Julie Ducournau è tornata e ancora una volta mi ha dato del filo da torcere.
È riuscita nell’impresa di farmi uscire dal cinema senza poter giudicare la sua opera. Penso che sia la prima volta. C’è un eccesso di violenza di ogni tipo che personalmente non amo. Vedendo quanta ce n’è nella vita sociale e quotidiana odierna, mi basta e mi avanza. È uno di quei film che sotto la superficie, mostra dei segnali contrastanti (soprattutto quando mescola i toni). La provocazione c’è ed è massiccia, ma non sempre è sinonimo di qualità. Sicuramente è un film da vedere a stomaco vuoto, altrimenti i pop corn rischieranno di riversarsi sul pavimento. Come d’altronde accadde a diversi spettatori durante la visione di Raw, l’opera prima della Ducournau. Nel 2020 prima dell’avvento della pandemia abbiamo avuto il fegato di mostrare la pellicola al cineforum. Un film abbastanza particolare, estremo sul cannibalismo, ma che in confronto a “Titane” è leggerissimo.
«Mentre stavo finendo il mio primo film Raw- Una cruda verità, ho pensato che nel successivo avrei voluto raccontare una storia d’amore. In quei giorni ero tormentata da un incubo: ero incinta e partorivo pezzi di un motore a scoppio. Mi sembrava una bella immagine e ho pensato che fosse intrigante legare entrambi questi elementi al mito greco di Gaia, la dea della Terra, e a Urano, il dio del cielo, dalla cui unione sono nati i Titani. In francese usiamo la e per declinare i sostantivi al femminile e così ho preso la parola Titan, che vuol dire Titano, e l’ho trasformata in Titane, titanio, per ottenere un chiaro riferimento al mondo dei motori» – ha riferito alla stampa la regista.
Eh sì, ha ragione il proverbio: donne e motori, gioie e dolori. Per non equivocare ed evitare interpretazioni sui conflitti tra uomini e donne, si può dire che “le cose che più ami possono anche farti più male”.
Solitamente il connubio donne – auto è prettamente maschile. La Ducournau vuole abbattere il clichè: «volevo imitare un certo sguardo maschile che equipara le donne alle automobili, mostrando che entrambe sono truccate, tirate a lucido, sexy. Poi però Alexia si sottrae a questo sguardo e reclama il possesso del proprio corpo e del desiderio per l’auto su cui danza e, guardando dritto negli occhi gli spettatori, fa capire che non è più lei l’oggetto. Lei è il soggetto attivo».
Francamente, da questo punto di vista, non possiamo darle torto. L’opera seconda toglie ogni freno inibitore alla regista francese, classe 1983, che ogni volta si è fatta notare per rompere ogni schema logico.
È un “body horror” punk, pieno di lividi, tagli, ustioni, sangue, sudore, pulsioni, umori, segni, reazioni e di corpi mostrati senza pudore.
A Cannes “Titane” è stato premiato con la Palma d’Oro 2021 e rappresenterà la Francia agli Oscar 2022. Dopo “Lezioni di piano” di Jane Champion, la Ducournau è l’unica regista donna ad aver vinto il premio. L’edizione 2021 del festival francese non è stata un’edizione memorabile. Nanni Moretti espresse ironicamente tutto il suo malcontento per la vittoria di Titane a Cannes:” invecchiare di colpo. Succede. Soprattutto se un tuo film partecipa a un festival. E non vince. E invece vince un altro film, in cui la protagonista rimane incinta di una Cadillac. Invecchi di colpo. Sicuro”. Onestamente “Tre piani” non meritava di vincere.
La Ducournau ha risposto in maniera sibillina invitando il regista italiano a vedere il suo film. È stata definita un’opera che mostra il futuro, ma speriamo che non abbia ragione la regista. È innegabile l’influenza di Luc Besson (Nikita e Leon, su tutti) e soprattutto di Cronenberg (Crash e Videodrome), ma anche della parte iniziale de “L’impero dei lupi” con le luci al neon di Nicolas Winding Refn (Drive, Solo Dio Perdona).
Veniamo alla storia. Alexia (A.Rousselle) è una donna molto particolare: ha una lamina alla tempia dopo un incidente in tenera età. Già da piccola era instabile, irrequieta. Così come in “Raw”, l’incidente iniziale indica per Ducournau la fine di un processo: in questo caso provoca per Alexia la definitiva frattura con la famiglia (patriarcale, ovviamente) per abbracciare la lamiera, l’odore del benzene, l’olio, gli ingranaggi dell’auto.
Divenuta grande, balla e fa performance erotiche su delle auto in un salone espositivo. Ma è “un male di vivere ambulante”. Gli uomini credono sia una facile preda, ma lei è una tosta che sa anche uccidere come la “femme Nikita”. Per difendersi da un possibile stupro, lei uccide un ragazzo. E’ solo l’inizio di un’escalation di morti. Alexia non ama gli uomini, è un Terminator coi capelli biondi ricoperta di titanio.
Carne, sangue e metallo si fondono. È un involucro che muta, è il mio corpo che cambia nella forma e nel colore, è in trasformazione (cantavano i Litfiba): prima quello di una donna, poi di una figura androgina, poi si rompe il naso e nasconde seno e “pancetta” per assomigliare a un ragazzo, infine diventa una madre. Alexia, poi Adrien, infine somma di entrambe le identità. Ma presto rimane incinta di una Cadillac (qui mi ha ricordato Cameron Diaz che fa perdere la testa a Javier Bardem in “The Counselor” di Ridley Scott).
Una roba mai vista prima. A Cannes lo ha sottolineato anche il presidente della Giuria, Spike Lee. Per sfuggire alla polizia in seguito a diversi omicidi, si traveste da maschio assumendo l’identità di Adrien. Qui il film sembra prendere alcuni elementi da “Boys don’t cry” (film bello e tostissimo) che dette il secondo Oscar a Hilary Swank.
La regista ha preso spunto dalla sua possibile reazione dopo un palpeggiamento in metropolitana. “Ho pensato che a chi lo fa non viene mai in mente che potrei avere una pistola nella borsetta e sparargli all’istante. Odio questo cliché secondo cui le donne sono vittime e gli uomini carnefici, perché condiziona il modo in cui tutti condividiamo gli spazi pubblici. Per questo ho immaginato un personaggio femminile terrificante: per mostrare che la violenza può provenire da chiunque. Anche se così mi sono messa nei guai da sola…”. Quest’ultima presa di posizione della regista mi fa credere che l’esperienza l’abbia vissuta in maniera reale. La cosa è tangibile per come riesce a descrivere il problema sociale della protagonista.
Il ragazzo vero era sparito 10 anni prima. Il padre Vincent (un inedito Lindon), comandante dei pompieri sul “fascio andante”, ha bisogno di lei per curare la ferita del passato. Quest’uomo si crede un macho, è pompato di steroidi pur sapendo di non esser più giovane. Alexia ha bisogno di un rifugio sicuro.
Così uniscono le forze e il rapporto fra i due poi si evolve. Si capisce poi dove il film vuole andare, anche se in maniera non convenzionale: in questo mondo c’è un maledetto bisogno d’amore. E questo provocherà ovviamente la caduta delle maschere. Titane è anche un film sulla paternità: il padre di Alexia, distante, e il pompiere che la tratta come se fosse un figlio piccolo sono simboli di padri svampiti e/o assenti.
Bisogna dare atto a Ducournau che è una regista che rompe i tabù e che non ha schemi. I temi trattati sono attuali e importanti, ma mostrati in maniera diversa. Ad esempio come la mascolinità tossica, la riscossa del femminile. La regista si diverte a invertire i ruoli, a disorientare lo spettatore per farlo ragionare.
Come aveva già fatto Pablo Larrain in “Ema” (vedere qui), c’è il gusto della provocazione, ma anche della distruzione. Ma c’è spazio all’ironia (notare la scena della Macarena). In “Titane”, come in “Ema”, c’è tanto fumo (e un po’ di arrosto), tante fiamme e i pompieri hanno un ruolo fondamentale per comprendere il film. Complessivamente mi sembra che Julie Ducournau, con furbizia e anche con innegabile passione, abbia costruito un film apparentemente interessante, ma fin troppo eccessivo e violento. Forse il problema principale della pellicola è far credere al pubblico che sia tutto frutto di una prossima realtà. E ciò mi sembra francamente eccessivo.
Fonti: Cinematografo, Film Tv, Comingsoon, Onda cinema, Movieplayer
TITANE (Francia, Belgio 2021)
Regia e Sceneggiatura: Julie Ducournau
Genere: Drammatico
Cast: Vincent Lindon, Agathe Rousselle
Durata: 1h e 48 minuti
Fotografia: Ruben Ipens
Distribuzione: I Wonder Pictures
Uscita Italiana: 1 Ottobre
Palma d’oro a Cannes 2021
Trailer Italiano qui
Immagine da mymovies.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.