Certo, quello per l’economia non è un vero e proprio Nobel: si tratta di un premio che la Banca di Svezia assegna ogni anno in nome di Alfred Nobel. Ma, sinceramente, ai fine di questo ragionamento la cosa importa il giusto. Soprattutto perché stiamo parlando di una disciplina come quella economica, dove troppo spesso definizioni formali comode e strumentali per il sistema in cui viviamo (e che si vuole mantenere) vengono assunte quasi a dogma.
Quest’anno, quindi, il Premio Nobel per l’Economia è stato assegnato, tra gli altri, a David Card, economista canadese che per quasi tre decenni ha studiato le politiche sul lavoro. In particolare, Card ha studiato empiricamente le catene dei fast food arrivando ad un assunto che in molti avrebbero pensato impossibile: l’assunzione di norme che garantiscono un salario minimo decente per chi lavora non scoraggiano le assunzioni, anzi.
Esattamente: garantendo alle persone dei salari dignitosi, il mercato del lavoro complessivamente non ne risente.
Non so quanto spazio questa notizia troverà, anche nei prossimi giorni, nel dibattito politico italiano. Quel che è certo è che quella dei salari è una delle questioni sociali aperte nel nostro paese.
Lo abbiamo visto quest’estate, quando la raffica di aggiornamenti sulla pandemia prodotta dai media è stato scalfito dalla polemica sul reddito di cittadinanza. Una polemica allucinante, che vedeva giornali e trasmissioni tv dare spazio a improbabili imprenditori che affermavano drammaticamente di non sapere come fare ad affrontare le imminenti riaperture a causa della mancanza di personale disponibile. Mancanza di personale perché, a detta loro, nessuno vuole più lavorare adesso che c’è la manna del reddito di cittadinanza. Da lì è scaturito un dibattito, anche abbastanza virale, sul fatto che il problema fossero (e siano tutt’ora) le condizioni di lavoro: se venissero garantiti salari (e condizioni di lavoro) decenti, nessuno avrebbe difficoltà a trovare personale da impiegare.
Il tema sembra passato in sordina, messo da una parte dagli eventi. Mercoledì 13 ottobre è stata pubblicata su Openpolis un’analisi che, prendendo in considerazione i salari medi annuali nei paesi dell’Unione europea (dati OCSE), mostra come l’Italia sia l’unico caso in cui, dal 1990, questi siano arretrati. Viene presa quindi in analisi la variazione, negli ultimi anni, del salario di una persona che lavora in ciascuno stato europeo. Ovviamente ci sono forti eterogeneità: se i paesi dell’est Europa e dell’ex blocco sovietico hanno visto aumentare i propri salari in modo esponenziale, partendo però da livelli salariali nettamente inferiori a quelli dell’Europa centrale, anche in questi si sono avute variazioni in positivo, se pur di entità minore. L’unica eccezione è appunto l’Italia, che ha visto il salario medio annuale diminuire il 2,4% dal 2020.
In un momento in cui i prezzi delle materie prime sono in continuo aumento e in cui anche le bollette stanno registrando rincari importanti, questo dovrebbe essere il tema al centro del dibattito politico. La sinistra di questo paese dovrebbe tornare a rivolgersi alle lavoratrici e ai lavoratori, ricordando loro che quello ad un salario che permetta loro di vivere in modo decente è un loro diritto. Negli ultimi anni ci siamo sentiti dire, in tutte le salse, che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, che molti di noi conducono una vita che non possono permettersi. Ecco, il punto dovrebbe diventare che in Europa, nel 2021, non è ammissibile lavorare a tempo pieno e non sapere come fare ad arrivare alla fine del mese. Dobbiamo (uso un noi che comprende una generica classe lavoratrice media) smettere di sentirci in colpa per lo stile di vita che facciamo se, arrivati al 27 del mese, ci ritroviamo a dover fare attenzione a fare la spesa ed incrociamo le dita che non si rompa la caldaia (perché non sapremmo come pagare la riparazione).
La rivendicazione per il salario minimo è oggi fondamentale. Non dobbiamo limitarci a chiedere politiche per l’occupazione, ma dobbiamo rivendicare buona occupazione. Abbiamo uno strumento a disposizione, che certamente può essere discusso e che dobbiamo capire come inserire nella contrattazione tradizionale, ma che diventa, ogni giorno che passa più necessario.
Immagine da commons.wikimedia.org
“E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa”
Cit.