Le primarie in Carolina del Sud hanno segnato una prima battuta d’arresto per Sanders ed è sembrato fin da subito un possibile rilancio della candidatura di Biden. L’ordine di arrivo dei candidati era ampiamente previsto, ma il distacco sopra le aspettative (quasi trenta punti) ha fatto apparire l’ex vice di Obama come unica alternativa al senatore del Vermont. La convergenza su di lui della dirigenza del partito è stata evidente: in meno di ventiquattr’ore Buttigieg e Klobuchar si sono ritirati dichiarandogli il proprio appoggio.
Alle soglie del Super Martedì restano ancora in corsa anche Bloomberg, che sarà sulla scheda per la prima volta, e la senatrice Warren, schiacciata tra il partito e Sanders ma che potrebbe ricevere pressioni da sinistra a riconsiderare le proprie chances.
Leonardo Croatto
La prima vittoria di Biden è l’arrivo del super martedì hanno finalmente fatto precipitare un bel po’ di elementi sospesi: due candidati di destra si sono ritirati per far convergere i loro voti su Biden e, secondo quanto riporta l’autorevole politico.com, sembra che si stiano intensificando le pressioni su Bloomberg perché anche lui abbandoni la corsa.
I sondaggi non danno ancora per favorito Biden: la vittoria in South Carolina è fortemente legata alla composizione demografica e la stessa composizione premierà sicuramente Biden in altri stati del sud, ma, sempre secondo i sondaggi, Sanders è dato per vincente (e con ampio margine) in stati molto ricchi di delegati.
Non è chiara invece la strategia della Warren, che, nonostante gli scarsissimi risultati, continua a restare in corsa pur non avendo alcuna speranza di recuperare. Diciamo che il sospetto che la candidata stia in campo solo per grattare qualche punto percentuale e qualche delegato a Sanders è forte.
Per i due candidati in testa alla corsa saranno dirimenti i risultati in Texas e California, ma, per quanto Sanders resti ancora il candidato più forte, è veramente difficile immaginare che una figura così complessa possa davvero rappresentare il Partito Democratico alle elezioni; all’opposto, se dovesse arrivare con un buon margine di delegati alla fine della corsa sarà complesso per il partito imporre un candidato più moderato.
Vada come vada, speriamo che i temi che hanno condizionato questa corsa per le primarie del Partito Democratico restino patrimonio del dibattito politico negli USA e che l’entusiasmo con cui le generazioni più giovani hanno accompagnato Sanders in questo percorso non vada disperso.
Piergiorgio Desantis
Il ritiro di Pete Buttigieg e la probabile convergenza su Joe Biden polarizzano lo scontro interno alle primarie americane. È uno scenario in cui si confrontano due visioni economiche assai distanti: quella di Biden, legata alla tradizione ormai trentennale della “terza via” clintoniana, centrista e liberista in economia; dall’altra il senatore Sanders, figura riconosciuta da tempo, è il lievito di una nuova generazione di elettori democratici che vuole mettere in campo una politica forte di redistribuzione delle risorse, di introduzione di tasse per i super ricchi e un rilancio economico eco-compatibile. È una disputa ancora aperta che avrà come climax il Super Martedì 3 marzo, dove si tasterà il terreno ai vari condidati in campo, con l’opzione Bloomberg tutta da verificare, tra l’altro.
Jacopo Vannucchi
Una delle principali contestazioni all’attuale sistema delle primarie democratiche è che i due stati che votano per primi – Iowa e New Hampshire – hanno quasi il 95% di popolazione bianca e quindi non sono rappresentativi dell’elettorato democratico nazionale, in cui sono molto rappresentate le persone di colore. Tuttavia vittorie o buoni posizionamenti in quei due stati potrebbero fornire ai candidati un indebito vantaggio psicologico e propagandistico.
Questo non sembra essere successo o, per meglio dire, è successo inizialmente ma l’effetto è stato poi riassorbito quando le primarie si sono spostate in Nevada (ampio elettorato ispanico e rilevante afroamericano) e Carolina del Sud (forte preponderanza di afroamericani). Qui si sono sgonfiate le candidature di Pete Buttigieg e Amy Klobuchar, che nei primi due stati “bianchi” avevano sottratto a Biden fette davvero consistenti di elettorato bianco, istruito e benestante.
Non essendo riusciti a mantenere quel vento in poppa, non avendo chances di vincere neppure uno stato nel Super Martedì (salvo la Klobuchar nel suo Minnesota), rischiando in tante circoscrizioni di restare sotto la soglia del 15% per l’attribuzione dei delegati, confrontandosi con il rischio di dividere il voto di centro e centrosinistra e favorire Sanders, i due competitor hanno optato per il ritiro e il subitaneo appoggio a Biden – fidando anche probabilmente in una nomina di gabinetto nel suo eventuale mandato presidenziale.
Inoltre, il partito si è decisamente schierato sulla figura di Biden: oltre al capogruppo alla Camera Clyburn, gli sono arrivati gli endorsement dell’ex leader al Senato Harry Reid e di due ex presidenti del partito (McAuliffe e Wasserman Schultz) storicamente legati alla cerchia dei Clinton.
In questo senso l’Asinello mostra di essere sensibile alla lezione del 2016: la dirigenza repubblicana, che detestava cordialmente Trump, non riuscì a dirimere gli egoismi incrociati e a sgomberare il campo dai troppi sfidanti. Col risultato che fu Trump a ottenere la nomina.
Biden era dato per spacciato già dopo l’Iowa (arrivò quinto) e il New Hampshire (idem). Analogamente, non bisogna pensare che oggi sia Sanders ad avere i giorni contati: è strafavorito per vincere lo stato più ricco di delegati, la California, ed è testa a testa nel secondo, il Texas. In generale pare che predomini laddove l’elettorato democratico è più bianco e istruito (Nordest, Ovest), mentre Biden avrebbe nel carniere le regioni con ampie minoranze di colore (Sud) e un testa-a-testa ci sarebbe nelle zone operaie (Midwest). Ad oggi la probabilità maggiore è quella di una convention senza maggioranza e con i giochi ancora aperti. Previsione che si realizzerà? C’è tempo per dirlo.
Per ora la certezza è che la corsa pare essersi resettata ai soli due candidati che fin dal primissimo inizio hanno mostrato di avere un radicato consenso di massa.
Alessandro Zabban
La popolarità di Sanders sembra essere superiore anche a quella di quattro anni fa, quando sorprese tutti arrivando a insidiare la nomination di Hillary Clinton. La società americana è sempre più polarizzata e crescono malcontento e risentimento. Ma battere il fronte dei moderati appare impresa comunque ardua, soprattutto perché questi ultimi possono contare su un supporto mediatico nettamente superiore rispetto all’outsider Sanders che con la sua etichetta di socialista sfonda fra i giovani ma evoca i demoni dell’inconscio collettivo americano. Proprio i corporate media, si stanno lanciando in degli attacchi frontali sempre più audaci e meschini. La CNN è arrivata addirittura a pubblicare un titoletto in sovraimpressione che recitava grossomodo: “Sanders e Coronavirus: possono essere fermati?”, paragonando senza troppe metafore il senatore del Vermont a un virus politico che minaccia il sistema stesso. Il Super Tuesday ci dirà se questa campagna denigratoria basterà a colmare le lacune di un polo centrista in difficoltà, nonostante Biden abbia dimostrato di essere popolare fra la comunità nera e Bloomberg abbia a disposizione miliardi per la sua macchina propagandistica. Salvo sorprese, la contesa sembra proprio essersi ristretta ormai a solo questi tre contendenti. Presto ne sapremo di più.
Immagine da www.piqsels.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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