Dopo 5 anni ecco il nuovo disco che omaggia le musiche d’autore degli anni 60-70 e si ispira ai film western di Sergio Leone e John Ford.
Ogni volta che esce un disco del Boss è un evento: l’attesa sale alle stelle, l’entusiasmo cresce tra milioni di fan in tutto il mondo. Quando dici Springsteen, pensi a stadi straboccanti di gente felice, dominati da energia e carisma. I suoi concerti sono noti perché sono maratone musicali che sfiorano le 4 ore. Qualsiasi altro artista non può competere con il carisma e la padronanza assoluta del Boss. Tuttavia Bruce, ormai vicino ai 70 anni (li compirà il 23 settembre), ha già annunciato che dopo l’estate sarà in studio a registrare il nuovo attesissimo disco rock ‘n roll con la E-Street Band. Nel 2020 partirà un nuovo tour mondiale che sicuramente vedrà protagonista anche l’Italia (in un’intervista a Repubblica, ha fatto capire che suonerà quasi sicuramente a Roma). Preso atto di questo, fate finta che tutto ciò non ci sia. Perché il ritorno sulle scene di Springsteen è qualcosa di totalmente diverso.
È spiazzante questo ritorno. Sicuramente dal punto di vista dei testi ha fatto di meglio, ma ciò che rende questo disco interessante è la cura degli arrangiamenti musicali arricchendo la mitologica carriera del Boss. Siamo dalle parti di dischi come Devils and dust, The ghost of Tom Joad e Nebraska. La differenza rispetto alla concorrenza è sempre stata una: avere nel proprio Dna uno storytelling cinematografico, raccontando attraverso la musica i dettagli dei personaggi. Sembra una cosa semplice, ma è roba per una ristretta élite di artisti.
5 anni dopo “High Hopes”, il Boss è tornato alla musica da strada, quella da cantautore. Dopo tutto la sua carriera è divisa in due tronconi paralleli: da una parte la rockstar che riempie gli stadi, dall’altra il poeta impegnato politicamente e socialmente. Uscito il 14 giugno per Columbia Records (di proprietà della Sony Music), “Western Stars” è un disco pop on the road con confezione da colonna sonora. Questa volta il Boss si avventura sulla sponda ovest, nella California del Sud tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, ben lontano dalla sua casa natale (il New Jersey, sulla sponda est). Il 19° album di studio prende direzioni musicali inedite rispetto ai lavori precedenti, prendendo spunto da Laurel Canyon, Glen Campbell e Jimmy Webb, senza dimenticare Johnny Cash.
I tredici brani che compongono il disco vantano tantissimi temi americani contrapposti: autostrade immense e spazi desertici, dall’isolamento all’idea di comunità, dalla stabilità alla speranza che non devono mai mancare. E sono proprio queste cose che rendono riconoscibile il lavoro del Boss: infatti non mancano il suo modo di narrare, di riprendere alcune faccende lasciate in sospeso. Come dice il critico musicale Gianni Sibilia, “è una raccolta di storie, una galleria di personaggi che cercano la loro strada sotto il cielo di un’America che non c’è più”. Il vagabondaggio è sicuramente un elemento fondamentale del viaggio, anche se il vero protagonista di Western Stars è il tempo. Come nei film western di John Ford e Sergio Leone. Ma ciò che stordisce di più è che questo è un disco solitario. Il che colpisce visto che Springsteen nei suoi dischi più famosi (su tutti The River) ha sempre manifestato l’importanza del senso di appartenenza a una comunità e al valore salvifico dell’amore. Ovviamente dopo aver visto e riflettuto sul deserto attorno a sé. “Western Stars” è come il racconto della vita di una persona. Il viaggio on the road non è altro che il riflesso della sua esistenza.
L’album si può dividere in tre nuclei distinti: la prima racconta il “mettersi alla prova” con l’autostop, poi il disco si fa più maturo, riflessivo perché l’inseguimento dei cavalli selvaggi comporta delle conseguenze sia a livello fisico sia mentale. Fino ad arrivare alla parte conclusiva, quella in cui il protagonista arriva nel parcheggio di un motel a ripensare a cosa ha fatto nella sua vita. Lo storytelling del rocker del New Jersey però è fatto come se fosse un film western. Come aveva già fatto nel memorabile “The ghost of Tom Joad” (1995), i romanzi di Steinbeck (su tutti “Furore” da cui Springsteen prese spunto per il protagonista della sua storia), i film di John Ford, il mito di John Wayne, le musiche di Ennio Morricone sono ancora fonte di ispirazione. La cosa è visibile già dalla copertina di “Western Stars” che raffigura un indomito cavallo selvaggio. Considerate che la figlia di Bruce, Jessica, è una star dell’equitazione (poche settimane fa era a Roma al Global Champions League).
Gli arrangiamenti sono curatissimi, la voce roca di Springsteen è fluida, le parole sono scandite per intero. Cosa rara visto che i cantanti americani sono noti per tagliare (o cambiare la pronuncia) delle parole per ottenere maggior fluidità. Molti hanno criticato la scelta del Boss di fare questo disco. È impensabile che a quasi 70 anni Springsteen abbia la stessa potenza di quando era giovane. Ha scelto di fare qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo di estremamente coerente con le storie raccontate in passato.
Con Bruce non c’è la E-Street Band, ma ci sono 20 musicisti, tra cui l’inseparabile moglie Patti Scialfa che ha curato buona parte degli arrangiamenti vocali. Invece delle chitarre elettriche sparate a 2000 e della batteria potente di Max Weinberg, questa volta il disco è intriso di chitarre acustiche, archi, pedal steel e violini. Questo disco parla del tradimento verso l’America. Ogni personaggio può rappresentare una personalità del suo autore, ma si può riflettere della vita di chi ascolta. Ma iniziamo il viaggio musicale alla scoperta delle tracce del cd “Western Stars”. Partiamo dall’inizio.
Hitch Hikin’
Pronti, partenza, via. Che il viaggio abbia inizio. La canzone prende spunto da Bob Dylan e la sua “Like a rolling stone”. Il protagonista è un autostoppista che incontra lungo il cammino tante facce, tante persone: una giovane coppia con donna incinta, un camionista e un indomito fanatico dei motori. La canzone cresce alla distanza dopo un inizio lento, delicato. Alla fine realizzerà il cardine della canzone di Dylan: how does it feel to be on your own. Come ci si sente da soli?
The Wayfarer
Continua il viaggio di un cuore solitario alla ricerca di pace e bellezza. Mentre tutti dormono e rintocca la mezzanotte, il protagonista si mette in moto. Un’altra melodia da love story stile Roy Orbison (cantautore da cui Springsteen ha preso tanta ispirazione) in cui si sente l’influenza della musica californiana anni 60. Si inizia a percepire il violino e il piano. Il viaggio è ancora in corso “from town to town”. I cori lontani della moglie Patti Scialfa sottolineano la distanza del protagonista dalla fine del suo viaggio.
Tucson Train
Ecco il singolo che già dal 30 maggio è ascoltabile su Youtube (vedi qui). Sembra di rivivere The Rising o Devils and Dust, ma come ha detto Springsteen questa è un’altra cosa. Infatti sembra l’altra faccia di “Downbound train” (pezzo più riflessivo di “Born in the Usa”): quella reale. Se il “treno che ti porta giù” sembrava una metafora, qui tutto è dannatamente vero. Ancora una volta al centro della narrazione c’è un lavoratore disilluso, più precisamente un manovratore di gru, che combatte per rifarsi una vita. Tutti i suoi sforzi sono stati vani. Il titolo dà anche l’idea di una stazione in un film western. Ricordate le opere di John Ford e Sergio Leone? Il treno rappresentava il progresso. Che spesso non era tale. Nella canzone di Springsteen invece c’è il protagonista che aspetta la sua amata alla stazione. Probabilmente il miglior pezzo dell’intero album.
Western Stars
Insieme a Tucson Train, è il miglior brano del disco. Questo pezzo sembra uscito da Nebraska, album acustico del 1982. L’influenza di Morricone è palese: è il pezzo più cinematografico dell’album. Non è un caso che Springsteen usi le note di “C’era una volta il west” prima di entrare in scena nei suoi concerti. Il legame tra Ennio e Bruce viene da lontano (leggi qui). L’arrangiamento è molto curato, ma veniamo alla storia di questa canzone. Ci sono numerosi attori che si riempiono di viagra (per tornare ai fasti di un tempo che fu), cowboy di serie B che imitano e rimembrano John Wayne e naturalmente tanti spazi aperti, come il mito del West. Per la prima volta durante questo viaggio i protagonisti hanno un dubbio: meglio rimembrare i fasti del passato o guardare il presente?
Sleepy Joe’s Café
Questo pezzo è un omaggio a tutta la working class che si fa una birra durante il fine settimana dopo aver lavorato alacremente. Eccoci alla pausa del viaggio. La storia è quella della famiglia che gestisce il “Joe’s cafè”. Springsteen omaggia i bar di provincia, quelli dove è cresciuto, quelli dove ha suonato quando non era famoso. Questo locale è un po’ l’oasi lungo il deserto autostradale dove la gente si può dissetare e riprendere dai dolori della vita quotidiana.
Drive Fast (The Stuntman)
Fino ad ora abbiamo quasi sempre accelerato. Ecco che arriva la prima frenata. I protagonisti del singolo Western Stars tornano a far capolino. La fatica fisica e psicologica del viaggio inizia a farsi sentire: il protagonista ha due perni d’acciaio nell’anca e una clavicola spezzata. L’attore ha bisogno di uno stuntman perché il suo corpo inizia a chiedergli il conto. Questa canzone è metafora della vita di tutti i giorni: quando si guida veloce si rischia di cadere rovinosamente per portare a casa un pezzo di pane. Il problema però non è il lavoro, ma l’aver sacrificato persone e affetti in nome di esso. Altro che Born to run! L’esatto opposto.
Chasin’ Wild Horses
Dopo aver inseguito a lungo chimere e cavalli selvaggi, iniziano i rimpianti. L’inizio del pezzo sembra un film western stile Sentieri Selvaggi. Protagonista è un autoesiliato cowboy che inizia a rimpiangere la città dove ha vissuto, dove è cresciuto, gli amici che ha lasciato per un viaggio senza destinazione. Una canzone che sembra simile a “Mr Tamburine man” di Bob Dylan.
Sundown
Questo ennesimo spirito solitario rivela di essere a 2500 miglia dalla destinazione. Si è posto degli obbiettivi e vuole portarli a termine. Tuttavia l’uomo è spaesato e il narratore non sembra particolarmente attendibile. Una scelta molto usata nel cinema per tener attento lo spettatore. Per chi ama la narrazione di Springsteen è il luogo della redenzione, presente in molte delle sue composizioni.
Somewhere North of Nashville
Rimpianti e spaesamento sono ancora i protagonisti nella mente di questo aspirante cantautore. Springsteen ricorda quando ancora non era il Boss. Si ritrova da qualche parte, a nord di Nashville, alla ricerca di se stesso, a rimuginare su cosa non è andato nel verso giusto.
Stones
Questo pezzo sembra esser uscito da The Rising. L’inizio sembra esser uscito dalla colonna sonora de “Gli Intoccabili” firmata Ennio Morricone. Curatissimo, con insistiti archi, violini, piano e batteria. Ancora una volta è il rimpianto il nocciolo della questione. Inizia a serpeggiare malinconia e malessere durante il percorso. Al centro della canzone ci sono i sassi in bocca, ovvero le punizioni per le menzogne di una vita.
There Goes My Miracle
Questo singolo è stato il secondo già pubblicato in rete. Inizia il terzo atto del racconto: dopo lo spaesamento inizia la consapevolezza che la salvezza arriverà con l’amore. Non è il miglior Springsteen secondo me, però è una canzone di passaggio per la fase finale del viaggio.
Hello Sunshine
Il primo singolo che ha lanciato “Western Stars” è stata questa. Perché secondo voi è stata scelta? Perché la canzone porta alla luce un fatto noto per chi ha letto l’autobiografia Born to run: la lotta alla depressione di Springsteen. Attraverso le scelte dei personaggi che racconta, la canzone si fa emblema di un percorso ricco di ostacoli. L’arrangiamento è ricco e curatissimo. Si possono notare il piano, le spazzole, la steel guitar, gli archi. Ricorda molto “Everybody’s talkin’ ” di Fred Neil, che Nilsson rifece per la colonna sonora di “Un uomo da marciapiede”, film con Dustin Hoffman e Jon Voight (https://www.youtube.com/watch?v=IQlmgmR4a4g).
Moonlight Motel
Siamo arrivato alla fine del viaggio, al capolinea. La strada è sgombra, non c’è nessuno che viaggia. L’epilogo è dolceamaro. Quest’uomo, esausto dal viaggio, si ferma nel parcheggio del Moonlight Motel. Gira la chiave, spegne il motore, prende una bottiglia di Jack Daniels e qui vi annega i pensieri. Constata che l’importante è aver amato. Di nuovo fanno capolino solitudine, senso della sconfitta, amori finiti, realtà e bugie. E visse felice e contento?
La risposta la deve trovare l’ascoltatore, in base alle proprie esperienze e funzionalmente alla propria vita. Ed è questo il grande segreto di Springsteen: accumunare le proprie vicissitudini con quelle di chi l’ascolta. Le sue canzoni sono universali e senza tempo. Il viaggio che il Boss intraprende da quasi mezzo secolo (di onorata carriera) ha insegnato ai suoi fan ad essere persone migliori. Nessuno come lui ci ha raccontato il cambiamento, l’involuzione, i problemi e i disagi sociali, le lotte per i diritti. Il tutto con grande speranza, disillusione, ma anche con realismo e gioia. Per questo i suoi pezzi continueranno ad essere ascoltati.
Fonti: Rockol, Virgin Radio, La stampa, Il Manifesto, Repubblica, Corriere della Sera, Rolling Stone, Panorama, Vanity Fair
Western stars – Bruce Springsteen * * * 1/2
Tracklist:
1. Hitch Hikin’
2. The Wayfarer
3. Tucson Train
4. Western Stars
5. Sleepy Joe’s Café
6. Drive Fast (The Stuntman)
7. Chasin’ Wild Horses
8. Sundown
9. Somewhere North of Nashville
10. Stones
11. There Goes My Miracle
12. Hello Sunshine
13. Moonlight Motel
Dal 14 giugno in cd, vinile e digital download
Immagine da www.virginradio.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.