Nessuno voleva produrlo. Nessuno avrebbe potuto sfidare i capolavori di Leone, Coppola e Scorsese. Allora ci ha pensato quest’ultimo ad elevare e vincere l’ennesima sfida della carriera. Eppure bastava solo fare tre nomi per allietare le platee di tutto il mondo: Scorsese, Pacino, De Niro. Un’operazione che serviva a unire il passato con il presente del cinema. Perché anche la fruizione della settima arte è cambiata: dalle sale affollate allo streaming a casa. Infatti, mentre le major hollywoodiane sono impegnate a consolidare e/o a dare linfa ai loro franchise, è arrivato Netflix e ha messo i soldi necessari per la realizzazione di The Irishman. Il film aveva inizialmente un budget di 100 milioni di dollari, ma è salito fino a 140 per l’uso di effetti speciali (firmati dalla Industrial Light & Magic fondata da George Lucas nel 1975) che garantiva il ringiovanimento dei protagonisti. Così il film è passato da Paramount al colosso dello streaming.
L’opera è passata in sala solo 3 giorni (dal 4 al 6 novembre) per poi arrivare su Netflix dal 27. Fortunatamente il successo è stato tale da estendere le proiezioni anche nei giorni successivi.
Lo sceneggiatore Steven Zaillian (Schindler’s List, Risvegli, Gangs of New York e American Gangster) ha adattato il romanzo di Charles Brandt “I Heard You Paint Houses”.
Innanzitutto vi tranquillizzo: nei dialoghi scorre tanta ironia (“mi hanno detto che imbianca le case”) e anche il sangue è copioso, ma stavolta ci sono più pacatezza, più malinconia, meno adrenalina stile The wolf of Wall Street e un po’ di nostalgia canaglia.
Un’operazione del tutto simile a quella di C’era una volta in America di Sergio Leone, ma chi ci rivede Casinò, Quei bravi ragazzi di Scorsese e Il Padrino di Coppola non sbaglia sicuramente. Qui l’arco temporale narrativo è di 50 anni.
Ecco spiegata la durata del film (3 ore e mezzo).
Al di là delle indubbie capacità di Scorsese, c’è anche il ritorno di attori del calibro di Harvey Keitel (Mean Streets, Taxi Driver) e Joe Pesci, oltre a Robert De Niro e Al Pacino. Le due star italo-americane hanno fatto insieme solo 3 film: Heat la sfida, Il padrino parte II e Sfida senza regole.
Nei primi due non si incontravano quasi mai. In Heat, vista la loro rivalità, Michael Mann dovette fare girare l’unica scena insieme con l’uso di campi e controcampi per non farli incontrare sul set. Solo nel thriller Sfida senza regole“(film non eccelso) i due condividevano scene insieme. Era il 2008.
Scorsese ha voluto fare giustizia, dando ai cinefili di tutto il mondo l’occasione di vederli duettare insieme sul grande schermo.
In The Irishman Pacino domina la parte centrale, mentre De Niro è monumentale nel finale. La sconfitta più grande per un uomo è sicuramente quella di terminare la propria vita da solo in un ospizio dopo un’intera esistenza al servizio del crimine. I due ci ricordano perché sono considerati i due migliori attori viventi (anche se personalmente mi è difficile perdonare la scelta di De Niro di prender parte a una “monnezza” come Nonno scatenato).
Quest’ultimo qui è come Clint Eastwood di The mule: l’uomo comune che si spinge ai massimi livelli di crudeltà, nonostante vada verso l’epilogo della sua vita. Mentre Al Pacino è sicuramente più umano e Joe Pesci tratteggia un’interpretazione mostruosa (premio Oscar come non protagonista in arrivo?). In fondo vi dirò perché.
Ma veniamo al film.
La storia è quella di Frank Sheeran (De Niro), veterano della Seconda Guerra Mondiale nonchè trasportatore di carne, che incontra per caso il boss della mafia Russell Bufalino (Pesci). Quest’ultimo nascondeva dietro la sua attività di tendaggi, notevoli ed illegali traffici. Bufalino crede che Sheeran sia una persona affidabile. Tanto che lo presenta al sindacalista dei camionisti, l’istrionico Jimmy Hoffa (Pacino in versione Avvocato del diavolo). Uno dei più influenti personaggi della società americana. Negli anni ’60 quest’ultimo fu condannato per frode, corruzione e altri reati. Una volta uscito di galera, continuò senza sosta a stringere mani con uomini di dubbia moralità. Hoffa era un uomo assetato di potere e la sua arroganza portò dei malumori in alcune famiglie della malavita.
«Ho sentito dire che dipinge case», dice Hoffa quando parla per la prima volta con Frank The Irishman Sheeran. L’espressione in gergo significa che c’è da fare un omicidio (con schizzi di sangue che appunto colorano le pareti). Quest’ultimo acconsentiva facendo, a richiesta, anche “lavori di falegnameria” (l’occultamento di cadaveri).
Dal canto suo, Sheeran fu decisivo in notevoli tappe della storia. Il film racconta l’accordo tra Sheeran e Bufalino, la loro ascesa nella società americana, i loro rapporti con la politica, i meccanismi interni, il modus operandi e quant’altro. In particolar modo fu importante nell’elezione di John Fitzgerald Kennedy, ma anche nel tragico omicidio dello stesso a Dallas nel 1963.
E poi c’è quel 30 luglio 1975, data in cui accadde un fatto oscuro, rimasto irrisolto che gettò qualche ombra su questi personaggi.
Probabilmente questo film chiuderà (definitivamente?) l’epopea del gangster movie. Tutto rasenta la perfezione: l’accurata sceneggiatura, la regia (notare il pianosequenza iniziale), la fotografia, la direzione degli attori che qui è raffinatissima, il montaggio, la coerenza dei tre atti. L’unico difetto è l’uso di quella tecnologia costosissima usata per il ringiovanimento degli attori. Si nota che i movimenti dei “vecchietti” non sono fluidi come quando siamo giovani. Ma a pensarci bene Scorsese probabilmente vuole mostrare i fantasmi del cinema del passato ai tempi del digitale. Tempi in cui è possibile ricreare (quasi) qualunque cosa, ma dove i sentimenti sono raffreddati. Pensate al Re Leone del 2019: la versione digitale non lega nemmeno le scarpe rispetto all’originale. Il motivo? Tutto diventa tecnica, ma il cinema è anche e soprattutto umanità sembra dirci Scorsese. E ha ragione lui. La polemica sui film Marvel è sicuramente legata a questo discorso, non solo al contrasto parchi divertimento/ vero cinema.
A rincarare la dose poi ci pensa quel“It is what it is” di Joe Pesci che è destinata a diventare una delle citazioni più importanti del cinema del 21°secolo. Come accadde per Sergio Leone nel suo ultimo film “C’era una volta in America” il protagonista è il tempo. E questa frase di Pesci è talmente semplice ed efficace da rappresentare perfettamente la nostra incapacità di vedere il futuro.
FONTI: Cinematografo, Cinematographe, Mymovies, Comingsoon, Movieplayer, Bad Taste, Nocturno
Regia ***** Interpretazioni ***** Effetti Speciali ****
Sceneggiatura ***** Fotografia *****
THE IRISHMAN ****1/2
(USA 2019)
Genere: Drammatico, Azione, Thriller, Biografico
Regia: Martin SCORSESE
Sceneggiatura: Steven ZAILLIAN
Fotografia: Rodrigo PRIETO
Cast: Al PACINO, Robert DE NIRO, Joe PESCI, Anna PAQUIN, Harvey KEITEL
Durata: 3h e 30 minuti
Distribuzione: Netflix e Cineteca di Bologna
Uscita: dal 4 al 6 novembre al cinema; dal 27 novembre su Netflix
Budget: 140 milioni di euro
Tratto dal libro di Charles Brandt I Heard You Paint Houses
La frase: Mi hanno detto che imbianca le case
Foto da empireonline.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.