Dopo il libro, il film. Ormai è una prassi anche per Donato Carrisi. Dopo il successo de “La ragazza nella nebbia” (recensione qui) con 3 milioni di libri venduti nel mondo, nel 2017 è arrivata la pellicola diretta da lui stesso. Carrisi ricevette da Steven Spielberg il David di Donatello come miglior opera prima. Come esordio davvero niente male. Ho avuto l’onore di presentare il film al cineforum e il pubblico era letteralmente ipnotizzato allo schermo. Durante il dibattito, le domande sono state molte e la gente era contenta di vedere qualcosa di inedito per il livello del cinema italiano contemporaneo. Anch’io personalmente ho adorato il libro e il film è una buona trasposizione.
Eppure se Carrisi non avesse avuto successo con la letteratura, non sarebbe mai arrivato al cinema. Lo dice lui stesso su “FilmTv” facendo l’esempio di Giorgio Faletti che, nonostante il successo da scrittore, al cinema non ci è mai arrivato. Non è così automatico come sembra. Adesso Carrisi ci riprova con la trasposizione di uno dei suoi romanzi più appassionanti: L’uomo del labirinto. Un altro volume che ho letto in pochissimo tempo, capace di prenderti dall’inizio alla fine. Anche stavolta il film è un’altra cosa, ma rispetto al precedente è più ambizioso. Se l’ambizione è da lodare, però bisogna dire che questa pellicola ha anche qualche problema. Perché “L’uomo del labirinto” ha una svolta verso la fine che rende bene per quanto riguarda il libro, mentre nel cinema è piuttosto ardua da rappresentare. Purtroppo lascia qualche interrogativo per la resa sul grande schermo.
La qualità in ogni caso è alta. Carrisi ha preso ispirazione da un caso di cronaca argentino, nel quale il rapitore aveva tolto alla vittima gli specchi. Particolare non da poco, visto che i giudici l’hanno considerato un’aggravante. La cultura contemporanea si basa sulla nostra immagine riflessa: dagli smartphone a internet all’immagine che noi intendiamo proiettare sugli (e agli) altri. La pellicola è un gigantesco gioco di specchi.
Tuttavia stavolta ci troviamo dentro a un film difficilmente etichettabile. Un’opera dove traspare tutta la presenza tangibile del Male che attrae e respinge lo spettatore. Ma c’è soprattutto un’attenta analisi sociologica su solitudine e isolamento che hanno cambiato il volto delle nostre città e dei nostri paesi. La violenza (psicologica, fisica o indotta che sia) è l’elemento costitutivo della società: il gioco di specchi su cui poggia il film non è altro che il riflesso del “passaggio di consegne” tra carnefice e vittime.
“Lo spunto è nato sul set de “La ragazza della nebbia” e ho subito pensato a Toni Servillo per il ruolo di Genko, era già scritto. Ed è nato dalla voglia di sfidare di nuovo il pubblico, perché lo scrittore ha il compito di creare trame noir mentre il lettore e lo spettatore vogliono giungere alla soluzione prima della fine. Ovviamente l’intento è di fare in modo che non ci arrivino, e questo aspetto mi intriga moltissimo. Chi ha letto il libro rimarrà avvantaggiato, ma avrà delle sorprese” – ha rivelato Carrisi.
Dimenticatevi la nebbia e il paesino di Avechot, ispirato dal “Twin Peaks” di David Lynch. Stavolta Carrisi parte da archetipi come il Bianconiglio di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll e “Harvey” (film con James Stewart) per rivelare allo spettatore un mondo sotterraneo, nascosto. Ma c’è di più. Molti hanno parlato di Donnie Darko, ma io ho visto piuttosto l’Inferno di Dante Alighieri. Il viaggio dei personaggi è una sorta di discesa agli inferi. Ci sono Dante, Virgilio, il Limbo (il commissariato dove si indaga sulle persone scomparse) e non manca nemmeno (un insospettabile) Caronte. In ogni caso siamo distanti dai toni di un film come “La casa di Jack” di Lars Von Trier. “Sono partito da una mia paura: quella del labirinto. Ma ho anche recuperato il mio atavico terrore del buio e vi ho inserito delle porte. Dietro ogni porta c’è una paura diversa, ed è così che funziona la nostra mente: serriamo le nostre paure dietro porte di ferro, poi le porte improvvisamente si aprono e le paure tornano a farci visita. L’inganno è creato in modo tale che lo spettatore possa entrare nell’atmosfera del racconto” – ha confessato Donato Carrisi. Il romanzo, come il film d’altronde, inizia da una situazione che stiamo vivendo in maniera allarmante: un’ondata di caldo anomalo senza precedenti che non permette alla gente di lavorare in modo normale. Nel libro infatti si iniziava proprio dalla notte in cui la gente si muoveva più liberamente.
Come in “Joker” la città (ricreata interamente negli studi di Cinecittà) è un personaggio, uno dei tanti stratificati labirinti. Invivibile e indecifrabile.
Siamo in un posto indefinito, così come il tempo per ottenere una maggior curiosità nel pubblico, ma anche perché la mente quando non ricorda, è piuttosto vaga. Ancora una volta la vittima è una ragazza tredicenne che viene rapita e caricata su un furgone bianco. Si chiama Samantha Andretti (da adulta interpretata da Valentina Bellè, la Dori Ghezzi di “Principe Libero” a fianco di Luca Marinelli/ Faber). La famiglia della vittima si rivolge all’investigatore privato Bruno Genko (Toni Servillo). L’uomo viene presentato come sciatto, trasandato e puzzolente perché è consapevole di avere un cuore “ballerino”. Sa che gli resta poco da vivere. L’uomo si è lasciato andare. L’unico che lo sopporta è Linda (Caterina Shulha). Carrisi pone un cambiamento non da poco nel film: nel libro era una transessuale, qui invece è una giovane donna.
Dopo 15 anni, nel cuore della notte, Samantha riesce a fuggire dal labirinto dove qualcuno l’ha tenuta prigioniera. Nel frattempo è diventata ormai donna, ha quasi 30 anni e non sa cosa le sia successo. Ha anche una cicatrice sulla pancia. Avrà avuto un figlio o una figlia durante la prigionia? Si risveglia in un letto di ospedale. Accanto a lei c’è il profiler, il dottor Green (l’82enne Dustin Hoffman). Quest’ultimo ha il compito di sostenerla e di aiutarla a capire la psiche di colui che l’ha rapita. Contemporaneamente Genko viene a sapere che Samantha è scappata dal labirinto. Il suo carceriere è scomparso e nessuno l’ha mai visto. La vita di Bruno, apparentemente senza senso, diventa importante per risolvere l’enigma dietro al rapimento della Andretti. Perché Bruno è consapevole che 15 anni prima non aveva fatto a pieno il suo dovere e vuole rimediare. La ragazza ricorda solo un labirinto, le sue pareti grigie e i pianti delle vittime (note come “figli del buio”). Sono proprio loro il vero motore del film: i traumi dell’esperienze li porta a rivivere la stesse all’infinito senza vie di uscita. Come se fossero eternamente segregati nel labirinto. E poi c’è il carceriere: un uomo con testa da coniglio bianco con occhi a forma di cuore che si fa chiamare Bunny. Più che un coniglio sembra una variazione del minotauro. Il protagonista di un fumetto apocrifo considerato scandaloso. Interessante, in tal senso, il cameo di Luis Gnecco (il Pablo Neruda del film di Pablo Larrain) che omaggia sia La nona porta di Polanski sia Mortdecai (è il nome del personaggio). Ma cosa c’entra Samantha con il labirinto, il fumetto di Bunny? Perché è stata scelta? Come rivelato da Donato Carrisi, il coniglio, considerato erroneamente animale tenero e innocuo, era una figura inquietante per i latini per la sua velocità. Non a caso nella letteratura e nel cinema quest’animale è dannatamente controverso. In realtà tutto ciò è un velato omaggio a David Lynch di “Inland Empire”. Il film non gioca molto sulla sfida attoriale tra le due star, come invece accadeva tra Servillo e Reno ne “La ragazza nella nebbia” (lì a dir la verità c’era anche un ottimo Alessio Boni). I due sono molto distanti e condividono solo una scena (piuttosto importante). Carrisi ha pensato al grande attore americano perché voleva “un profiler diverso da quelli che vediamo di solito. Un uomo con vecchi metodi, con grande esperienza, affettuoso ma anche severo. Solo lui era in grado di passare da un ruolo all’altro nello stesso personaggio. Era dal 2017 che Dustin Hoffman non lavorava”.
Anche dal punto di vista tecnico il film è curatissimo: gli attori sono diretti maggiormente (Servillo è tenuto più a bada, la Bellè invece dovrebbe fare meno smorfiette), la fotografia ha una gamma di colori maggiore (con alcune assonanze cromatiche di “Blade Runner 2049”), gli effetti sonori sono magistrali per far partecipare lo spettatore alla caccia, la regia è più curata e matura. Il tutto per un budget di 4 milioni di euro (praticamente niente per un film americano, non poco per un film italiano). Va detto inoltre che Carrisi è stato ispirato dai grandi thriller americani anni 90: La nona porta di Polanski, The Game e Seven di David Fincher, I soliti sospetti di Bryan Singer, Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme (notare la gabbia dello scantinato che somiglia a quella di Anthony Hopkins/Hannibal Lecter). Senza dimenticare Dario Argento e piccoli sprazzi di Shining di Kubrick. Che la caccia abbia inizio. Non avverrà là fuori, ma dentro la mente di Samantha. Tutti sono consapevoli che la verità non esiste, ma ognuno deve andare a scoprire come vanno le cose. Quello è il vero labirinto, la sua prigione. La natura umana, dopotutto, è capace di genio e bellezza, ma anche di generare abissi oscuri. E Carrisi in questo è ancora una volta sinonimo di qualità, per il suo smisurato coraggio. Se lo confrontiamo con “Il signor diavolo” di Pupi Avati che aveva qualche cosa in comune, si vede la differenza, soprattutto nella creazione della tensione, dell’atmosfera. Anche se Carrisi ha tanta ambizione e mette troppa carne al fuoco. La svolta finale, come detto, non è del tutto convincente: c’è un cambiamento repentino, brusco, frettoloso. Inoltre l’uso della computer grafica usata per la creazione degli esterni non sempre convince, considerando invece l’incredibile cura per i dettagli degli interni (notare la splendida scena del primo incontro tra Genko e Bunny). Tuttavia il sistema produttivo italiano fa bene a sostenere Carrisi perché è uno dei pochi personaggi multitasking (letteratura, cinema e non solo), editorialmente parlando. Finalmente in Italia c’è qualcosa di inedito. E occhio al finale: la soluzione all’enigma è una parola di 11 lettere. Una volta risolto capirete anche la differenza che c’è tra La ragazza nella nebbia e L’uomo del labirinto.
FONTI: Comingsoon, Mymovies, Best movie, Cinematografo, Repubblica
Regia ***1/2 Interpretazioni ***1/2 Effetti Sonori **** Sceneggiatura ***1/2 Fotografia **** Film ***1/2
L’UOMO DEL LABIRINTO
(Italia 2019)
Genere: Thriller, Drammatico
Regia e Sceneggiatura: Donato Carrisi
Fotografia: Federico Masiero
Cast: Dustin Hoffman, Toni Servillo, Valentina Bellé, Vinicio Marchioni, Luis Gnecco
Durata: 2h e 10 minuti
Distribuzione: Medusa (400 copie)
Produzione: Colorado Film, Gavila
Uscita: 30 Ottobre 2019
Tratto dal romanzo omonimo di Donato Carrisi (Longanesi Editore)
Budget: 4 milioni di https://www.cinematografo.it/recensioni/luomo-del-labirinto/euro
Trailer
Intervista a Donato Carrisi e al cast
La frase: La caccia non è là fuori, ma dentro la tua mente
Immagine da www.cinematografo.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.