L’edizione 2022 degli Oscar conferma ciò che dicevo gli anni passati. La cultura e il cinema stanno perdendo senso senza investimenti adeguati e i premi diventano sempre di più un riflesso di tutto ciò. Con la pandemia si è perso l’equilibrio andando a premiare le minoranze per tenerle buone, livellando di fatto il tutto verso il basso. Figuriamoci quando la guerra in corso si prende il palcoscenico svuotando di fatto tutto il resto. Il cinema è il contrario di quello che ci vogliono far credere.
Nella cultura bisogna smettere di inseguire il pubblico, ma bisogna invece andargli a far vedere qualcosa che lo meravigli, che lo stupisca. Lo stiamo vedendo oggi. A forza di inseguire i gusti del pubblico, lo stesso finisce per aver sempre meno voglia di andare al cinema. Non è solo un problema di natura economica, ma una questione di qualità dei prodotti. Gli Oscar sono una gigantesca fiera delle illusioni (parafrasando il film di Guillermo Del Toro rimasto a bocca asciutta perché dice la verità) dove però girano tanti soldi.
L’ultima vera edizione degli Oscar è stata quella del 2020 in cui vinse un film incredibile come “Parasite”. L’edizione 2021 e 2022 sono trite e ritrite, puntano all’audience facile (Will Smith che mena Chris Rock è l’esempio più calzante). Sicuramente questo abbassamento di livello è dovuto ai problemi dell’industria in epoca Covid, ma anche al cambiamento del mercato voluto dalle major (vedere alla voce piattaforme).
L’edizione 2022 sarà ricordata per poche cose. Nella storia degli Oscar solo 3 iconici personaggi hanno ottenuto 2 premi con attori diversi: Vito Corleone, il “Padrino” interpretato da Marlon Brando e Robert De Niro, Joker, con le interpretazioni di Heath Ledger e Joaquin Phoenix, e infine Anita di “West side story” (interpretata in passato da Rita Moreno e quest’anno da Ariana Debose).
Francis Ford Coppola, Al Pacino e Robert De Niro erano sul palco degli Oscar per festeggiare il 50° anniversario de “Il padrino”.
La scelta più interessante è che nessuno (almeno in Italia) ha visto “CODA”. Il quale ha vinto addirittura 3 Oscar (esagerati). Vi ricordo perché ha vinto: CODA è l’acronimo di Children Of Deaf Adults, ovvero figlio udente di genitori sordi. E’ un film rassicurante che strizza l’occhio alla famiglia e alla disabilità, ma sotto sotto è una paraculata. Uscirà con Eagle Pictures il 31 marzo da noi con il titolo “I segni del cuore”, ma è già uscito su Sky e in homevideo. Film che, tra le altre cose, è un remake del francese “La famiglia Belier”. È la seconda volta nella storia degli Oscar che un remake vince. La prima volta accadde con “The departed” di Scorsese che è il rifacimento di “Infernal affairs”. A livello politico non è una vittoria, ma un netto ritorno al passato che sa di restaurazione. CODA è un “feel good movie” tradizionale che scorre via senza sorprese. E’ la degna prosecuzione della scelta fatta a suo tempo con il politicamente corretto “Green Book” (3 Oscar nell’edizione 2019).
L’altra cosa che salta all’occhio è la vittoria delle piattaforme streaming. Le major hollywoodiane stanno perdendo sempre di più spettatori in sala per colpe delle loro politiche che stanno avvantaggiando chi ha la piattaforma di proprietà (Disney -> Disney +, Warner -> HBO, Paramount -> Paramount+). La concorrenza di player come Apple Tv, Amazon Prime e Netflix è asfissiante. Tuttavia un anno fa nove statuette erano andate alle piattaforme, quest’anno solo quattro (tre a CODA, una a Il potere del cane). Quella che ha vinto di più, apparentemente, è la Disney: Gli occhi di Tammy Faye, West Side Story, Encanto e Crudelia sono tutti suoi prodotti.
Sono d’accordo per la vittoria di Jessica Chastain sul primo, sugli altri non sono per niente d’accordo. West Side Story è il classico Oscar alle minoranze (e sono tante negli Stati Uniti). Ariana DeBose è la prima donna afroamericana apertamente omosessuale a vincere l’Oscar.
Sul film d’animazione non è una bestemmia la vittoria di Encanto, ma “Luca” era sicuramente superiore. Su Crudelia, nella categoria costumi, ci può stare. Dispiace un po’ per il fiorentino Massimo Cantini Parrini che era in competizione per “Cyrano”. La Warner Bros ha vinto più premi, sette, di cui 6 però sono gli Oscar tecnici di “Dune” (l’altro è il premio per Will Smith per il retorico “King Richard”). Come vi dissi all’epoca dell’uscita, Dune è un film magistrale da un punto di vista tecnico, meno a livello di sceneggiatura e di interpretazioni. La vittoria di Greig Fraser nella fotografia lo pone all’attenzione generale (considerate che Fraser è noto anche per “The Batman” e “Star Wars Rogue One”). Hans Zimmer vince come miglior colonna sonora, ma aveva poca concorrenza. Personalmente mi piacciono molto i lavori del musicista tedesco, ma in “Dune” è abbastanza ripetitivo e a volte sovraespone alle immagini la musica.
Per la miglior canzone, era ovvio, è stata premiata la traccia portante del film “No time to die”, ultimo capitolo di 007. Cantata da Billie Eilish.
La manfrina del pugno di Will Smith a Chris Rock è stata veramente ridicola. Il comico aveva fatto una battuta sulla moglie di Smith, Jada Pinkett (“ti prepari per Soldato Jane 2?” con allusione al look rasato di Demi Moore). L’allusione è sulla scelta dell’attrice di rasarsi per un problema di alopecia. Will Smith si è scagliato contro Chris Rock e gli ha rifilato un pugno. Il gesto è da condannare. La stragrande maggioranza ritiene che sia una gag costruita per l’audience. Solo su “Repubblica” scrivono che sia stato un momento di rabbia reale. Se fosse un gesto provocato dalla rabbia, sicuramente Will Smith non ha fatto una bella figura. È il riflesso del mondo di oggi. Infatti a livello di ascolti, l’edizione 2022 ha registrato un miglioramento rispetto a un anno fa del 56%, rimanendo però al secondo posto tra i meno visti di sempre. Premesso questo, il premio per “King Richard” all’attore Will Smith è esagerato.
Disarmante il premio Oscar del pubblico finito a “Army of the dead” del sopravvalutato Zack Snyder. Il film è di una mediocrità sconcertante. Universal si prende un premio per la sceneggiatura di “Belfast”, ma sa di consolazione. Il film era candidato a 7 premi e ne ha vinto solo 1. Francamente Kenneth Branagh ha fatto di meglio. A livello di scrittura sia “Don’t look up” di Adam McKay sia il norvegese “La persona peggiore del mondo” di J. Trier gli sono nettamente superiori.
Branagh è il vero sconfitto della notte degli Oscar insieme a Jane Campion e soprattutto a Paul Thomas Anderson (3 nomination, zero tituli). Il grande regista americano continua a rimanere a bocca asciutta. “Licorice Pizza” però non è assolutamente un film da Oscar. Stavolta la scelta la condivido.
La Campion è vero ha vinto l’Oscar, ma il suo “Il potere del cane” per il resto è rimasto al palo. Per la prima volta Apple Tv si aggiudica la palma di miglior film con appena 25 milioni di dollari di investimento (sto parlando dei diritti americani).
Netflix vince con “Il potere del cane” (miglior regia), “Army of the dead” (Oscar del pubblico). Dopo l’Oscar della Zaho per “Nomadland” nel 2020, hanno assegnato il premio a Jane Campion perché è una donna. La terza nella storia degli Oscar dopo la Bigelow (The hurt locker) e la Zaho (Nomadland). Perfino Hamaguchi di “Drive my car” l’avrebbe meritato più di lei.
Proprio il film giapponese ha trionfato tra gli stranieri, lasciando a bocca asciutta Paolo Sorrentino (È stata la mano di Dio) e il danese J.Trier con “La persona peggiore del mondo”. Due film di grande qualità.
“Drive my car” è un film molto bello, anche se molto lungo, ma questa categoria era quella dove c’era il cinema vero. Il messaggio che Hollywood dà è allucinante: il cinema d’autore si deve premiare soprattutto se è un film straniero. La lezione di Parasite non è stata ancora digerita. Infine, ancora una volta, l’Italia rimane a bocca asciutta. Peccato per Sorrentino (ma ci si aspettava). Dispiace per Enrico Casarosa (“Luca”) e Massimo Cantini Parrini (costumista di “Cyrano”). Casarosa aveva raccontato la sua infanzia ambientando il cartone Pixar alle Cinque Terre. Purtroppo la Disney ha messo fuori gioco il film, facendolo uscire direttamente su Disney +. Encanto invece ha avuto grande successo sulla piattaforma, mentre in sala è stato frenato dal Covid.
Infine un’appendice sull’attualità: era stato annunciato l’intervento del premier ucraino Zelensky. Non è accaduto. Meglio così.
Sean Penn aveva annunciato che fonderà i due Oscar (meritatissimi), vinti a suo tempo per Mystic River e Milk, nel caso in cui non avessero fatto parlare Zelensky. Vedremo se sarà di parola.
Oscar 2022: riepilogo dei vincitori:
Miglior Film: Coda – I segni del cuore di Sian Heder
Migliore regia: Jane Campion per Il potere del cane
Migliore attrice protagonista: Jessica Chastain per Gli occhi di Tammy Faye
Migliore attore protagonista: Will Smith per King Richard – Una famiglia vincente
Migliore attrice non protagonista: Ariana DeBose per West side story
Migliore attore non protagonista: Troy Kotsur per Coda – i segni del cuore
Migliore sceneggiatura originale: Belfast di Kenneth Branagh
Migliore sceneggiatura adattata: Coda – I segni del cuore di Sian Heder
Migliore fotografia: Dune (Greig Fraser)
Miglior trucco e acconciatura: Gli occhi di Tammy Faye (Linda Dowds, Stephanie
Ingram e Justin Raleigh)
Miglior film internazionale: Drive My Car di Ryusuke Hamaguchi
Miglior film d’animazione: Encanto di Byron Howard e Jared Bush
Miglior documentario: Summer of Soul… or When the Revolution Could Not Be
Televised di Ahmir “Questlove” Thompson
Migliori effetti speciali: Dune (Paul Lambert, Tristan Myles, Brian Connor e Gerd
Nefzer)
Miglior suono: Dune (Mac Ruth, Mark Mangini, Theo Green, Doug Hemphill e Ron
Bartlett)
Miglior montaggio: Dune (Joe Walker)
Migliore colonna sonora: Dune (Hans Zimmer)
Migliore canzone originale: No time to die (Billie Eilish e Finneas O’Connell)
Migliori costumi: Crudelia (Jenny Beavan)
Migliore scenografia (production design): Dune (Patrice Vermette; Set Decoration:
Zsuzsanna Sipos)
Miglior corto documentario: The Queen of Basketball di Ben Proudfoot
Miglior corto animato: The windshield wiper di Alberto Mielgo e Leo Sanchez
Miglior corto live action: The long goodbye di Aneil Karia e Riz Ahmed
Fonti: BadTaste, Comingsoon, Cinematografo, Movieplayer, MyMovies
Immagine da tg24.sky.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.