“I disabili possono andare sulla luna”, anzi no “I disabili sono condannati a passare l’esistenza sdraiati a letto”. Se si seguono su un qualsiasi quotidiano del nostro paese le notizie relative al mondo della disabilità si ha l’impressione di due realtà parallele, due mondi assolutamente opposti che nulla hanno a che vedere l’uno con l’altro.
Da una parte si descrivono i portatori di handicap come supereroi per i quali nessuna sfida è impossibile, dall’altra lo scenario cambia totalmente, e ci troviamo davanti dei poveretti vessati dalla vita, incapaci di esercitare una qualsivoglia resistenza di fronte ai tiri mancini della Natura matrigna.
Sappiamo che né l’una nell’altra versione corrisponde alla verità dei fatti, ed è impossibile raccontare oggettivamente tutto l’universo disabilità, come d’altronde avviene per qualsiasi altra categoria. Quindi la domanda che ci dobbiamo fare è: perché il giornalista medio sceglie di raccontare i due estremi di una realtà estremamente composita?
La risposta più ovvia è che il giornalismo, per sua stessa natura, non si sofferma sulla normalità, sugli avvenimenti quotidiani, ma registra i fenomeni oltre la norma, perché solo questi sono considerati degni di nota. D’altronde se pensiamo alla “cronaca medica” vengono registrati o i casi di malasanità o al contrario si dà notizia dei salvataggi miracolosi ad opera di medici assurti al livello di divinità. Salvo poi piombare negli Inferi al minimo errore! E questo per certi aspetti è anche ovvio: se si dovesse dare notizia ogni giorno di qualsiasi intervento chirurgico non basterebbe tutta la carta stampata del mondo!
Ma,
tornando nel mondo della disabilità, è necessario andare oltre
questa prima banale considerazione. Infatti il giornalismo non
dovrebbe, credo, limitarsi a raccontare delle storie per il gusto di
farlo; certo, c’è il diritto all’informazione, ma si dovrebbe
trattare di informazione consapevole.
Sarebbe dovere del
giornalista andare oltre la notizia per contestualizzarla e
farne capire i retroscena: se un disabile resta intrappolato in una
casa senza ascensore si dovrebbe cercare di capire come e perché ciò
è potuto accadere.
Non è possibile limitarsi a far sì che il lettore provi tenerezza per il “poverino” e, nella migliore delle ipotesi, una generica indignazione per la situazione. Deve essere chiaro che, in una situazione del genere, non basta indignarsi, soprattutto se l’emozione è destinata a durare il tempo dell’uscita del nuovo quotidiano, con la conseguente nuova notizia da prima pagina.
È
fondamentale che il giornalista, al momento in cui si accinge a
raccontare una storia “di disabilità”, sia disponibile (e
capace) ad andare oltre la notizia, per scandagliare innanzitutto la
situazione presente, ma anche per immaginare come questo disagio si
possa risolvere.
Certo, non spetta a lui porre rimedio ai
problemi della gente, ma se attraverso la stampa si riesce a portare
l’opinione pubblica a conoscenza di una situazione, possiamo almeno
sperare che chi di dovere si impegni a metterci una toppa (si spera
efficace!).
D’altronde è cosa nota che la comunicazione sia
un validissimo strumento per costruire il consenso al potere, ma
che basti altresì un passo falso adeguatamente pubblicizzato perché
tutto vada a scatafascio!
Ma per fare ciò è indispensabile dedicare a ciascun episodio il giusto spazio e il tempo consono alla notizia e ai risultati che si vogliono ottenere: la mancanza dell’insegnante di sostegno o l’abbattimento delle barriere architettoniche non sono questioni risolvibili dall’oggi al domani: quindi non ha senso scriverne magari ininterrottamente per una settimana, con interviste strappalacrime ai genitori della “vittima” (o a lui/lei stesso) o foto shock, per poi lasciar cadere l’argomento nel dimenticatoio.
Ma c’è tutta l’altra “parte del cielo” di cui occuparsi: le notizie in cui la persona disabile vive una situazione che potremmo definire idilliaca. Cosa possiamo osservare in quei casi? Purtroppo permane lo stato di superficialità della cronaca: ciò che interessa al giornalista è sottolineare l’eccezionalità del fatto raccontato, senza andare nel profondo con il rischio di togliere quell’aura di straordinarietà che fa di una storia la notizia con la N maiuscola.
Nel raccontare di una persona autistica (per fare un esempio) che si laurea col massimo dei voti non ci si sofferma sul fatto che l’autismo ha diverse forme più o meno funzionali, e che quindi non tutte le persone con autismo possono ottenere gli stessi risultati allo stesso modo. Per carità! Nell’immaginario collettivo una persona autistica non può vivere una vita normale; quindi una storia di successo, quale esso sia, garantisce quasi al 100% lo scoop. Ed è questo che interessa!
Sia
che si tratti di belle notizie o del resoconti di quotidiane
ingiustizie, sarebbe auspicabile (anzi, doveroso) uno sforzo di
analisi ed approfondimento: delle “cinque W” necessarie al
racconto dei fatti bisognerebbe soffermarsi su Why?
e aggiungere How?,
Come ciò che si racconta è stato possibile?
Dovere del
giornalista dovrebbe essere portare il lettore dentro la notizia e
fargli aprire gli occhi su come e perché il fatto sia accaduto.
Inoltre bisognerebbe mettere l’accento su cosa differenzia la notizia
di cui si è scelto di parlare da tutte le altre non assurte agli
onori della cronaca.
Il mondo della disabilità può trovare nel giornalismo un grande alleato, ma ad una condizione: bisogna uscire dalle logiche che vedono l’handicap solo come strumento per fare la “storia della vita”. La carta stampata (o i TG o quant’altro) si faccia mezzo di conoscenza e traghetti le persone, attraverso parole e storie, verso il superamento di quei tanti stereotipi che affollano le menti.
Sarebbe
auspicabile la nascita di un protocollo per giornalisti, che
illustri come devono essere affrontati i temi sulla disabilità, così
come esiste la Carta di Roma o la Carta di Treviso.
Verrebbe
rispettato? Chi può dirlo! Spesso ahimé si leggono delle brutture
anche su migranti e minori. Ma almeno… facciamolo nascere!
Immagine da maxpixel.com
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.