64 senatori hanno annunciato di aver raccolto il numero di firme – un quinto dei componenti del Senato – sufficienti, ai sensi dell’art. 138 della Costituzione, a convocare il referendum confermativo sull’ultima riforma costituzionale. Questa, come si ricorderà, interviene meramente nell’abbattere il numero dei parlamentari, portando i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
I 64 richiedenti provengono per due terzi da Forza Italia, mentre i restanti sono in prevalenza esponenti Pd o ex M5s espulsi dal gruppo.
Per la seconda volta in pochi anni, e per la quarta dall’inizio del secolo, gli italiani voteranno dunque su una modifica costituzionale. Stavolta si tratta di una riforma dal raggio davvero limitato, ma certo non per questo di scarso impatto o di scarso appeal. Si aggiunga che in caso di elezioni anticipate il referendum slitterebbe a dopo le consultazioni, garantendo quindi il rinnovo del Parlamento secondo il plenum corrente. Una circostanza che in non pochi hanno interpretato come possibile foriera di nuove elezioni a breve.
Leonardo Croatto
Lo stucchevole ritornello della riduzione del numero dei parlamentari si ripropone con la stessa frequenza e regolarità dell’acidità di stomaco dopo il cenone di Natale, e risulta altrettanto fastidioso.
Prive di qualsiasi reale progettualità politico-istituzionale, le “riforme” volte al nobile e democraticissimo fine di ridurre i parlamentari in servizio scaturiscono sempre dalla limitata fantasia di chi ha bisogno di grattare dal fondo del barile un po’ di consenso politico facendo appello all’ostilità del cittadino medio per il personale politico: visto che tanto non producono risultati utili per la collettività, meglio stipendiarne il meno possibile. Curiosamente, sembra che l’elettore medio non sia in grado di rilevare, nel degrado delle qualità morali e culturali della classe politica attualmente in servizio e a cui rivolge quotidiane invettive, le proprie responsabilità nell’averli scelti, anzi, di mostrare gran fiuto per far si che ad ogni elezione vengano selezionati i più disonesti e i più cialtroni disponibili.
Ora che un manipolo di disperati sono riusciti finalmente a far approvare una legge che consenta il taglio dei parlamentari, l’opposizione all’intervento normativo prende origine da un altro gruppo di disperati mossi dal timore di restare col culo scoperto alle prossime elezioni. Il fatto che l’azione di opposizione ad una legge evidentemente volta a limitare la rappresentanza democratica sia caratterizzata dall’enorme conflitto d’interesse dei soggetti che la supportano disarmerà chiunque avesse voluto tentare di opporvisi non per interessi propri ma per il ben più alto fine della tutela della democrazia: è piuttosto complicato affermare di essere contrari al taglio dei parlamentari e sostenere che è giusto che la politica costi se il rischio è quello di venire apparentato a quelle ghigne li.
Ovviamente a nessun elettore viene in mente che magari sarebbe meglio avere più rappresentanti bravi che meno rappresentanti scarsi, che quindi anziché limitare il numero di eletti continuando però a sceglierli a bischero sarebbe più utile far funzionare bene gli strumenti preposti alla formazione e alla selezione della classe dirigente e alla partecipazione consapevole dell’elettorato: i partiti. Meglio buttarla in caciara e lasciare che tutto continui come prima.
Piergiorgio Desantis
Il referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari (oltre il 37% in entrambe le camere) potrebbe apparire come un passaggio inutile o dall’esito scontato, eppure è una battaglia per conservare i nostri, già ridotti, margini di democrazia e rappresentanza. È necessario discutere, evitare il plebiscitarismo e la folle corsa anticasta che ha perseguito questa riforma e che richiama la funesta abolizione del proporzionale e l’introduzione del maggioritario nel ’93 (cui si associò colpevolmente una parte della sinistra di allora). Infatti, per la stessa ragione per cui ci si continua a opporre al maggioritario, perché è voluto e favorisce le destre e l’uomo forte al comando, così è necessario contrastare questa riforma. Per un risibile risparmio procapite, che svia l’attenzione dai problemi reali, si riducono non solo fisicamente i parlamentari ma, soprattutto, si annullano le differenze e si soffocano le voci critiche e fuori dal coro. Quello che passerebbe, infatti, sarebbe un sistema che si ispira a criterio maggioritario che premia le due forze principali, mentre forze che pur esprimono un consenso pur importante, per esempio il 10%, sarebbero ridotte a un semplice diritto di tribuna. Siamo così lontani (non solo temporalmente ma anche idealmente) dal 1 gennaio 1948, data che segna l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, eppure c’è ancor bisogno di perseguire le stesse istanze di quei padri costituenti che ebbero capacità di abbinare rappresentanza, democrazia e conflitto, veri pilastri fondativi del nostro Stato.
Dmitrij Palagi
Jacopo Vannucchi
Le riforme costituzionali recenti derivavano tutte, nelle intenzioni dei proponitori, da progetti di largo respiro, condivisibili o meno. Riassumendo all’estremo, il decentramento per la riforma del Titolo V, la devoluzione per la riforma della Casa delle Libertà, l’efficientamento istituzionale per la riforma Renzi-Boschi.
La diminuzione dei parlamentari, invece, si configura esplicitamente come un mero “taglio lineare”, ovvero ciò che in termini colloquiali diremmo “una sforbiciata”.
Interessa qui rilevare tre punti:
1) Il M5s sa che nella Costituzione del 1948 il numero dei parlamentari era non fisso, bensì agganciato alla popolazione? In particolare, la Camera avrebbe avuto un deputato ogni ottantamila abitanti e ciascuna Regione un senatore ogni duecentomila abitanti. Ciò, alle cifre odierne, significherebbe 754 deputati (in luogo dei 630 attuali) e 313 senatori (in linea con i 315 attuali). Il M5s lo sa?
2) Il Partito Democratico (che comprendeva all’epoca anche l’attuale formazione di Italia Viva) aveva accettato di sostenere in quarta votazione la riforma purché venisse accompagnata da garanzie che ne controbilanciassero gli effetti di restrizione democratica: ossia, una legge elettorale maggiormente rappresentativa e la modifica dei regolamenti parlamentari. Invece non solo il PD (e Italia Viva, e Liberi e Uguali) ha votato a favore senza questi correttivi, ma i correttivi in arrivo sono pure peggiori: sfiducia costruttiva, ossia impossibilità per il Parlamento di sfiduciare un Governo se non vi è una maggioranza politica per formarne uno nuovo, e voto ai diciottenni per il Senato, il che significa avere due Camere identiche, di cui la seconda privata quindi di legittimazione. L’ulteriore proposta di abbassare a 16 anni la soglia di elettorato attivo per la Camera è ancora peggiore, perché aumentare la platea elettorale amplifica, invece di contenere, la restrizione di rappresentanza generata dalla riduzione dei parlamentari.
3) In prima lettura avevano votato a favore della riforma il M5s, la Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. In seconda lettura si sono associati PD, Italia Viva e LeU. Tradotto: una riforma costituzionale di destra ha ottenuto l’egemonia anche nel campo del centro-centrosinistra-sinistra. L’esatto contrario – davvero un esempio da manuale – di ciò che serve per spezzare la corsa del fascismo al consenso di massa.
Dato che siamo responsabili di ciò che facciamo, di fronte a noi stessi e di fronte alla collettività, non avrò personalmente alcun dubbio nel votare contro questa riforma.
Immagine da www.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.