Al di là di tanti luoghi comuni, una ricerca americana spiega come i gatti, in fondo, non siano poi così tanto indifferenti ai loro padroni.
Se il cane rappresenta il miglior amico dell’uomo, nonché allegoria della fedeltà e della compagnia, il gatto è stato, con rare eccezioni, associato ad aspetti non esattamente positivi, come la sfortuna, l’egoismo, la sfuggevolezza e l’indifferenza. Per di più, nel corso della Storia, il gatto è passato dall’essere considerato un animale divino dagli antichi egizi, al rappresentare la personificazione del maligno o una delle forme in cui si potevano trasfigurare le streghe. Nonostante tutto questi felini sono gli animali domestici più presenti nelle case di tutto il mondo. E sicuramente non solo per l’attaccamento dei tanti padroni a questi animali. Qual è la ragione allora? Quale meccanismo spinge i gatti a legarsi al proprio proprietario? Possibile che sia solamente una questione di cibo e di alloggio? Oppure, nascosto dietro quell’atteggiamento di totale strafottenza si cela un po’ di sincero affetto verso l’umano che allunga la ciotola e che quotidianamente se ne prende cura?
Probabilmente queste domande sono state la molla che ha innescato il lavoro di Kristyn Vitale e dei suoi collaboratori dell’Università dell’Oregon, i quali hanno impostato una serie di esperimenti per comprendere se e come i gatti si affezionano ai loro proprietari. Lo studio[1] che ne è risultato, pubblicato su Current Biology e CellPress, ci conferma che sì, i gatti si affezionano al loro padrone già in tenera età e mantengono questa tendenza comportamentale anche da adulti.
Sperimentalmente è stato seguito il Secure Base Test (BST)[2], un metodo di studio del comportamento animale già utilizzato sia per i primati che per i canidi[3]. In questo esperimento gli animali vengono tenuti, insieme al padrone, in una stanza mai vista prima per due minuti, dopodiché si passa alla fase di allontanamento della figura umana, per altri due minuti, e a quella finale di ricongiungimento, sempre di due minuti. Il comportamento dell’animale in questa ultima fase, classificato secondo una letteratura molto ampia riguardante uomini, primati e cani[4], può dimostrarsi essere di salda unione (securely attached) oppure di unione incerta (insecurely attached).
Nel primo caso il gatto, al ritorno del proprietario, mostra sicurezza, poco stress e una ricerca non ossessiva del contatto fisico, mentre nel secondo l’animale può presentare atteggiamenti eccessivi nel cercare contatto (ambivalent) o nello stare lontano dal padrone (avoidant). Oppure può mostrare un comportamento disorganizzato e confusionario, impossibile da classificare con certezza.
Nella letteratura scientifica i dati riguardanti bambini e cani mostrano come i primi risultino per il 65% securely attached e per il 35% insecurely, mentre i secondi siano su un rapporto di 52 a 48. Partendo da questi dati potremmo aspettarci che i gatti, considerati meno affettuosi dei cani, non possano andare sopra ad un comunque dignitosissimo 50%.
Al contrario lo studio condotto su settanta cuccioli tra i 3 e gli 8 mesi ha mostrato un 64.3% di securely attached e un 35.7% di insecurely, una percentuale praticamente in linea con quella umana e nettamente superiore a quella canina! Per di più all’interno del 35% di insecurely troviamo che ben l’84% presenta un comportamento ambivalente, cioè molto a ridosso del confine con gli individui classificati come securely attached. Praticamente due terzi degli individui studiati hanno presentato lo sviluppo certo di un legame con il loro caretaker, mentre nel restante terzo la maggioranza comunque manifestava una certa predisposizione a svilupparlo.
Questo primo esperimento ha dimostrato come gatti in tenera età mostrino una tendenza all’attaccamento verso l’individuo umano. Un comportamento che sviluppano già dopo brevi periodi di assenza in ambienti sconosciuti.
In seguito lo studio è proseguito con due test di follow-up in cui prima si è replicato il test a distanza di sei settimane dividendo la classe di felini in un gruppo di studio (39 esemplari) e un gruppo di controllo (31). Gli individui di studio hanno vissuto con il proprio padrone per le sei settimane, mentre gli altri no. I risultati non hanno mostrato differenze significative: complessivamente il 68% si è dimostrato securely attached e il 32% insecurely. In più, a livello individuale, l’81% degli esemplari hanno mostrato lo stesso comportamento iniziale. Segno evidente di una tendenza comportamentale innata, se non ereditaria, e non dovuta alla convivenza con l’uomo o con un particolare padrone.
L’ultima prova è stata condotta su 38 gatti in età adulta (superiore ai 12 mesi), in modo da verificare che questo comportamento fosse realmente scollegato dal fattore crescita degli animali. In effetti, anche in questo caso, i risultati si sono dimostrati molto in linea con i precedenti, avvalorando l’ipotesi che i gatti, come altri animali domestici, non istaurino legami affettivi con il proprio padrone solo in funzione protettiva o alimentare, ma siano spinti istintivamente a legarsi con chi condivide il loro spazio vitale, siano essi cani, gatti o uomini.
Se l’ipotesi di lavoro alla base dello studio era la dimostrazione che i gatti non abbiamo comportamenti dissimili ad altri animali domestici, i risultati la confermano in pieno ed anzi mostrano una maggiore predisposizione al contatto umano dei felini rispetto ai canidi. D’altra parte però non dobbiamo dimenticare come sia cani che gatti siano specie divenute domestiche, ma che, se lasciate libere, si organizzerebbero forse in gruppi sociali e branchi, esattamente come i loro parenti selvatici. La propensione ad affezionarsi a noi va quindi letta anche come l’adattamento a un indiscutibile vantaggio evolutivo, vantaggio rappresentato, in fin dei conti, sempre dalla nostra mano che allunga la ciotola e che è pronta a proteggerli.
-
Kristyn R. Vitale, Alexandra C. Behnke, Monique A.R. Udell. Attachment bonds between domestic cats and humans. Current Biology, 2019; 29 (18): R864 DOI: 10.1016/j.cub.2019.08.036 ↑
-
Harlow, H.F. (1958). The nature of love. Am. Psychol. 13, 673–685. ↑
-
Wanser, S.H., and Udell, M.A.R. (2018). Does attachment security to a human handler influence the behavior of dogs who engage in animal assisted activities? Appl. Anim. Behav. Sci. 210, 88–94 ↑
-
Schöberl, I., Beetz, A., Solomon, J., Wedl, M., Gee, N., and Kotrschal, K. (2016). Social factors influencing cortisol modulation in dogs during a strange situation procedure. J. Vet. Behav. 11, 77–85 ↑
Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull’Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!