Scrive Giuliano Ferrara sul Foglio che il “Tuca tuca” è stato progenitore del bunga bunga”. Tralasciando la provocatoria, quanto abbastanza infelice affermazione del giornalista (volta solo a legittimare il “Ruby Gate” di Berlusconi attraverso un’acrobatica giravolta che accosterebbe i comportamenti del Cavaliere alla “leggerezza” espressa da Raffaella Carrà nei suoi spettacoli), certamente è possibile sostenere che la Carrà abbia contribuito a rinnovare e modernizzare il costume degli italiani.
Soubrette, cantante, ballerina, attrice, conduttrice televisiva, radiofonica e autrice televisiva italiana. Definita “la regina della televisione italiana”[1], è stata presente nei palinsesti televisivi dalla fine degli anni sessanta fino alla sua morte, avvenuta lo scorso 5 luglio. Dopo alcune apparizioni cinematografiche, è durante la stagione 1969-1970 che arrivò il successo televisivo, nello spettacolo Io, Agata e tu (con Nino Taranto e Nino Ferrer), in cui Carrà lanciava un nuovo stile di showgirl, scattante e moderna. Appartengono a quegli anni la partecipazione a Canzonissima, dove diede scandalo per l’ombelico scoperto nella sigla di apertura Ma che musica maestro! e il celebre Tuca tuca sopra menzionato, con annesso balletto, che venne censurato dalla Rai perché considerato troppo provocatorio e audace. Tra il 1975 e il 1980 Raffaella si concentrò maggiormente sulla sua carriera di cantante, ottenendo consensi in paesi di tutto il mondo, come Spagna, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Inghilterra, Grecia e in particolare nei paesi dell’America Meridionale, divenendo un vero e proprio fenomeno di esportazione della musica italiana nel mondo. Uno dei successi più clamorosi fu il brano A far l’amore comincia tu, che riuscì a toccare, nella sua versione inglese, il nono posto della classifica dei singoli più venduti in Inghilterra, ottenendo diversi dischi d’oro e platino in tutto il mondo. Nel 1978 rientrò in Italia, dopo numerose tourneé all’estero, per presentare il varietà del sabato sera Ma che sera, nel quale presentava, cantava e ballava affiancata da Paolo Panelli, Bice Valori, Alighiero Noschese e Giorgio Bracardi, animatori degli spazi comici del programma. Particolarmente ricordata è la sigla iniziale, Tanti auguri, in cui Raffaella canta un inno all’amore libero e spensierato, con il ritornello divenuto in poco tempo celeberrimo (“Come è bello far l’amore da Trieste in giù”).
Dal 1983 al 1985 presentò su Rai1 Pronto, Raffaella?, il primo programma di mezzogiorno della Rai che segnò la sua definitiva affermazione come conduttrice. Gli anni Novanta e Duemila furono costellati da vari successi, come Caramba, che sorpresa, seguito da Caramba, che fortuna e la conduzione della cinquantunesima edizione del Festival di Sanremo, successi che perdurarono fino agli anni odierni, quando, nel 2019, la conduttrice tornò in televisione col programma A raccontare comincia tu, in cui la Carrà intervistò vari artisti e conduttori, tra cui Renato Zero e Maria De Filippi. Renzo Arbore ha definito, ai microfoni dell’agenzia stampa nazionale Adnkronos, la scomparsa di Raffaella, avvenuta il 5 luglio 2021 “un dolore enorme” affermando che “con lei si chiude la bell’époque della televisione, educativa, istruttiva elegante, allegra, semplice, ma musicale”.
Ma cosa ha simboleggiato Raffaella Carrà per la televisione e la società? Sicuramente ha rappresentato una liberalizzazione dei costumi, lasciando una potente eredità non solo nel mondo dello spettacolo, ma anche nella nostra realtà sociale e culturale. A partire dal suo iconico caschetto, la rivoluzione di Raffaella parte da look che hanno osato sfidare la morale comune, come il già citato ombelico scoperto. Con il sopra ricordato “Tuca tuca”, con l’invito esplicito a toccare ed essere toccati, la Carrà ha dato vita a una vera e propria trasformazione nel modo di concepire la visione del corpo e dell’eros: “Era l’Italia del Vaticano, della censura e del moralismo. Era anche il periodo delle rivoluzioni. Le giovani donne si identificarono in lei. Fu uno scandalo e fu un success”[2].
Il 1971, anno del Tuca tuca, è anche l’anno della contraccezione legale, dell’autodeterminazione delle donne a compiere le proprie scelte nell’ambito della maternità. L’anno prima, il 1970, era entrata in vigore nel nostro Paese, la legge che introduceva il divorzio, nonostante l’opposizione della Democrazia Cristiana. In questo senso, nella direzione dunque di una progressiva emancipazione politica e sociale, si può inserire il fenomeno Carrà. La leggerezza e spregiudicatezza attraverso cui la showgirl affrontava il tema sessuale rispondeva a un’esigenza di liberazione dalle tradizioni ultracattoliche, moraliste e oppressive che vigevano in Italia (e che purtroppo sono tuttora dure a morire). Sicuramente non è che la Carrà sia una figura “progressista”, nel senso politico del termine, ma certamente è indubbio che abbia espresso un elemento di rottura e rinnovamento nel panorama, non solo italiano, ma europeo e perfino mondiale (basti pensare al successo che la conduttrice ha avuto in Argentina). Mentre, infatti, sempre nel 1971, quando nasceva a Torino il movimento “Fuori” (fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano), la showgirl diventava icona gay, espressione del mondo Lgbtqia+. Come ricorda Francesco Canino nel Fatto Quotidiano “Raffaella diventava inconsapevolmente simbolo di un’intera comunità, con Canzonissima che trasforma la soubrette del bianco e nero in ultra diva che già scoppia di colore. Così la Carrà diventa mito e il pubblico omosessuale se ne innamora fino a idolatrarla e a considerala punto di riferimento; [la showgirl] entrò a gamba tesa sparigliando i giochi, favorendo l’emancipazione delle donne e diventando un’icona assoluta di libertà […]. Mentre le casalinghe impazzivano per ‘La Hora de Raffaella’, le e i trans e le drag queen del quartiere Chueca di Madrid, s’ispiravano ai suoi look e le sue canzoni diventavano degli inni progressisti”[3]. Senza esserselo imposto, ma attraverso il suo stile coloratissimo, la sua visione “apoliticamente aperta”, disinvoltamente inclusiva, la Carrà bruciava le tappe e precorreva i tempi, sia in fatto di moda che di diritti. “Raffaella non è una donna, è uno stile di vita”, disse in un’intervista Pedro Almodovar.
Probabilmente è proprio il carattere disimpegnato della donna, privo di sovrastrutture, che conferisce alla cantante un’immagine di anticipazione della modernità. Una concezione aperta, dunque, quella della Carrà che, senza essere particolarmente attiva nell’ambito della politica – sebbene in realtà, in occasione di un’intervista a un giornale spagnolo, si sia sempre definita comunista e si sia sempre schierata a favore dei diritti civili, come il matrimonio omosessuale, lei che ha sempre affermato di esser cresciuta da due donne e non da un padre e una madre – si fonda su un’idea di società che vede la leggerezza e l’amore come pilastri di un divertimento universale privo di discriminazioni e distinzioni relative al genere o all’orientamento sessuale.
È forse proprio questa visione “vitalistica” del mondo e dell’eros, inteso come sentimento che unisce e non discrimina, a rendere Raffaella Carrà un emblema di emancipazione, pur essendo, forse, per rovesciare un’espressione del già citato Frsancesco Canino[4], “donna meno di lotta e più di paillettes”. Certamente la conduttrice, proprio per la levità che ha sempre rappresentato, ben si identifica anche con il sistema liberista e de-ideologizzato del periodo successivo, che, semplificando al massimo, inizia negli anni Ottanta per protrarsi fino ai giorni nostri. Ci si può infatti chiedere se, la mancanza di impegno e la ricerca ossessiva di evasione che ha caratterizza la società odierna sia una deriva, anche, del fenomeno Carrà: forse è perciò opportuno domandarsi se ciò che legittimamente e fortunatamente ha portato anche ai progressi civili sopra ricordati, in realtà nel tempo, senza essere accompagnato anche da battaglie e rivendicazioni di tipo politico, possa configurarsi esclusivamente solo come un positivo e brillante elemento di costume.
Senza voler qui affermare che il simbolo (non certamente la donna) di Raffaella Carrà abbia contribuito alla creazione di una “distrazione di massa” spacciata per emancipazione sociale, sicuramente è possibile sostenere che l’omaggio alla grandezza artistica della showgirl non vada scambiato per una conquista di diritti che, almeno per chi scrive, deve passare anche mediante lotte consapevoli di stampo politico e sociale. Certamente, a livello culturale, la Carrà, come precedentemente ricordato, non può non essere considerata un simbolo femminista e un’icona gay, una figura che ha rivoluzionato il modo di concepire il mondo femminile e omosessuale, un’immagine che ha permesso un’evoluzione per quanto riguarda la rivendicazione dei diritti civili. Probabilmente non è bastata, come ancora si riscontra dalle difficoltà che sta ricevendo il DDL Zan per essere approvato. Ma, se quindi non si può parlare della conduttrice come di una rivoluzionaria, sicuramente la possiamo ricordare con le parole usate dal The Guardian, quando, nell’autunno del 2020, la incoronò sex symbol europeo, definendola “l’icona culturale che ha insegnato all’Europa le gioie del sesso”[5]. E scusate se è poco.
Nicola Napoletano, Raffaella Carrà compie 77 anni. Buon compleanno, Regina!, su blmagazine.it, 18 giugno 2020 ↑
Raffaella Carrà, è suo “l’ombelico del mondo”, in “look da Vip”, 5 luglio 2021. ↑
Francesco Canino, Raffaella Carrà, come e perché è diventata (vera) icona Lbgtqia+, Il Fatto quotidiano, 7 luglio 2021 ↑
Francesco Canino, ibidem ↑
Raffaella Carrà: the Italian pop star who taught Europe the joy of sex, su the Guardian, 16 novembre 2020 ↑
Immagine da commons.wikimedia.org
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.