Che
significa privilegio? È un sostantivo maschile che da una parte vuol
dire speciale onore, che tocca ai migliori o più fortunati,
dall’altra invece indica persone che possono sottrarsi a certi
obblighi, vivere una vita migliore rispetto agli altri per motivi
economici, razza, sesso.
La classe privilegiata,
nell’immaginario comune, appartiene alla borghesia, a chi si gode i
frutti delle politiche economiche e sociali dominanti in un
determinato contesto economico e politico. Tutti abbiamo a che fare
con esso, più di quanto ci piaccia ammettere. Perché parlare di
privilegio, di essere privilegiati, squarcia il velo ipocrita che
avvolge il tema della lotta di classe, dei diritti sociali e in buona
misura anche civili.
Vi
consiglio la visione di un ottimo documentario intitolato Hello
Privilege. It’s me Chelsea a una prima occhiata
potreste confonderlo con il classico prodotto d’intrattenimento in
cui una comica vuol dire la sua su un problema serio e difficile per
la società americana (le condizioni di vita della e nella comunità
afro americana) facendo leva su un umorismo scorretto e irriverente,
che come sempre in questi casi succede, risulta decisamente ben
omologato agli istinti della società.
Tuttavia dopo i primi
dieci minuti, il documentario prende una piega assolutamente inedita
e assai interessante: più che il problema dei neri americani, non
sarà il caso di chiedersi come mai i bianchi non si sentono
privilegiati di esser nati con quel colore della pelle? Come mai
si tende a evitare di confrontarsi con una realtà tanto evidente
quanto scomoda e nascosta, cioè che nascere con la pelle bianca ti
garantisce una vita decisamente migliore rispetto ad altre minoranze?
Quanto sanno veramente la white people di cosa significhi
vivere con la paura di esser fermato dalla polizia? Il terrore
costante di trovarsi in un posto sbagliato al momento sbagliato? Anzi
la certezza che “il posto sbagliato nel momento sbagliato” sia
l’unico in cui tu possa stare. Gesti normali e quotidiani che
facciamo ogni giorno, possibilità di lavoro, di scelte per quanto
riguarda l’istruzione o la sanità, appartengono non ai cittadini
americani, ma a una percentuale di essa che ha due elementi in
comune: ricchezza e colore dell’epidermide.
Eppure
quando a una persona fai notare che è privilegiata essa quasi non ci
crede. Anzi è facile, tranne in pochi casi che ammetteranno di
esserlo per ostentazione di potere o sincera autocritica, che le
persone si difendano dichiarandosi vittime o che hanno lavorato tanto
nella vita per cui si godono quel che meritano.
I
privilegiati sono sempre in prima fila a parlare di meritocrazia.
Perché se dico che quanto guadagnato è frutto solo della mia fatica
e impegno e che la mia vita è esente da problematiche che riguardano
altri, gli emarginati, non sono costretto a far i conti con me
stesso. A volte ci permettiamo anche di commuoverci per le
disavventure degli esclusi, quando parliamo con un ragazzo africano
che vende accendini e a cui doniamo un po’ di solidarietà per
permetter a costui di pranzare o comprarsi qualcosa. Tuttavia il
discorso e il pensiero cadono sulle sventure di questo ultimo e non
sul nostro ruolo sociale, su come la nostra vita per quanto tremenda,
tranne alcuni casi specifici, abbia sempre appoggi e sostegni che un
ragazzo afroamericano si sogna, o un qualsiasi altro essere umano non
nato in occidente.
Certo una parte significativa di
sottoproletari sono bianchi, ma analizzate le dinamiche tra
emarginati di diverso colore della pelle, può capitare che il
povero, sfruttato, umiliato, bianco non tenti di legare rapporti di
lotta, sostegno, affettuosità e comunicazione con l’emarginato,
escluso, di colore diverso. Vi sono anche episodi felicissimi in cui
il colore della pelle non sia da barriera per le battaglie e la
solidarietà.
Il privilegio non ha a che fare – sempre e comunque – con il merito, perché ci dovremmo chiedere che meriti avrebbero i bianchi degli stati del sud negli Stati Uniti, o la classe media bianca tali da poter vivere una vita complicata e difficile, in certi momenti della loro esistenza, ma senza sentirsi gli occhi addosso, o vivere in zone depresse dove l’unica cosa che non manca è la droga.
Perché mancando strutture scolastiche degne (la scuola pubblica in certe zone d’America è a dir poco abbandonata e conta pochissimo in caso di ricerca del lavoro) luoghi di aggregazione stimolanti, prospettiva di futuro, non rimane che cercare la via del guadagno più facile.
Tornando al documentario di Netflix, Chelsea si meraviglia di come la polizia trattasse lei e il suo suo fidanzato di colore, quando venivano arrestati per possesso/spaccio di droga. Lei, figlia di una famiglia benestante di ebrei americani, viziata e che gioca a fare la ribelle, riceve solo una severa lavato di capo dagli sbirri, lui finisce in galera. Per lei, bianca e benestante, la vita sregolata è un modo di protestare contro la famiglia. Un gioco che può permettersi e vivere come un’avventura mozzafiato e memorabile, possono esserci delle conseguenze anche gravi, ma pure queste vengono valutate come rischi di una recita, appunto un gioco. Per il suo ragazzo invece è una gabbia dalla quale difficile scappare. Una vita che ha preso sua madre, che prenderà altri della sua comunità, vite segregate a cielo aperto, ma sempre lontanissimi da poter partecipare al sogno americano. Tranne quando rientrano in alcuni ruoli, spesso artistici o sportivi, ma anche in quei casi, la libertà di esistere, muovere, esprimersi di un bianco non sarà mai quello di un nero.
Il privilegio è diverso dal razzismo, che spesso viene ostentato, perché è nascosto e non concepito da chi lo vive. Alla base un reale problema di empatia, di approfondimento storico, conoscenza sociale. L’altro diverso da me è il problema, non la difesa ad oltranza di una posizione sociale che in un certo senso supera anche la classe, un proletario afroamericano ha problemi peggiori rispetto a uno bianco, in una società di fatto basata sull’esclusione di chi non riesca a edificare il sogno americano. Questo vuol dir la maggioranza degli americani, certo ma con la differenza reale che pone le basi del privilegio di esser nati bianchi in quel posto, ma forse anche in altre nazioni, cioè la padronanza che noi abbiamo del nostro corpo, cosa negata in modi sempre diversi ma di comune radice, agli afroamericani.
Questo
elemento è ben descritto in quel libro meraviglioso scritto da
Ta-Nehisi Coates Tra me e il
mondo, opera scritta sotto forma di lettera al figliolo in cui
l’autore sostiene che un nero in America è un individuo che non
può permettersi il lusso di esser padrone del proprio corpo,
perché esso appartiene alla polizia, (il potere omicida dei
poliziotti americani e la loro oppressione violenta delle minoranze
non viene quasi mai affrontato come si deve, chissà perché) poi i
bianchi che per la semplice percezione di un ipotetico pericolo, per
disprezzo, odio, indifferenza, decidono quando quel tuo corpo nero
potrà esser distrutto, umiliato, annullato. Ti potranno dire e la
cosa sembrerà normale, che tu non puoi sederti in quel posto, non
puoi girare in macchina rilassato, non puoi chiedere di coprire certe
mansioni nella società che non siano quelle in cui, nolente o
dolente, c’è spazio per te. Cosa che per un bianco non è quasi
mai così. Nessuno lo respingerà o sentirà il bisogno istintivo di
allontanarsi o colpirlo, perché la sua presenza di fatto è una
minaccia contro la mia tutela fisica.
Il problema è non
accorgersi di questa fortuna, non legata a meriti alcuni se non il
destino di nascere in una certa nazione e di farlo con la pelle
giusta.
Non nego che i bianchi della classe proletaria se la passano male, malissimo, in America e nel resto del mondo, ma che nella terra dello Zio Sam, moltissimi dei bianchi non dovrà mai a confrontarsi con la paura di esser assaliti e colpiti, di subire mille ostacoli spesso nascosti dietro a paternalismo e finta partecipazione. Queste cose riguardano solo gli afroamericani. Noi per aiutarli a superare questo problema dovremmo rivedere il nostro pensiero non è facile perché vorrebbe dire doversi interrogare su argomenti, comportamenti, idee consolidare e giudicate accettabili, quando non proprio giuste. Bisogna ammettere di aver sbagliato, di godere di molte libertà e diritti che gli altri non solo non hanno ma noi togliamo ad essi.
Questo
problema in un certo senso dovrebbe esser sviscerato, analizzato, dar
vita a dibattiti e riflessioni anche sui rapporti tra sessi.
Come
sempre ci dividiamo tra fanatici sostenitori e ottusi conservatori,
quando le questioni sul rapporto tra donne e uomini rappresentano
in un certo modo lo scontro tra classi. Alla base c’è il
rapporto di forza e l’abuso di potere che il capitalismo pone
contro le classi sfruttate. Io non sono un femminista né un
simpatizzante del movimento femminista di questi ultimi tempi. Spesso
sono rivendicazioni di donne borghesi che si muovono all’interno di
dinamiche di potere capitaliste e delle classi medie. Come se il
problema della lotta di classe e della coscienza di essa non fosse
legata al fatto di esser donna e subire certe cose.
Un
produttore cinematografico rappresenta la forza capitalista che si
rifà sul corpo delle sue sottoposte, e attenzione non è un problema
confinato solo al mondo dello spettacolo. La sottomissione fisica e
mentale delle donne da parte di alcuni uomini è un dato di fatto
decisamente trasversale. Tuttavia anche in questo caso dobbiamo
tornare a parlare del privilegio di esser nati uomini, per
certe situazioni anche banali, ma che in un certo senso fanno
ragionare.
Certo le donne bianche e occidentali godono di
numerosi diritti che solo quarant’anni fa erano impensabili, sono
la maggioranza nel mondo dell’istruzione e della pubblica
amministrazione, in caso di divorzio spesso chi esce peggio è
l’uomo, ok questi sono gli argomenti che possiamo usare per cercare
di evitare un ragionamento su questo argomento. Talora siamo talmente
rivoluzionari, abbiamo talmente tante masse da organizzare, che
questi discorsi ci sembrano poco meno che roba borghese. Tuttavia in
famiglia e nei rapporti con le donne e i bambini, si vede come spunti
a un certo punto il privilegio distorto del maschio bianco. Quello
che la società gli fa subire (la spersonalizzazione e alienazione
del lavoro, la violenza repressiva dello stato, la minaccia di altri
uomini più feroci e forti) viene rifatto sulla moglie, la compagna e
i figli. Questo non vuol dire che io creda che gli uomini solo per
essere nati tali sono pericolosi ed è solo colpa loro se il mondo è
così violento, penso che un mondo governato da donne sarebbe un
mondo con guerre e classismo come quello di oggi, sopratutto se
emancipazione fa rima con imitazione di comportamenti negati al
cosiddetto “sesso debole”. Per cui partendo proprio da una
visione pacificata e risolta col mio essere uomo che posso
permettermi di far certe riflessioni.
Per
esempio, sono sicuramente una persona attenta alle problematiche
legate al razzismo, allo sfruttamento delle classi proletarie e
sottoproletarie, ho una visione sociale della vita e decisamente
comunista e di uguaglianza fra popoli, tuttavia ho sempre
sottovalutato certi problemi che molte donne ci confessano, Basta
chieder a loro, sulla gestione del corpo femminile e di come esso
possa sentirsi minacciato, anche in situazioni in cui non vi sia
nessun pericolo reale o imminente. Come tutte le cose percepite non è
tanto nel e sul concreto che dovremmo soffermarci, ma su come questo
possa succedere.
Io stesso faccio fatica a comprenderlo, ma
discutendo con mia moglie, leggendo con attenzione le proteste o la
rabbia di molte amiche, sono arrivato a pensare che la mia libertà
personale è superiore a quella delle donne.
Poniamoci in questo modo, compagni. Pensiamo come sarebbe vivere in una società in cui il 39% delle donne arrivasse a dire che le violenze che subiamo sono dovute al modo in cui ci vestiamo. Perché vogliamo provocare e subiamo quindi questa nostra pretesa assurda. Non vi sembrerebbe una cosa orrenda e idiota? Perché in quel modo un sesso denuncia il fatto di non aver nessun controllo sui propri desideri e istinti. Attenzione non si vuol limitare il corteggiamento, flirtare, provarci, semplicemente si chiede maggior rispetto dell’altra persona e di portare queste cose su un livello di partecipazione comune e non di sottomissione, disprezzo e altro. Non c’è un progetto oscurantista, a parte certe persone problematiche che usano certi diritti per dar sfogo a debolezze personali e non sono la maggioranza, semplicemente si chiede di riconoscere nella donna oltre un corpo, il possesso di esso. Si chiede di esser abbastanza normodotati di fermarsi in tempo quando una situazione rischia di degenerare, sopratutto quando non viene percepita da noi.
Non credo nemmeno che si mini chissà quale mascolinità, virilità, a porci il problema del nostro privilegio su alcune questioni. A parte che il mondo è pieno di “maschi alpha” con problemi di omosessualità repressa, ma questo è un altro discorso, significa solo pensare che proprio come un afroamericano vive con la paura costante che il suo corpo venga distrutto dal potere costituito e le donne possono percepire la paura di una violazione del loro corpo. Sicuramente passare davanti a un bar con molti clienti maschi non significa esser violentate, ma subire apprezzamenti pesanti non richiesti, che per noi non sono nulla, anzi sono normali, ma per molte donne non è così.
Il privilegio di esser nati con una certa pelle e un certo sesso è chiaramente sottoposto anche al privilegio di classe che è quello più evidente, ma anche meno considerato e denunciato, in questi tempi in cui l’imprenditore è un santo e il capitale l’unica soluzione. Per cui torneremo a parlare di classe operaia, di lavoro, di lotta, ciò non toglie che necessitiamo anche di altre riflessioni, alcune delle quali possono anche portare alla luce certi nostri comportamenti vissuti e fatti in buonissima fede, i quali però nascondono riflessioni per nulla scontato sulla libertà di vivere, essere, confrontarci con l’altro da noi.
Immagine Alex Garland (dettaglio) da flickr.com
Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.
Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni