specifico il riordino che in Francia non è stato accompagnato da modifiche normative tali da dare pieni poteri al ministro della Transizione Ecologica; il che comporta che a direzioni di priorità indicate non si abbia la certezza della decisione finale.Ma se ci sono le premesse per un Ministero di forte sinergia economico sociale, ci assale però il dubbio che tutto questo rinato interesse ecologico ed ecologista sia fortemente legato all’arrivo degli sghei…
Dmitrij Palagi
Può esistere un capitalismo verde? Ovviamente sì. Dipende da cosa si intende per verde.Può esistere un capitalismo sostenibile per l’ambiente? Ovviamente no, perché il sistema economico vigente favorisce le logiche del profitto dei soggetti privati, con un ruolo del pubblico assolutamente secondario rispetto a fenomeni che hanno sempre più una dimensione globale.
La dimensione nazionale può poco, se non si proietta in un contesto più ampio di azione. Al tempo stesso gli accordi internazionali non hanno nessun valore, mancando qualsiasi principio democratico che possa definire una sovranità che esca dai confini dei singoli Paesi e possa confrontarsi con i protagonisti del mercato, in una misura non marginale apolidi.
Può esserci solo una rottura, da costruire nella società. Il futuro per un ministero? Serve a poco. Serve a parlare “di tutto e di niente” (cit.).
I movimenti hanno una loro funzione, che in modo importante si rinnova ciclicamente. Manca una soggettività capace di mettere all’ordine del giorno un mutamento della società che abbia una relazione con un significativo numero di persone, ponendo l’attualità di nuovo modello di sviluppo, mettendo l’economia al servizio della società e dell’ambiente.
Jacopo Vannucchi
Gli effetti dei lockdown del 2020 sulle condizioni climatiche sono ancora oggetto di ricerca da parte degli studiosi, ma, anche senza risultati definitivi in materia, è certo che quella esperienza ha almeno parzialmente aiutato a dissipare l’illusione che il sistema economico vuol dare di sé: di essere naturale ed eterno. La sospensione del traffico urbano e la corposa contrazione di quello aereo hanno resettato un ritmo di vita di cui sono stati messi in chiara luce non solo gli effetti inquinanti ma anche i caratteri di superfluità.
Le emissioni di CO2 e gas serra tuttavia non si riducono agli effetti del traffico e neppure a quelli della produzione industriale. Il mastodontico esercito di server che tiene in piedi il web, ad esempio, ha un’impronta ecologica stimata nella dimensione di quella dell’intero comparto aereo. La parte del leone la fanno naturalmente i contenuti più complessi, cioè lo streaming video: è facile comprendere come lo stesso lockdown abbia generato un aumento nel consumo di questi contenuti.
In altri termini, tutto lo stile di vita del mondo sviluppato, e non solo il settore secondario della produzione, ha tratti di insostenibilità ecologica.Affrontare il problema è fuori dalla disponibilità di questo o quel singolo governo – ad eccezione forse di Stati Uniti e Cina, il cui effetto sarebbe comunque solo parziale. Per giudicare il Ministero della Transizione Ecologica del Governo Draghi bisognerà quindi attenderne i programmi e le linee di impegno, anche nei confronti degli accordi internazionali. Certo è che non si è avuto l’accorpamento fra Ambiente e Sviluppo Economico su cui di fatto aveva puntato il Movimento 5 Stelle; tuttavia, visti i risultati deludenti di simili precedenti alchimie (Sviluppo-Lavoro con Di Maio nel 2018, Sviluppo-Infrastrutture con Passera nel 2011), questo potrebbe non essere un danno.
Alessandro Zabban
Rispetto allo spesso secondario ministero dell’Ambiente, tradizionalmente poco incisivo per mancanza di poteri e di risorse, il nuovo ministero della Transizione ecologica sembra alludere a una maggiore attenzione pubblica verso le tematiche ambientali e di riconversione ecologica, sebbene ancora non siano ancora del tutto chiare le competenze e gli obiettivi.
La creazione di questo nuovo ministero purtroppo però non nasce da una reale sensibilità ecologica delle forze politiche ma solo dalla consapevolezza che i principali fondi europei stanziati nei prossimi anni verranno destinati proprio ai progetti di transizione ecologica. Si avverte in Europa sempre più l’esigenza, come è già stato fatto in Spagna e in Francia, di una riorganizzazione dei dicasteri e delle competenze per mettere in atto una politica economica green. In Francia l’esito non ha però portato a una rivoluzione verde come nelle intenzioni mentre qualche segno più incoraggiante pare venire dalla Spagna. All’Italia manca però una politica industriale seria da decenni e ci si trova ora, in maniera un po’ raffazzonata e in una situazione politica del tutto inedita a dover pensare a un modello di sviluppo ecologico senza avere però minimamente chiaro quale possa essere l’indirizzo di politica economica generale da dare al Paese, con un governo sia tecnico che politico, sia di destra che di sinistra in cui tutti gli equilibri sono misurati col bilancino e risultano estremamente fragili.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.