Pubblicato per la prima volta il 16 ottobre 2017
Potremmo definirlo il saggio del momento. Almeno a sinistra, ma l’ambito pare troppo delimitante, se si dà un occhio ai dati delle vendite (seconda edizione dopo una settimana, ci informa Laterza).
Marta Fana, dottorato di ricerca in Economia a Parigi (Institut d’études politiques SciencesPo), firma conosciuta per i lettori di Internazionale, il Fatto Quotidiano, il manifesto e pagina 99, è nota al pubblico televisivo anche per un recente scontro, puntuale e polemico, con Oscar Farinetti.
Non è lavoro, è sfruttamento si propone quasi come un manifesto per le giovani generazioni alle prese con un mercato del lavoro sempre più povero, sia in termini economici che di prospettive.
Il linguaggio stride con la narrazione del giovanilismo veicolato dal sistema di informazione, soprattutto prima della crisi economica del nuovo millennio. «L’oggetto della discussione è la coscienza di classe, motore della storia, la cui esistenza è negata nella retorica dominante per sgomberare il campo dalla resistenza a tutte le scelte politiche che in questi anni hanno decretato l’inasprirsi delle disuguaglianze economiche, politiche e sociali» [p. 7].
Tra i principali meriti della pubblicazione c’è sicuramente la trasmissione di espressioni abitualmente ridotte al mondo accademico, in una sorta di bignami di quanto analizzato e sviluppato nel mondo delle nuove generazioni della sinistra italiana, cresciuta con l’opposizione ai sempre maggiori tagli alla scuola pubblica, all’università e alla ricerca. Un sottile senso di delusione potrebbe raggiungere chi ha già familiarità con il lessico in uso. Vero è che gli ambienti militanti intercettano oggi sempre minori settori sociali, sia sul piano comunicativo che, soprattutto, su quello della rappresentanza.
Il pacchetto Treu (1997) è presentato come una «riforma copernicana per il diritto al lavoro italiano», a cui è seguita «una serie quasi bulimica» di altre leggi in materia, con una media di un nuovo testo ogni tre anni [p. 118]. La guerra di classe dall’alto portata avanti negli ultimi decenni, descritta efficacemente da Luciano Gallino, trova in Marta Fana una critica cantrice. In poco meno di 200 pagine Non è lavoro, è sfruttamento si propone di riepilogare e ricordare come si sia rafforzato il capitale nello scontro di contro il lavoro ed i lavoratori.
Il fulcro argomentativo sono le condizioni delle nuove generazioni, le più ridicolizzate dal sistema di informazione, le meno consapevoli nella guerra tra poveri scatenata dall’attuale società. L’alternanza scuola-lavoro, i voucher, la deregolamentazione a favore delle imprese, gli sgravi fiscali riconosciuti alle aziende, il welfare integrativo, i tagli allo stato sociale, la negazione di futuro a chi si impegna nel percorso di studi, i nuovi lavori subalterni ai ritmi dettati dagli algoritmi, lo sfruttamento nella logistica: sono alcuni dei temi trattati, nell’ottica di una risposta da imporre a chi ci propone il lavoro come merce, sostenendo come l’unica forma possibile in cui pensarsi sia quella individuale.
Ben venga un testo capace di veicolare concetti chiave come quello per il quale «non si esce vivi da soli. È questo il messaggio e al contempo la risposta» [p. 37], anche se in qualche passaggio la divulgazione si lega a qualche nota di colore (come il riferimento allo stipendio concesso a Fabio Fazio dalla Rai). La centralità del conflitto è ricordata in più passaggi, nella consapevolezza della scarsa visibilità che il sistema mediatico pare dare alle vertenze concrete. In questo senso Marta Fana rappresenta un’eccezione nel panorama mediatico.
Manca sul piano della politica organizzata italiana, sindacale e di partito, una progettualità in grado di mettere a valore gli elementi chiavi evidenziati dal testo. In questo senso può provare frustrazione il consapevole cittadino impegnato da oltre dieci anni a denunciare i dati riportati dall’autrice. Lo stesso successo di Non è lavoro, è sfruttamento parla molto della sinistra italiana che siamo. Ben venga quindi la scelta editoriale di Laterza e la presenza dell’autrice nelle trasmissioni televisive. Come ci dice proprio lei la risposta non è individuale, quindi sarebbe bene evitare di proiettare speranze salvifiche su un libro, quasi fossimo perennemente alla ricerca di un nuovo Manifesto per la classe lavoratrice. Si spera però che Luca Ricolfi, del cui ultimo libro abbiamo scritto qui, abbia il tempo per leggere Marta Fana, almeno si accorgerebbe che esiste una sinistra di classe, capace di produrre analisi (si spera presto in grado di organizzarsi con forme all’altezza dei tempi).
Immagine da Facebook.com
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.