Il deteriorarsi della stabilità politica in Iraq e in Libia obbliga a riflettere sulla politica estera italiana. I due paesi sono infatti, per motivi diversi, legati col nostro paese politicamente ed economicamente. In Iraq abbiamo un contingente di oltre 900 militari, eredità della guerra voluta da Bush, che si trovano ora a rischio nell’acuirsi della crisi politica fra Iran e Stati Uniti. In Libia la nostra presenza militare è meno forte ma il legame privilegiato che avevamo con la nostra ex colonia rischia di svanire nel conflitto fra Haftar e Sarraj che sta minando la stabilità dell’intera regione.
Leonardo Croatto
Ma davvero l’Italia è mai stato un soggetto di peso nelle relazioni internazionali?
In tutto il dopoguerra il nostro paese ha fatto la parte del vaso di coccio tra vasi di ferro; potevamo al massimo vantare una classe dirigente più determinata (e più spregiudicata). In un altro suo articolo, il già citato Alberto Negri richiama la figura di Enrico Mattei paragonandola agli uomini politici di oggi, ma la fine di quella storia è che Mattei è stato ammazzato perché avere una politica energetica autonoma non ci era consentito.
Non sembra sia cambiato niente, visto che in tempi recenti abbiamo deciso di sacrificare i nostri rapporti economici con Iran e Libia per tentare di tenere in piedi i nostri legami (di sudditanza) con gli Stati Uniti, subendo le scelte di politica estera di altri paesi senza alcuna capacità di articolare una strategia propria.
E se l’Europa unita avrebbe potuto provare a rappresentarsi sulla scena internazionale come soggetto più forte, e l’Italia avrebbe potuto tentare di far valere il proprio peso all’interno degli organi di governo, anche questa possibilità è saltata nel momento in cui l’Europa ha scelto di non esistere come soggetto politicamente unito.
Difficile immaginare che con Russia, Stati Uniti, Cina e Turchia in campo e con i paesi europei che si muovono in ordine sparso, più interessati a tutelare i propri interessi che il progetto unitario, il nostro paese possa trovare lo spazio per costruire con la classe dirigente di adesso quella efficace politica estera che non ha mai avuto neanche in passato.
Piergiorgio Desantis
Continua il confronto a distanza (ma non troppo) tra Usa e Iran, frutto di una strategia americana fondata sulla minaccia e sull’attacco mirato grazie anche alle nuove tecnologie militari. L’Italia, ancora una volta, ha svolto un ruolo di ratificatore di intese già siglate altrove (nel migliore dei casi), confermandosi perfettamente nel ruolo di periferia (anche in Europa). Il governo italiano, pur cercando di smarcarsi dai precedenti, non riesce a avere un ruolo autonomo e propositivo, mentre in altri paesi, vedi ad esempio in Germania, si siglerà, a breve, una parziale tregua tra le due fazioni in guerra nel territorio della fu Libia. Si confermano, invece, le grandi potenze regionali, leggasi Turchia e Russia, che svolgono un ruolo preponderante nella regione di appartenenza. Per l’Italia, invece, un supplemento di riflessione per rilanciarsi come paese di pace (come da Costituzione repubblicana), piuttosto che sede di basi della Nato.
Dmitrij Palagi
Non ci sarebbe cosa più sbagliata che pensare a una recente assenza dell’Italia della politica italiana, ricordando con errata nostalgia i tempi degli esecutivi Berlusconi. Non è da oggi che il Paese è privo di una strategia internazionale, capace di promuovere pace e integrazione tra diversi contesti globali.
L’Italia ha per fortuna tutti gli interessi perché la Libia possa trovare stabilità e pace, ma le responsabilità politiche di questa situazione la vedono complice sul lungo periodo e inesistente (quindi ugualmente colpevole) nel breve. Un paio di foto e due strette di mano non rappresentano le capacità di azione.
La politica come vuota comunicazione piace molto, anche alla “nuova sinistra”, ma a livello globale si dimostra vuota, perché priva di potere (o di contro-potere). Quando accade dall’altra parte del Mediterraneo ha conseguenze su numerosi aspetti della malmessa Italia. A che cosa serviamo? A cosa serve l’Europa? A cosa serve la sinistra europea e italiana se non ha da promuovere qualcosa di più di qualche slogan sulla solidarietà internazionale, quando scricchiola persino sul no alle bombe…
Jacopo Vannucchi
Ancora nel 2006 il governo italiano – all’epoca c’erano Prodi a Palazzo Chigi e D’Alema agli Esteri – era in grado di guidare l’iniziativa per creare la forza di interposizione Unifil e tamponare la crisi libanese.
Certo, è dura chiedere al governo attuale altrettanti risultati. E non soltanto per l’evidente disparità di calibro – che pure esiste – tra Prodi e Conte e tra D’Alema e Di Maio. In questo ottavo di secolo si sono alterati in modo profondo gli equilibri interni agli stati europei, dove il precedente concerto (pur se spesso stonato) ha lasciato spazio a un peculiare duopolio franco-tedesco, con Parigi che marcia sulla grandeur unilaterale con qualsiasi colore politico (Sarkozy, Hollande, Macron) e Berlino versata in una diplomazia a base commerciale.
Sembra per l’appunto quest’ultima la punta meno arretrata della diplomazia europea, visto che i mai interrotti rapporti con la Russia hanno condotto Putin a prendere in mano le redini del futuro tavolo di Berlino, di fatto concertandolo con l’autocrate di Ankara.
Una circostanza, questo protagonismo del governo russo, che dovrebbe far vergognare l’Europa per due motivi. In primis per lo stolido isolamento, autolesionista verso l’Europa, in cui ancora ci si ostina a tenere la Federazione Russa. In secondo luogo per il ruolo di pedine a cui le cancellerie europee sono state relegate: alcune con un ruolo che gli salva la faccia, altre no.
La necessità dell’integrazione europea anche in materia militare e di politica estera, che paradossalmente viene propugnata proprio dall’attuale Presidente francese, è di una evidenza disarmante. D’altronde il duopolio franco-tedesco è nato da due cause: la crisi economica, che ha annullato i margini di autonomia di alcuni stati europei (principale vittima, l’Italia) e il riacuirsi di una politica ostile verso la Russia a cui i paesi Nato si sono obbedientemente accodati.
A proposito di Nato: Italia e Germania sono chiaramente limitate dalla presenza di decine di migliaia di truppe Usa. L’elezione di Trump oltre tre anni fa fu la finestra per tentare di spezzare questo vincolo e costruire un’Europa autonoma. Non fu fatto, non solo per le mene dei più oltranzisti referenti Usa in Europa, ma soprattutto per mancata volontà di chi più ne avrebbe guadagnato. Il commissario Gentiloni Silveri sparge la consueta lamentazione sull’impotenza dell’Europa (leggi qui), ma come Presidente del Consiglio tenne a ribadire, due settimane dopo l’insediamento del miliardario, «l’importanza fondamentale del ruolo della Nato» (leggi qui). Come si vede, il problema è più ampio di Conte o Di Maio.
Alessandro Zabban
Sulle pagine del Manifesto, Alberto Negri definisce i nostri politici dei “sonnambuli” (vedi qui). In Iraq la narrazione eroica che vede i nostri militari sul campo per contrastare l’ISIS si scontra con una realtà bruscamente mutata dal criminale omicidio del generale Suleimani e della ripresa di Washington della sua guerra al mondo sciita. Il governo di Baghdad non vuole più forze straniere all’interno dei suoi confini, mentre le milizie sciite prendono a colpi di mortaio le basi militari americane. La tensione è enorme e se veramente teniamo alla pace dovremmo rispettare la volontà di Baghdad e andarcene, ma questo significherebbe deludere gli Stati Uniti che ci vogliono utilizzare nella loro nuova sfida all’Iran. Manca ovviamente la volontà politica di fare una mossa in controtendenza e giusta e si fa finta di niente nella speranza che le cose si aggiustino da sole.
Più grave ancora il sonnambulismo italiano in Libia. La guerra civile fra Haftar e Serraj va avanti da mesi ma l’Italia ha aspettato solo gli ultimi giorni per muoversi diplomaticamente con un po’ di convinzione. Ma oltre a muoversi tardi si è mossa anche male come dimostra il vertice con Conte disertato da Serraj dopo la visita di Haftar a Roma. Se ci sarà un cessate il fuoco e una stabilizzazione della Libia sarà solo per l’intervento diplomatico di Erdogan e Putin. La pace è ovviamente la soluzione più auspicabile ma con Russia e Turchia che si ritagliano una posizione di influenza, non avere voce in capitolo sulla risoluzione della crisi di un paese a cui siamo profondamente legati e che dista poche miglia dalle nostre coste, espone l’Italia a rischi enormi.
Immagine da www.picryl.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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