Il Festival di Venezia porta bene. Dopo il doppio premio al Lido (Leone d’Argento e premio Mastroianni all’esordiente Filippo Scotti), Sorrentino rappresenterà ancora l’Italia agli Oscar 2022. Dopo la vittoria de “La grande bellezza” (2014) che lo consacrò perfino in America, il regista napoletano per la prima volta collabora con Netflix in un progetto dal sapore autobiografico.
La scelta del colosso dello streaming è stata quella di distribuire prima il film in cinema selezionati dal 24 novembre per poi dirottare la pellicola sulla piattaforma a ridosso di Natale (dal 15 dicembre). Lo stesso trattamento fu riservato a “Roma” di Alfonso Cuaron che poi trionfò agli Oscar con ben 3 premi. Era il 2019. Questo perché Paolo Sorrentino è un inconfutabile maestro del cinema italiano. Ogni suo film ha qualcosa da dire, da insegnarci, sempre in bilico tra sogno e realtà, ironia e dramma. Per la sesta volta si è ricongiunto con l’attore feticcio Toni Servillo. I due ormai sono, nel nostro cinema, come Martin Scorsese e Robert De Niro.
“È stata la mano di Dio” appartiene alla cerchia dei suoi film migliori (personalmente insieme a Le conseguenze dell’amore, This must be the place, Il divo e La grande bellezza). La scuola napoletana sta trainando il nostro cinema: nel 2021 sono arrivati nelle sale Martone (Qua rido io), Di Costanzo (Ariaferma) e ora Sorrentino. “È stata la mano di Dio” è la sintesi del cinema di quest’ultimo. Ha scritto questo film per i due figli mettendo insieme parecchi episodi reali e un po’ di fantasia. Ha una duplice valenza: da una parte fa riferimento al contestatissimo gol di mano di Maradona in Argentina-Inghilterra ai Mondiali del 1986 in Messico, dall’altra il valore salvifico del campione argentino sulla vita del giovane Sorrentino.
A 16 anni infatti Paolo rimase orfano dei genitori che morirono nel sonno per le esalazioni tossiche del monossido di carbonio prodotte da una stufa. Lui si salvò perché andò a Empoli per vedere la partita del Napoli. «Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso (vicino L’Aquila, in Abruzzo); ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire”. Sarà per l’importanza della storia, ma questo film riporta Paolo Sorrentino ai suoi antichi fasti dimostrando che è uno dei nostri registi più capaci e più talentuosi.
È il ritorno di Sorrentino nella natia Napoli. Oggi vive a Roma e ha girato nella città natale soltanto il film d’esordio (L’uomo in più nel 2001). Ho avuto modo di intervistarlo più volte in varie situazioni (resoconto dell’incontro a Fiesole qui) e devo dire che può sembrare un po’ presuntuoso e complicato (come lo imita Crozza), ma è dotato di grande senso dell’umorismo e di padronanza del linguaggio e del mezzo cinematografico. Oggi è conosciuto in tutto il mondo, in America è idolatrato. Insomma ne ha fatta di strada.
La bravura di Sorrentino si vede soprattutto nella prima parte dove rievoca la magia della sua Napoli, collocata tra i fuochi del Vesuvio e bagnata dal mare (“glaciale” fotografia di Daria D’Antonio, cognata del regista), citando Amarcord di Fellini, senza sottrarsi a ispirarsi a Rossellini e Leone. Straordinario il pianosequenza iniziale in puro stile “grande bellezza”. Non è un caso che il colore predominante sia l’azzurro: il mare, la maglia del Napoli, il cielo in mezzo alle note di “Napul’è” di Pino Daniele. La seconda parte invece spegne gli entusiasmi e si concentra maggiormente sui malesseri interiori, sui propri mostri, sulle delusioni della vita. In puro stile C’era una volta in America di Sergio Leone. L’illusione di una vita da sogno. Il cinema, disse Fellini in un’intervista, serve a distrarsi. “A distrarsi da cosa?”, chiese il giornalista. “Dalla realtà, perché la realtà è scadente” rispose il maestro. Anche Sorrentino la pensa così.
Tant’è che nell’opera prima “L’uomo in più” il Pisapia di Toni Servillo sentenziava che “la vita è ‘na strunzata”. Nel mezzo c’è l’influenza di un Maradona che non si vede, ma che si sente nella vita del protagonista. Un calciatore che ha reso allegra e vivace tutta una città, facendola sognare. “Non è arrivato, è apparso. Non è sceso da un aereo, lo vedemmo sbucare dal nero degli spogliatoi del San Paolo (oggi lo stadio di Napoli è intitolato a Diego Armando Maradona). Non ci sono immagini del suo arrivo a Napoli. E poi spuntava nei posti, girava la città, ma per non avere la gente intorno si muoveva con la Fiat Panda e la gente si chiedeva se era lui. Quando io e mio fratello lo vedemmo in strada il mondo che in quel momento passava si fermò davvero” – ha raccontato il regista a “Repubblica”.
In tal senso è efficace l’interpretazione di Renato Carpentieri nei panni di Alfredo nella favolosa e divertente scena in cui vede nel gol di mano di Maradona la rivalsa del popolo sui ceti più abbienti (l’asso argentino era infatti comunista, così come il padre di Sorrentino). La metafora del regista napoletano è sottile e spietata: oggi nel calcio moderno il gol di mano sarebbe stato annullato dal Var, così come sta scomparendo la piccola borghesia e il ceto medio. O si diventa ricchi o si sfocia nella povertà. Nel mondo di oggi la misura non sembra più esserci. Ma questa “manina” è anche la provvidenza che sveglia dal torpore il giovane Fabio e lo fa diventare uomo. Fino a coronare il suo sogno: quello di sfondare nel cinema.
Non è la prima volta che il regista partenopeo cita il “pibe de oro”: in “Youth – la giovinezza” era una metafora vivente, come il traghettatore dantesco Caronte. In mezzo a due sponde: una è la vecchiaia, cioè il passato e la leggenda, l’altra è la giovinezza. Il Maradona di quel film era grosso e grasso, lento e col bastone. Ma era capace di palleggiare con una pallina da tennis (vedi qui). Cosa non da tutti.
Ma veniamo alla trama. Nel film Fabio (Filippo Scotti), alter ego del regista da giovane, è uno dei tre figli di una coppia napoletana, Saverio (Toni Servillo, come al solito grandissimo) e Maria (Teresa Saponangelo altrettanto brava). La famiglia Schisa è piccolo borghese, di sinistra (in questo senso stupenda la scena in cui il padre di Fabio usa il bastone al posto del telecomando), ama l’allegria e la condivisione a tavola con tanti parenti (serpenti) e amici. Fabio è un ragazzo inquieto e incerto sul futuro, con il diploma da conquistare. Il cinema si sa è sogno, evasione, ma anche riflesso della realtà. Fabio è un osservatore. È un “giocatore di scacchi”, che sa attendere.
È un ragazzo che è intimorito dalle donne e che cova un desiderio nascosto sulle forme della zia Patrizia (una fotogenica Luisa Ranieri), una donna bella, ma instabile quando apprende che non può avere figli. Il personaggio è in parte inventato. “È un mix tra una zia di mia mamma, non così bella, […] e la carica erotica che potevano avere per un sedicenne le amiche di mia sorella e anche di mia madre. Con la baronessa del piano di sopra non c’è stata alcuna esperienza sessuale” – ha rivelato al “Venerdì” il regista. È un bel contrasto in effetti che è sparso in tutto il film: il giovane Fabio non sembra capire le donne eppure descrive bene i personaggi femminili. Sempre in bilico tra risata e dramma. Intorno a lui ci sono una miriade di personaggi grotteschi che ricordano il teatro di De Filippo, ma anche Fellini (Amarcord) e Tornatore (L’uomo delle stelle): tra questi lo zio disilluso, la signora Gentile, impellicciata anche d’estate per dimostrare il suo status sociale (sublime), la cinica vicina (la baronessa Focale).
La vita di Fabio è contornata da una sorella che vive chiusa in bagno, il fratello che sogna di diventare star del cinema, gli scherzi della madre, i rimproveri del padre. E poi c’è il rapporto extraconiugale di quest’ultimo con una collega di banca. Sorrentino, in esclusiva al “Venerdì” di Repubblica, racconta che il suo vero padre, riguardo la vicenda, diceva semplicemente: “è capitato”. Fine della conversazione. Poi arrivò la tragedia della morte dei genitori (fatto reale, come detto in cima al pezzo) e Fabio deve maturare. Alla svelta. Specie quando scopre di avere un fratellastro.
Così capisce che la vita va assaporata diversamente. E ciò ricorda il Gambardella de “La grande bellezza”.
In questa pellicola l’interesse del Maradona simbolo è condensata in una scena. Mentre il protagonista assiste agli allenamenti del fuoriclasse argentino, si sente dire dal fratello che nella vita la differenza la fa la perseveranza. Infatti lui non riuscirà a sfondare nel cinema, mentre Fabio, alter ego di Sorrentino, ci riuscirà. Maradona si allena a battere le punizioni, ogni volta aggira la barriera e la mette in rete. Come ci riesce? Semplice, si è allenato costantemente per diventare un fenomeno.
Sorrentino si concede alla macchina da presa e conduce una sorta di seduta di psicanalisi attraverso l’alter ego di Fabio Schisa (splendida la parte finale tra Fabio e Capuano). Siccome è stato l’aiuto regista di Nanni Moretti (basta vedere “Il Caimano” per rendersene conto), sembra aver capito la lezione. Anche lui ha usato per diverso tempo l’identità di Michele Apicella per psicanalizzarsi. Da questa grandissima sofferenza è venuto fuori un grande regista, probabilmente tra i migliori del nostro cinema. Solo un grande osservatore come Sorrentino poteva tirar fuori dal cilindro film come Le conseguenze dell’amore, La grande bellezza, L’uomo in più e This must be the place.
Maradona è un simbolo di speranza in mezzo all’impossibilità di godere la realtà che ci circonda. Già ne “La grande bellezza” il pensiero serpeggiava qua e là in mezzo ai trenini che non portavano da nessuna parte. Un film che parla di morte e solitudine eppure è pieno di vita, di tavolate, di ironia e amore per le persone. “È stata la mano di Dio” vanta momenti di grande cinema e di ironia. Vanta grandi attori, tra cui il solito grandissimo Toni Servillo (lanciato proprio da Sorrentino nel cinema che conta con “Il Divo”), il giovane Filippo Scotti, la sorpresa Teresa Saponangelo e il solito Renato Carpentieri. Anche le comparse non sono da meno. Sarà protagonista ai prossimi Oscar?
I 6 film di Paolo Sorrentino con Toni Servillo:
- L’uomo in più (2001)
- Le conseguenze dell’amore (2004)
- Il divo (2008)
- La grande bellezza (2014)
- Loro (2018)
- E’ stata la mano di Dio (2021)
Fonti: Movieplayer, Cinematografo, Comingsoon, My Movies, Sole 24 ore articolo di Paola Zanuttini sul “Venerdì” di Repubblica (n.1753 del 22/10)
Regia ***** Interpretazioni ****1/2 Fotografia ****1/2 Sceneggiatura ****
È STATA LA MANO DI DIO ****1/2
(Italia 2021)
Genere: Drammatico, Biografico
Regia e Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Cast: Toni Servillo, Luisa Ranieri, Filippo Scotti, Renato Carpentieri, Enzo Decaro, Teresa Saponangelo
Durata: 2h e 10 minuti
Fotografia: Daria D’Antonio
Distribuzione: Netflix
Nei cinema selezionati dal 24 Novembre con Lucky Red
Dal 15 dicembre su Netflix
Gran Premio della Giuria a Paolo Sorrentino al Festival di Venezia 2021
Premio Mastroianni a Filippo Scotti al Festival di Venezia 2021
Candidato agli Oscar 2022 come Miglior Film Straniero
Trailer Italiano qui
Interviste a cast e regista qui
La frase: Noi siamo comunisti. Siamo onesti a livello interiore.
Immagine da mymovies.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.