Pubblicato per la prima volta il 14 dicembre 2017
Il ventesimo secolo che si è aperto con il movimento futurista si è chiuso con una epidemia di nostalgia. Di fronte a un futuro che spaventa e un presente gravido di miserie materiali e spirituali, il passato sembra essere per molti cittadini della società liquida globale un rifugio rassicurante.
Nel suo ultimo saggio, uscito a settembre per Laterza e scritto poco prima di morire, Zygmunt Bauman prova a tracciare le coordinate di un diffuso sentimento di ritorno a “un passato perduto, rubato, abbandonato ma non ancora morto”. Gli anni della retrotopia prendono svariate forme ma riflettono la perdita di certezze e di punti di riferimento della tarda modernità.
Bauman fa giustamente risalire questa più vasta inclinazione culturale alle trasformazioni del sistema economico e politico. Con il neoliberismo lo Stato non ha più il compito di proteggere i proprio cittadini dai rischi sociali: «lo Stato ha abbandonato nella pratica il proprio ruolo di paladino e custode della sicurezza per diventare uno dei tanti fattori che cooperano nell’elevare al rango di condizioni umane permanenti l’insicurezza, l’incertezza e il rischio per l’incolumità». Uno stato che interviene solo per lubrificare i meccanismi concorrenziali del libero mercato finisce per produrre un “ritorno a Hobbes”, ovvero a una condizione di lotta di tutti contro tutti per accaparrarsi le risorse scarse.
Manca così un soggetto collettivo forte che abbia l’ambizioso obiettivo di coniugare il miglioramento individuale a quello sociale e di progettare una società più accogliente verso i bisogni e le aspirazioni dei cittadini. Come nota Ulrich Beck, ormai ciascun individuo ricerca soluzioni personali a problemi sociali. L’obiettivo non è più quello di migliorare la società ma solo quello di migliorare la propria posizione individuale all’interno della stratificazione sociale. Ma emergere è arduo e il rischio di non farcela enorme. Non c’è da stupirsi allora che le persone vedano con sempre meno ottimismo il futuro, costellato di pericoli e di rischi, fonte di ansie e di inquietudini.
Oggi la generazione nata nel dopoguerra vede le condizioni materiali di esistenza e il prestigio sociale dei propri figli o nipoti in netto peggioramento, mentre la nuova generazione, i millennials, è la prima generazione che esprime la paura di perdere, anziché migliorare, lo status sociale raggiunto dai genitori. In questo contesto c’è chi comincia a vedere nel progresso non tanto un miglioramento umano e sociale ma solo l’etichetta sotto cui si giustificano licenziamenti, perdita di posti di lavoro e peggioramento delle condizioni lavorative e ambientali. Il progresso che era stato il mito fondatore della modernità è ora visto con diffidenza.
Bauman illustra questi aspetti con la consueta chiarezza argomentativa e mette in guardia dai possibili rischi che accompagnano le visioni retrotopiche dato che esse tendono non solo a recuperare il passato ma anche a plasmarlo e modificarlo in funzione delle più svariate esigenze politiche:
«in teoria il futuro è la sfera della libertà (in cui tutto può ancora accadere) mentre il passato è la sfera dell’inesorabilità immutabile e inalterabile (in cui tutto ciò che può accadere è già accaduto); il futuro in linea di principio è duttile, mentre il passato è solido, massiccio e definito una volta per tutte. Nella pratica della politica della memoria, invece, il futuro e il passato si sono – o è come se si fossero – scambiati i rispettivi punti di vista. La duttilità del passato, la facilità di plasmarlo e riplasmarlo, è sia la condizione necessaria della politica della memoria, sia il presupposto quasi assiomatico della sua legittimità, sia infine ciò che permette di ricrearlo e reinterpretarlo all’infinito».
La rivalutazione generalizzata per il passato implica dunque anche una sua reinvenzione e rilettura. Si spiega così come uno degli esiti della retrotopia sia un ritorno al nazionalismo o al tribalismo. La paura del futuro porta al rifugio a una dimensione perduta che viene idealizzata: la comunità chiusa o lo stato nazionale assumono il ruolo di catalizzatori e vengono eretti come argini alla globalizzazione incontrollata. Riprendendo certe idee già anticipate su Voglia di Comunità, Bauman non esita a mettere in guardia da una politica della memoria che riporta in auge sentimenti ed atteggiamenti di intolleranza, xenofobia e razzismo.
Oltre a un ritorno a Hobbes, al tribalismo e alle disuguaglianze che il sistema neoliberista continua ad accrescere, il paradigma retrotopico contemporaneo secondo Bauman si caratterizza anche per un ritorno al “grembo materno” e più precisamente a una chiusura nel proprio essere. In una società altamente concorrenziale, uno dei rifugi prediletti è la propria persona. Il narcisismo contemporaneo si caratterizza per una privatizzazione radicale dell’idea di progresso: il miglioramento è inteso solo per accrescimento del proprio benessere e delle proprie performance psicofisiche.
Proprio la massimizzazione del benessere diventa un’esigenza morale tanto che siamo sempre più portati ad affidare ai nuovi santoni e profeti dello star bene (come chef-celebrità o manager di successo) la nostra totale fiducia. Il paradosso è che esternalizziamo ai nuovi esperti la nostra vita intima in modo da avere da loro un feedback continuo ma poi il loro coaching ci porta a interiorizzare la responsabilità: è colpa nostra se non riusciamo a risolvere un problema o non raggiungere certi standard imposti socialmente.
Non possiamo che concordare con Bauman quando afferma che «la nuova moralità del ritorno al sé si basa su una nuova nozione di responsabilità, non più orientata su qualcosa che è “fuori”- l’Altro, i nostri cari, “noi”, la comunità, la società, l’umanità, il pianeta in cui viviamo – ma sul mio corpo, sulla sua agilità, sulla sua capacità di gratificarci “stando bene”». Il risultato di questa privatizzazione e autoreferenzialità del dovere morale è la progressiva dissoluzione del legame sociale e affettivo. La solitudine non è solo un sentimento ampiamente diffuso ma un dato di fatto del nostro tempo.
L’ultimo saggio di Bauman utilizza il filo conduttore della paura del futuro per sviluppare delle riflessioni già abbozzate o affrontate in altri suoi contributi. La categoria di retrotopia, qua investigata facendo riferimento a temi cari al sociologo polacco, come il ritorno del nazionalismo, l’individualismo sfrenato, la perdita di riferimenti collettivi, ha il grande vantaggio di poter essere ulteriormente sviluppata su nuovi e altri terreni se è vero che ad esempio oggi gran parte dell’industria culturale soffre di questa sindrome nostalgica: la musica, come nota il critico Simon Reynolds su Retromania, non è mai stata così dipendente dal suo passato, ma lo stesso discorso può essere fatto per la moda, il cinema e le serie televisive. L’esperienza estetica postmoderna è da molti punti di vista un’esperienza di godimento del passato, un passato ovviamente rivisto, ripulito e per certi versi stereotipato (l’immaginario anni ottanta della pur apprezzabile serie televisiva Stranger Things appare un esempio emblematico a riguardo).
Bauman ci lascia come ultimo regalo una categoria analitica che merita di essere più attentamente sviluppata.
Immagine di copertina ed. Laterza
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.