Il Governo ha scelto di rispondere all’attuale fase storico con l’ennesimo decreto di aiuti economici: “misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi Ucraina”. Tra queste c’è un contributo di 200 euro per personale dipendente, per chi è in pensione o inoccupato, purché abbia avuto un reddito inferiore ai 35mila euro nel 2021. Arriverà a luglio. Mentre si attende di sapere come lo si riconoscerà a chi ha un lavoro autonomo. Una misura annunciata come straordinaria e legata a un finanziamento che dovrebbe derivare dagli “extra-profitti” nel comparto energetico, dove l’aumento dei prezzi è slegato dal costo della materia, visto il criterio finanziario con cui vengono fissati. La narrazione dell’esecutivo è quella di una ripresa dal “blocco” della pandemia Covid-19 solo rallentata dall’invasione russa in Ucraina. Occorre proteggere, dicono, le fasce più esposte alla contingenza di un momento storico specifico, che si vuole superare velocemente. Data la platea interessata dai 200 euro il dibattito pubblico si è concentrato molto su questa specifica misura, ma si allarga spesso a considerazioni più generali per quanto riguarda le politiche economiche italiane, recenti e di lungo periodo.
Di questo parliamo nella nostra rubrica a più mani di questa settimana.
Leonardo Croatto
Il nostro sistema volontaristico delle relazioni industriali, per quanto molto avanzato dal punto di vista del coinvolgimento e della partecipazione dei lavoratori, attribuendo a questi la piena responsabilità della negoziazione delle proprie condizioni contrattuali, mostra da tempo grande sofferenza.
Il cronico ritardo nel rinnovo dei contratti e la scarsità degli aumenti salariali hanno portato negli ultimi tre decenni ad un progressivo impoverimento dei lavoratori. Solo quelli che lavorano in grandi aziende possono permettersi una contrattazione aziendale che garantisca una tenuta dei salari, che però realizza una disparità tra lavoratori che esercitano la stessa professione.
Preso atto delle fragilità del sistema così come è strutturato, da tempo si su quale debba essere l’intervento del legislatore per intervenire sulla crisi del potere d’acquisto delle famiglie.
La posizione delle organizzazioni sindacali è tradizionalmente orientata verso la tutela dell’autonomia nelle relazioni tra lavoratori ed imprese: un intervenento sulle ma non sui parametri salariali. Altri sostengono la necessità di un intervento diretto sui salari, sotto forma di un minimo orario imposto per legge.
Ad oggi, nonostante la discussione sia aperta da tempo, gli unici intervendi legislativi hanno avuto la forma della beneficienza di stato: dalla “social card” di Berlusconi al bonus fiscale voluto da Renzi fino a questo intervento targato Draghi. Nonostante Orlando avesse ad inizio anno dichiarato, in un’intervento al CNEL, di essere molto preoccupato della debolezza della contrattazione nazionale, tanto da annunciare un intervento in breve tempo, a metà anno e all’avvicinarsi della fine del mandato di questo parlamento siamo ancora alla fase delle mance elettorali, mentre una legge sulla rappresentanza, capace di eliminare il fenomeno del dumping esercitato dai contratti firmati da sindacati di comodo, affiancata o meno da un parametro salariale minimo, pare ancora lontana da venire.
Dmitrij Palagi
Non sono gli 80 euro di Matteo Renzi, ma si tratta di un precedente a cui capita di fare riferimento nelle conversazioni in cui si parla della promessa di ritrovarsi con 200 euro in più a luglio. I giudizi si dividono anche sul giudizio relativo alla quantità (pochi, molti), mentre le analisi si concentrano spesso sul senso di bonus destinati ad aumentare la confusione sul sistema fiscale nazionale. Costano molto, ma sono più semplici (politicamente) ed efficaci (sul piano della comunicazione di breve periodo).Il momento elettorale nazionale si avvicina, mentre fra poche settimane ci sarà l’esito delle elezioni amministrative. La guerra appesantisce il clima, ma dovrebbe esser normale la difficoltà nel trovare una sintesi tra forze politiche teoricamente opposte (si pensi a Lega e Articolo 1) in materia di catasto e progressività fiscale.
I 200 euro rientrano a pieno in quelle misure che in questi anni sono state ascritte alla categoria del populismo. Sulla copertura del nuovo decreto Aiuti si sta ancora discutendo, anche se la scelta di indicare il dito sui profitti eccezionali del comparto energetico corrisponde a sentimenti di buon senso.
Nel frattempo resta bloccato il cosiddetto DDL concorrenza, che sta mobilitando anche quel che resta della galassia (sociale e politica) nata a sostegno dei referendum per l’acqua pubblica: si parla di un impatto molto forte anche per gli enti locali, con nuove misure che potrebbero portare i comuni a intervenire tanto sull’aumento dell’IRPEF, quanto sull’ulteriore privatizzazione e vendita di beni (anche immobili) e servizi.
Su bonus e tasse, dice la vulgata, si vincono e si perdono le elezioni, ma difficilmente si fa politica. Per quest’ultima occorrerebbe prima chiarire quale è la lettura della fase (analisi) e quali sono le prospettive per cui ci si impegna ogni giorno, spiegando la tattica dopo la strategia. Di strategia però discutono nei circuiti privati le parti datoriali e bancarie/finanziarie. La politica preferisce gestire il consenso e il breve periodo, forse anche per incapacità.
Jacopo Vannucchi
L’aumento dello spread BTP/Bund sembra aver allontanato la possibilità di un ulteriore scostamento di bilancio. In queste condizioni, 200 euro una tantum per – grosso modo – la metà inferiore dei redditi da lavoro o pensione è forse il massimo compatibile con l’eterogenea composizione della maggioranza nell’ultimo anno di legislatura.
Resta il fatto che non si può pensare di compensare con 200 euro l’anno i costi che la ri-regionalizzazione dei mercati, le sanzioni alla Russia e la speculazione energetica scaricano sui ceti subordinati.
Durante la guerra fredda gli Stati Uniti avevano implementato un sistema fordista di “burro e cannoni” in cui, in cambio della rigida mobilitazione ideologica e non di rado umana (Corea, Vietnam…), si concedeva alla popolazione un costante incremento nel tenore di vita – del resto a sua volta funzionale, tramite la creazione di bisogni fittizi, a ribadire i vincoli di osservanza ideologica.
Negli ultimi decenni il burro è venuto meno, perché grazie all’espansione continua del mercato il capitale può riprodurre la forza-lavoro in aree in cui tale riproduzione è assai meno costosa. Eppure le esigenze di legittimazione dei governi non sono venute meno: quando il vicepresidente della Duma, Tolstoj, avverte che l’erosione del tenore di vita della classe media in Occidente può far seguire alla UE (e, aggiungo: agli USA) la sorte dell’URSS, coglie il bersaglio meno lontano di quanto i suoi pregiudizi culturali possano far supporre: caso celebre, naturalmente, l’impopolarità di Biden che non accenna a risollevarsi, neanche in vista della lotta contro la cassazione, da parte della Corte Suprema, del diritto di aborto.
In Europa, come ovvio, siamo particolarmente interessati ai costi economici oltre che umani della guerra in Ucraina, perché non siamo autosufficienti dal punto di vista energetico. I governi nazionali non possono oggettivamente fare molto, ma un governo europeo potrebbe smettere di essere l’esecutore della volontà del mercato e condurre con efficacia politiche in difesa del nostro tenore di vita, del nostro tessuto produttivo, della nostra capacità occupazionale. I discorsi di Draghi e di Macron a Strasburgo hanno mirato entrambi in questa direzione; se non conosciamo il destino di Draghi – ma intanto anche il PD, dopo il M5S e la Lega, sta iniziando a distinguersi dagli Stati Uniti – Macron ha però 5 anni davanti. Dalle legislative di giugno potrebbe uscire con una maggioranza sua all’Assemblea nazionale francese, oppure con una forzata coabitazione con la sinistra: anche in questo caso, però, potrebbe sfruttare l’opportunità per risintonizzarsi con l’elettorato popolare, come dopo il primo turno ammise di dover fare.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.