La tensione tra Stati Uniti e Iran con la presidenza Trump è peggiorata in una continua escalation. Il culmine è stato raggiunto giovedì 13 giugno quando nel golfo dell’Oman due petroliere, una giapponese e una norvegese, sono state colpite. Gli Stati Uniti non hanno esitato ad accusare la Repubblica islamica, colpevole di voler ostacolare il traffico nello stretto di Hormuz facendo schizzare alle stelle la tensione internazionale.
Mentre si prolungava il botta è risposta tra Mike Pompeo e il corrispettivo iraniano, nuovi episodi hanno contribuito a incendiare nuovamente l’atmosfera. Infatti, giovedì 20 giugno l’Iran ha abbattuto un drone americano che aveva sconfinato sul proprio territorio. Trump ha annunciato poche ore dopo di aver fermato l’attacco all’Iran dieci minuti prima, per scrupolo verso le troppe vite umane che sarebbero state messe in pericolo: 150 vite per l’abbattimento di un drone sarebbe probabilmente stata giudicata una reazione sproporzionata. Resta una tensione alle stelle e nessuna idea su come disinnescarla.
Piergiorgio Desantis
Aleggia, sempre più persistente, la minaccia di una guerra da parte degli Usa di Trump dopo l’abbattimento di un drone americano che, con ogni probabilità, volava proprio nei cieli sopra l’Iran (o nelle vicinanze). Trump inizialmente si era mostrato incline a colpire tre diversi siti iraniani, poi ha deciso di soprassedere. Lasciando da parte ovvie considerazioni circa un sistema politico che consegna nelle mani di un singolo uomo così grandi responsabilità mondiali, per il momento, a parte notizie che parlano di un attacco informatico alle strutture di intelligence iraniane, non c’è stato alcun intervento militare. Tuttavia, una guerra in un contesto così esplosivo, non può non presupporre gravi e tragici eventi, tra i quali l’uso di armi nucleari. Ecco, perché è sempre più necessario, a partire dall’Europa, che rinasca e si consolidi un rinnovamento movimento della pace e di denuclearizzazione militare che scuota le coscienze e le opinioni pubbliche, spesso sopite, dell’Occidente.
Alex Marsaglia
Trump ha una politica estera sicuramente aggressiva e pericolosa, ma di una cosa possiamo essere sicuri: non è un folle pronto a iniziare una nuova guerra da cui non è sicuro di poter trarre benefici. Al contrario quanto avvenuto con la Corea del Nord, ad esempio, ci dimostra che Trump è un abile negoziatore che utilizza i rapporti di forza come arma per ottenere nuovi accordi vantaggiosi per la nuova politica economica degli Stati Uniti. I confini ideologici sono molto più labili ora con Trump rispetto alla precedente presidenza “progressista”. Così i rapporti con l’Iran fissati dai precedenti accordi di Obama sono da ridefinire, possibilmente portando l’Iran nell’orbita economica statunitense. Questo mi sembra il reale obiettivo di Trump, al di là delle dichiarazioni eclatanti e le prove di forza muscolari degli scorsi giorni.
Infatti Trump è pronto a nuove pesanti sanzioni all’Iran, senza mai abbassare l’arma militare, ma allo stesso tempo propone un nuovo accordo sul programma nucleare e adatta alla Repubblica degli Ayatollah uno dei suoi celebri slogan, coniando «Let’s make Iran great again».
Tutto questo per dire che Trump punta senza mezzi termini all’economia iraniana, dopo che il precedente accordo ha consentito la crescita di un mercato in intesa tra Stati Uniti e Iran, l’accordo tra i due è solo da affinare e questo sembra il reale obiettivo del Presidente americano.
Dmitrij Palagi
Quanto consenso può portare una guerra? Negli Stati Uniti gli equilibri sugli interventi militari sono sempre delicati. Teorie isolazioniste diffuse nell’opinione pubblica, interessi economici sempre più appaltati, forme di intervento militare cambiate nel XXI secolo e nuovi attori geopolitici hanno significativamente reso più complessa la situazione. L’Iran è un protagonista del Medio Oriente stabile e problematico, per il blocco occidentale. L’Italia avrebbe un passato di relazioni da rivendicare ma è ovviamente del tutto incapace di giocare un ruolo, al pari di quasi tutto il vecchio continente. Una nuova guerra pare non essere all’ordine del giorno, anche se quando iniziano si spera sempre fino all’ultimo che non ci sino possibilità. Se Obama non era un premio nobel della pace, Trump non è un folle pronto a cavalcare i missili. Gli Stati Uniti sono un colosso di interessi imperialisti e privati. I loro Presidenti rispondono a logiche ben più ampie di quelle elettorali (o ben più ristrette, a seconda del punto di vista). Di certo c’è l’irrilevanza dei vari soggetti europei e la debolezza del pacifismo internazionale.
Jacopo Vannucchi
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Alessandro Zabban
Su questa rubrica si è più volte fatto accenno alla persistente impronta imperialista nella politica estera statunitense. L’isolazionismo che Trump aveva evocato in campagna elettorale si è rivelato un bluff fin da subito. Tuttavia risulta ancora piuttosto difficile capire le reali intenzioni della Casa Bianca. Trump ha cercato di mostrare i muscoli un po’ con tutti i più importanti paesi invisi a Washington, dalla Siria all’Iran passando per Corea del Nord e Venezuela. Ma nonostante le sanzioni economiche, la soluzione militare è sempre stata scartata.
Oggi i riflettori sono puntati sull’Iran. Si tratta dell’ennesimo show propagandistico di Trump o c’è in ballo qualcosa di più? Sicuramente John Bolton, i sauditi e gli israeliani spingono per un intervento militare in Iran che significherebbe disintegrare l’asse sciita (composto anche dall’Iraq e dalla Siria di Assad) cambiando profondamente gli equilibri geopolitici in Medioriente.
Un intervento militare sarebbe però una follia criminale senza precedenti. Al contrario della guerra in Iraq, difficilmente un conflitto in Iran può restare localizzato. Il rischio di una escalation in grado di portare a una guerra di proporzioni mondiali sarebbe estremamente concreto. Sembra razionalmente improbabile che Trump, dopo aver desistito da un intervento nel “cortile di casa” del Venezuela, si lanci in una folle impresa militare contro il solido Iran, pilastro fondamentale nelle strategie geopolitiche di Russia e Cina. Ma l’Impero in decadenza potrebbe rischiare il tutto per tutto pur di riprendersi il suo ruolo da protagonista indiscusso sulla scena mondiale.
Immagine di Miguel Discart da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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