Sull’elezione delle presidenze di Camera e Senato
Si consuma in questi giorni la prima fase cruciale della vita istituzionale italiana, con l’elezione dei presidenti dei due rami del parlamento.
Ad una prima fase confusa, connotata da una girandola di nomi, con Lega e M5S intenti a capire come capitalizzare il successo elettorale e Forza Italia indisponibile a farsi mettere da parte, sembra essere seguito un accordo salomonico, con Fico del M5S alla Camera e una forzista al Senato.
Definitiva sanzione dell’asse Centrodestra-M5S o pace prima della tempesta?
Ne parliamo a dieci mani.
L‘asse centrodestra-M5S era ovvio già da prima del 4 marzo.
Dopo la tutto sommato breve (2007-2011) stagione dell’antiberlusconismo grillino – che ha comunque permesso al nascente Movimento di fagocitare gran parte dell’opposizione populista dell’epoca, che precedentemente era orientata confusamente per il voto all’IdV o alla sinistra – i “vaffanculo” dell’ex comico genovese si sono infatti tenuti perlopiù a distanza di sicurezza da quelli che probabilmente già dal “boom” del 2013 sono percepiti come possibili alleati, un silenzio in netto contrasto con la violenza verbale scaricata contro PD, sindacati, sinistra, istituzioni nazionali ed europee e più stretti alleati internazionali della Repubblica Italiana. Dato questo contesto, il sorpasso della Lega (non più Nord) all’interno del centrodestra ha coronato i sogni della leadership grillina.
Ad unire le forze capitanate da Di Maio e Salvini non è solo la collocazione all’estrema destra nel parlamento Europeo – EFDD per il M5S, il gruppo in cui siedono i deputati della scissione da destra del Front National capitanata da Philippot ed i neofascisti svedesi e tedeschi; ENL per la Lega, con gli islamofobi di Wilders, il Front National e i secessionisti fiamminghi – o l’insistenza su toni razzisti e su un nazionalismo “sovranista” ripugnante, o ancora l’adorazione di base e leadership per l’autoritarismo di destra russo, ma anche la natura profonda di epifenomeni patologici degli effetti economici ed ideologici del neoconservatorismo e del fallimento della Third way; di relitti portati a riva dall’onda lunga del tardo Novecento.
Se la convergenza si tramuterà in un governo di coalizione ancora non è dato saperlo, ciò che è sicuro è il pericolo che un simile esecutivo rappresenterebbe per le fasce più deboli della popolazione e per le minoranze.
La sinistra radicale ha già fallito nel non essere riuscita ad organizzarsi decentemente per contrastare, ad ogni livello, queste forze ed i loro discorsi tossici quando ancora avrebbe potuto fare la differenza. Occorre organizzarsi ed iniziare un duro lavoro di ricostruzione di reti e di spazi di solidarietà e autorganizzazione di classe, prescindendo dalle istituzioni e dai relitti inutili della fu Unione che attualmente occupano gli scranni parlamentari di sinistra come le bare dei vampiri da B-Movie, e preparando la prossima stagione di lotta.
I goffi tentativi di punzecchiare da una posizione di assoluta minoranza i 5S e la Lega “sui temi” (quali?), o sulla coerenza delle dichiarazioni di onestà, sarà meglio lasciarli a chi avrà tempo da perdere.
Il PD messo in formalina da Matteo Renzi, accomodatosi nel suo scranno del Senato che tanto voleva abolire, è definitivamente relegato all’opposizione. Un partito élitista all’opposizione a modesto parere di chi scrive è destinato ad eclissarsi, salvo grossi favori da parte dei poteri forti che cercheranno inevitabilmente di arginare ogni deriva estremista del nuovo governo, se necessario anche ricorrendo a nuovi governi tecnici.
L’asse Centrodestra-M5S, anche se evidentemente fa cadere la coerenza e la purezza ideale del Movimento che voleva imitare il Terzo Stato non alleandosi con la vecchia classe dominante per compiere la sua rivoluzione, è un fatto politico da non demonizzare. Dopo un sano bagno di realismo il M5S si è reso conto che in termini di consensi più di così non è lecito sperare e che lasciare gli italiani in mano a un governo non votato, o peggio, per altri 5 lunghi anni vorrebbe dire tradire i propri elettori. Il rischio vero semmai è l’opportunismo dei gruppi dirigenti di M5S e Lega, alimentato dai diversi interessi che muovono queste forze verso il potere con l’unico fine di compiere un’alternanza senza portare alcuna alternativa.
Il tradimento della forte richiesta popolare di un profondo cambiamento politico diverrebbe una vera e propria mina in grado di fare implodere la società italiana, ormai fiaccata al punto da rievocare lo scontro degli Anni di Piombo con piacere pur di trovare un motivo per scannarsi. La tensione è alta a tal punto che per ora tutto tace: le Borse, la Trojka, il Presidente della Repubblica.
Attendiamo di capire come evolverà la situazione, non manca molto alle prime importanti scelte da compiere (il DEF dovrà essere presentato al Parlamento entro il 10 aprile). Queste saranno il primo vero banco di prova per capire se si tratterà solo di un nuovo governo di opportunisti, oppure se si cercherà realme
Dmitrij PalagiLe presidenze delle Camere non sono centrali nella costruzione delle proposte politiche alla fine del quinquennio. Lo dimostrano il risultato di LEU, nelle cui fila erano candidati Pietro Grasso e Laura Boldrini, e la mancata rielezione, nel recente passato, di Gianfranco Fini e Fausto Bertinotti. La non vittoria della coalizione guidata da Bersani cinque anni fa individuò in due figure “civiche” una possibile soluzione alla distanza avvertita tra cittadini e istituzioni (con scarsi risultati, dati gli esiti del 4 marzo scorso). Colpisce il modo in cui la stampa sceglie di seguire le novità di questi giorni. Un continuo sottolineare ogni svolta, come se le letture classiche fossero ancora adeguate alla nuova conformazione parlamentare. La nazione ha già cambiato volto. Le forze (un tempo) minori sono protagoniste assolute, con un Partito Democratico che ha scelto la linea dell’opposizione (e l’altra sinistra dovrebbe essere molto preoccupata dello spazio che le rimarrà nella percezione comune) e Forza Italia sempre nelle mani di Silvio Berlusconi (la cui priorità è la difesa degli interessi economico-sociali del suo impero). Un’altra grande regione è stata intanto promessa a Salvini, con il giovane Fedriga candidato al Friuli-Venezia Giulia. Di nuovo: al populista il governo, ai governanti la neutralità istituzionale… L’enfatizzazione eccessiva non contribuisce a ricostruire quella necessaria calma con cui si possono sviluppare analisi e soluzioni. Sarà da capire quanto il carattere emergenziale sarà costituente. Ci sarebbe uno spazio interessante fuori dal “palazzo”. Sarebbe però necessario non dedicare molto tempo a seguire quello che è stato già eletto, per chi si candida a cambiare lo stato di cose presenti. Semmai stupisce il trasformismo del sistema di opinione, già pronto a problematizzare (per poi persino elogiare) i demoni delle scorse settimane. Fico benecomunista e Casellati diversamentemoderata sono l’apertura di quel capitolo della nuova meravigliosa avventura che attende il nostro paese.
Le tecniche squadriste impiegate nell’azione politica e i caratteri fascisti (pardon, “populisti”) del programma qualificano il Movimento 5 Stelle come una forza di destra estrema fin dall’esordio del V-Day del 2007 (non estendo la V perché mi vergogno per loro). L’aver lavorato sempre contro il centrosinistra e mai contro le destre avrebbe dovuto avvertire anche i più tonti, ma così non è stato.
Con l’elezione dei Presidenti delle Camere il M5S compie un ulteriore atto di chiarezza. Al Senato viene eletta un’esponente dell’ala più conservatrice e tradizionalista di Forza Italia, ossia del partito che nel centrodestra è l’unico ostacolo a un’azione integralmente fascista (pardon, “lepenista”). Alla Camera, di converso, viene opportunamente piazzato l’unico leader rimasto all’ala antiborghese del M5S dopo l’epurazione di Di Battista e Grillo. In questo modo si cerca di comprarne la fedeltà ma, soprattutto, si decapitano di una guida interna le masse confusamente socializzatrici e demagogiche che individuano nel M5S una sorta di nuova Rifondazione comunista.
Simili manovre, che preparano un nuovo possente blocco reazionario delle classi abbienti, non costituiscono né un’evoluzione né una mutazione del M5S. Ne sono anzi il più conseguente sviluppo, l’unico possibile, talmente scontato da risultare noioso sotto uno sguardo puramente accademico. Era già stata tentata la via della costituzione di un partito nominalmente di sinistra non classista, in realtà rivolto principalmente contro le organizzazioni di sinistra, basato sul consolidamento del consenso della piccola borghesia pauperizzata o timorosa di diventarlo, diretto a parole contro le élites e nei fatti contro le garanzie costituzionali. Questo partito erano i Fasci di combattimento del 1919, poi dal 1921 Partito nazionale fascista. Lo sviluppo conservatore del partito fascista e l’emarginazione delle istanze “rivoluzionarie” è cosa nota; un percorso analogo vi fu anche, per chi desiderasse una seconda prova, nel Partito nazionalsocialista tedesco.
È difficile dire quali saranno gli sviluppi per quanto riguarda il Governo: una Grosse Koalition tra M5S e centrodestra; un accordo politico stabile tra M5S e Lega; un accordo tra M5S e Lega finalizzato solo a una riforma elettorale… Certo è che gli alibi per sostenere il M5S da posizioni di sinistra (e la destra sociale non è sinistra) si stanno rapidamente incenerendo. E non c’è tempo per chiedersi se l’elettorato popolare sarà in grado di capirlo oppure il potere di condizionamento dei mezzi di comunicazione si rivelerà più forte: è necessario mettere in campo al più presto anche noi antifascisti la nostra contro-comunicazione, combattendo il M5S là dove ha dimostrato di raccogliere il consenso. Nelle periferie delle città, certo, nelle periferie dell’anima, senza dubbio, ma anche e non ultimo nelle periferie del web.
Quella che già sembrava emergere come unica soluzione praticabile all’empasse elettorale, sembra si stia lentamente concretizzando. L’accordo di governo fra Lega e M5S ha un senso non solo dal punto di vista dell’urgenza strumentale ma anche dei contenuti: si andrebbe a costruire un fronte pseudo- sovranista (con caratteristiche dimaio-salviniane, ovvero annacquate ma non per questo meno pericolose) che mettere al centro la questione europea e migratoria. Si tratta di punti di contatto che con ogni probabilità si tradurrebbero in un atteggiamento da forte coi deboli (migranti) e debole coi forti (Troika), ma (forse proprio per questo) sufficientemente assimilabili da pervenire a un programma comune di riforme.
Restano però forti criticità in questo connubio forzato.
Tutti i partiti hanno infatti diversi effetti collaterali da dover gestire. Il Movimento 5 Stelle dopo aver fatto del “no agli inciuci” il suo slogan elettorale, si trova ora nella situazione di dover trovare una accordo con un partito che ad una parte della base del movimento non può andare troppo a genio (da qui la scelta di optare per Fico alla Presidenza della Camera come contrappeso e contentino all’ala degli “irriducibili” grillini).
Non meno semplice la situazione di Salvini che può ancora scegliere fra una strategia paziente (restare fedele all’alleanza col centrodestra e “pensionare” Berlusconi per diventare il leader indiscusso della coalizione nel prossimo futuro) o una che punta a massimizzare nel breve termine il consenso elettorale ottenuto (governo col M5S sbarazzandosi di Forza Italia). L’atteggiamento ondulatorio della Lega negli ultimi giorni (tutte le vicissitudini del voto alla presidenza del Senato parlano chiaro) sembra essere proprio dovuto a questa difficile scelta di campo, sebbene parrebbe prevalere la volontà di Salvini e soci di andare al governo, cercando di gestire il problema Berlusconi nel miglior modo possibile.
Tutto è comunque ancora molto aperto.
Immagine di copertina liberamente ripresa da pxhere.com
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