Greta Thunberg, un nome che, grazie al “climate strike”, è sulla bocca di tutti. Il 15 marzo 2019 le piazze di tutta Italia si sono riempite di persone, non unite da alcuna bandiera associativa o politica (questo è stato infatti l’appello degli organizzatori) ma solamente dalla volontà di salvare il pianeta. A capo di tutto una ragazzina di soli sedici anni, nel pieno dell’adolescenza. Questo dato, solo a prima vista prettamente anagrafico, spinge a fare una riflessione su come (e soprattutto se) sia possibile avvicinare i giovani a tematiche di interesse generale, spingendoli ad uscire dalla gabbia delle loro vite quotidiane.
Infatti, se da una parte è sacrosanto lasciar nascere spontaneamente, dall’altra si rischia, non forzando un po’ la mano, di trovarsi dei ragazzi (e poi degli adulti) assolutamente disinteressati a quanto succede loro intorno, convinti che il senso della vita sia combattere le proprie piccole battaglie quotidiane. Ovviamente non si vuole sindacare sul modo di affrontare la vita di qualcuno, ed è umano che un ragazzo sia totalmente assorbito dal mestiere di vivere e da eventi a suo giudizio enormi e importantissimi. Ma non può che far piacere vedere esempi come Greta: ragazzi impegnati nel costruire qualcosa per tutti. Giovani adulti capaci di comprendere come la politica sia ovunque, e rendersi conto che, seppure non ci occupiamo di politica, “la politica si occuperà di noi”.
Quindi quale atteggiamento potrebbe essere il più consono, soprattutto da parte di chi si trova per le mani un bambino/adolescente ed ha dalla sua il “torto” di essere abbastanza attivo su determinate tematiche? Ovviamente non esistono formule magiche, a maggior ragione su argomenti così delicati come la crescita di ragazzi, ma forse è interessante azzardare qualche riflessione in proposito. In famiglia ognuno ha il sacrosanto diritto di mostrare e parlare di quello che è e fa: se una persona vicina ad un bimbo si reca ad una manifestazione ambientalista, che lo dica senza problemi, e mostri tranquillamente volantini o altro. Starà poi al bambino interpretare gli stimoli secondo la propria età e, per certi aspetti, creatività: magari la diossina dell’inceneritore finirà nei disegni dell’asilo. E allora? L’unico rischio è che la maestra sappia delle inclinazioni ambientaliste della famiglia. Non è mica un delitto!
E se il figlio crescendo manifesta delle inclinazioni non gradite? C’è, ahimé, poco da fare: tanto più che tutti passano l’età della ribellione, durante la quale tutto ciò che propone il genitore è il male assoluto, da tenere il più possibile a distanza. Quindi i genitori non possono che turarsi il naso e incrociare le dita: magari prima o poi la loro progenie tornerà sulla retta via!
Ma è indispensabile rendersi conto che i tempi sono cambiati: la realtà in cui siamo immersi non è quella del ’68, mitico anno delle grandi manifestazioni portate avanti anche dagli studenti. E, così come sono diversi i motivi per manifestare, sono diversi anche i modi di scendere in piazza. Quindi non ha senso storcere il naso perché i ragazzi hanno postato su Facebook le loro foto in piazza, o perché hanno fatto dei video per immortalare i momenti topici della manifestazione. Chissà, se i manifestanti contro la guerra in Vietnam avessero avuto a disposizione determinati strumenti forse li avrebbero usati, riuscendo ad allargare la portata della protesta. D’altronde, sarebbe ridicolo rifiutarsi di utilizzare ciò che il nostro tempo ci mette a disposizione, e continuare a seguire pedissequamente quello che si faceva nel “buon tempo antico”. In fondo ciò che conta è la consapevolezza di ciò per cui si scende in piazza: i social network sono semplicemente degli strumenti per raggiungere più gente possibile.
Quindi è stato un segnale bello ed importante che, in occasione del climate strike siano scese in piazza fianco a fianco persone di tutte le età: non si è trattato di uno sciopero studentesco («fatto per saltare la scuola», direbbero i malpensanti) ma di una lotta condivisa, coi genitori e gli insegnanti. Una presa di coscienza che, ci si augura, non cadrà nel dimenticatoio nel giro di poco tempo, ma un potenziale segnale di cambiamento.
Probabilmente ci voleva Greta, serviva un personaggio che, non essendo ingabbiato in un partito politico, fosse in grado di trascinare le folle e guadagnarsi un consenso più allargato. Con questo naturalmente non si dà ad intendere che sia un male riconoscersi in un partito, anzi probabilmente è vero l’opposto. Ma per quanto riguarda temi più universali, probabilmente una bandiera può allontanare coloro che si sentirebbero di sostenere la lotta specifica ma nutrono sentimenti non benevoli verso alcune bandiere.
Immagine di 350.org (dettaglio) da flickr.com
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.