La nomina dei consulenti governativi per il PNRR è stata accolta, anche in ambito accademico, con un certo stupore e con un appello che ha coinvolto economisti e intellettuali di varia provenienza. Si lamenta il fatto che i consiglieri al Dipartimento politica economica di Palazzo Chigi sono tutti di fede chiaramente liberista. Un ritorno, sotto certi aspetti, a politiche che, neanche in USA, trovano più seguito dalle parti della Casa Bianca. L’Italia appare come uno degli ultimi avamposti del liberismo, attardandosi su un piano che, da più parti, appare superato. Del ritorno del liberismo in Italia e di altre riflessioni si occupa il Dieci mani questa settimana.
Leonardo Croatto
Piergiorgio Desantis
Le nomine dei consiglieri economici per il PNRR confermano che nei paesi periferici e più deboli dell’UE si vuole ritornare, alla situazione pre-pandemia. Quindi, si avranno politiche di austerità espansiva (così è stata soprannominata) con interventi che hanno al centro la concorrenza, gli sgravi fiscali e la riduzione dei diritti per i lavoratori e per le lavoratrici. Il governo italiano, nell’attuale maggioranza variegata e variopinta, conferma un’egemonia chiaramente di destra (basti pensare alle polemiche sul reddito di cittadinanza), con una subalternità totale a politiche che già erano fallimentari. Ancor di più attualmente dove, come avviene negli USA, davvero ci sarebbe bisogno di un piano di investimenti pubblici corposo, sostanzioso e prolungato per creare posti di lavoro di qualità che, davvero, mancano in Italia.
Francesca Giambi
Il più importante punto di negatività del Programma è che manca una strategia complessiva sull’intervento pubblico. Sembra che non si riesca a capire, o non si vuole capire, cosa è veramente pubblico e si insegua solo una visione capitalistica/padronale.
La nomina dei cinque consulenti del PNRR va proprio in questa direzione. Non voglio entrare nel merito di questi “nominati” ma voglio ricordare la lettera dei 150 economisti, docenti universitari, ricercatori ed esperti che sottolineano le posizioni antiscientifiche e il loro “sostegno aprioristico ad una teoria che afferma l’inutilità, se non la dannosità, dell’intervento pubblico in economia.
Il mercato dunque risolve autonomamente qualsiasi problema economico e sociale? Ritengo che questa scelta sia pericolosa perché aumenterà ancora il già frammentato programma e la sua area di intervento. Per una Italia in queste condizioni sono necessari tre punti
1) la Sanità
2) l’Ecologia
3) il Fiscoe legati a questi i nodi della Pubblica Amministrazione e soprattutto la digitalizzazione.
Non mi sembra che oltre che titolare interventi nelle tante pagine del PNRR si diano risoluzioni, tempi e modalità per realizzarli… Come si fa allora a rilanciare davvero il PIL? Come è possibile ancora basarsi su lezioni passate che hanno provocato solo disastri? Come si può rilanciare un turismo sano, non un turismo mordi e fuggi che danneggia soprattutto le città d’arte? Come di può rilanciare un turismo se nel Pinano si sovvenzionano solo grandi eventi, naturalmente quasi tutti a Roma?
Ritengo che sia una grossa delusione tutto questo, e una via di non ritorno…Manca una visione approfondita di ciò che è l’Italia e di quello che deve diventare… Il Piano di preoccupa delle disuguaglianze sociali? Si preoccupa del mondo del lavoro, dei giovani e delle donne?
Il family act sembra solo uno spot, un “mulino bianco” privo di contenuti e di concretezza.Sull’industria soprattutto delle auto ci sono premesse ma senza impegni concreti a differenza di Germania e Francia dove i governi elaborano dei Piani pubblici mentre noi continuiamo a lasciar fare alle imprese. Quali sono le adeguate politiche di intervento sulla questione dei cambiamenti climatici, pilastro del Green Deal?
Ma soprattutto la sanità pubblica sembra non essere il primo punto di strategia… e tutti noi siamo consapevoli che in quasi tutta Italia la mancanza di una sanità pubblica ha portato solo disastri.E gli interventi sull’istruzione? Le spese saliranno di 0,4 ben al disotto della media europea.Siamo un paese piagato, di morti sul lavoro, di morti di fatica nelle campagne, di precari, di lavoro nero.Ma vogliamo invertire finalmente la rotta e pensare ad una Italia serena, tranquilla, lavoratrice?Tra poco però i nodi verranno al pettine e di fronte a scontri sociali, all’esasperazione, vedremo altri nomi affiancare Draghi per arrivare a reprimere il disaccordo…
Jacopo Vannucchi
Il 23 giugno Draghi ha riferito alle Camere che l’obiettivo del suo governo è mantenere per i prossimi mesi una politica di bilancio espansiva a livello europeo, così da migliorare, e non soltanto recuperare, i tassi di crescita già bassi prima dell’inizio della pandemia. Ha individuato in particolare il principale fattore di questa politica nel sostegno alla domanda.
Al tempo stesso ha osservato che nel medio e lungo termine la politica di bilancio dovrebbe tornare «prudente», specificando che questa intenzione va annunciata già ora per evitare effetti deleteri su tassi d’interesse e debito pubblico.Quella di Draghi pare quindi una riedizione, in dimensioni espanse dalla necessità della crisi, della “via stretta” di Renzi e Padoan: la ricerca costante di un equilibrio tra sostegno alla domanda e vigilanza sul bilancio. Cui si aggiunge un terzo elemento, futuristico ai tempi di Renzi: la riforma del Patto di stabilità, attualmente in discussione nella UE.
Questo indirizzo può essere raffrontato con un’affermazione che da Presidente del Consiglio incaricato Draghi rivolse alla delegazione del M5S che gli contestava le privatizzazioni degli anni ’90: «Ma quello era un sistema marcio, corrotto. I partiti controllavano gli enti pubblici. Io, però, non sono assolutamente contrario all’intervento pubblico nell’economia».La questione per Draghi sembra dunque essere la difesa delle risorse del PNRR dal tentativo dei partiti di utilizzarle a fini di consenso e clientela. Un rischio presentatosi in modo molto forte già nel 2018 con l’intento del M5S di rinazionalizzare Autostrade.
È per questo che non stupisce più di tanto trovare tra gli economisti contrari ai consulenti nominati da Draghi personalità come il prof. Roventini, nel 2018 scelto dal M5S come Ministro dell’Economia in pectore, o il prof. Felice, già responsabile economia del PD zingarettiano.Del resto il Dipartimento di Programmazione Economica resta diretto da Marco Leonardi, già consigliere dell’ex ministro Gualtieri. La combinazione di visioni politiche espansive al vertice delle strutture ministeriali con quelle liberali negli organismi di monitoraggio sembra dunque votata a conseguire un’efficacia dell’intervento pubblico senza gli effetti perversi che Draghi richiamava al M5S.
Alessandro Zabban
La pandemia ha incrinato il consenso e la fiducia nel neoliberismo? In un certo senso sì, se è vero che molti governi stanno iniziando a pensare a dei correttivi a un sistema che persino per il Fondo Monetario Internazionale è sempre più iniquo e quindi sempre più inefficiente.
Non si può dire che la critica al modello produttivo abbia assunto le dimensioni di una mobilitazione di massa, si tratta più che altro di effimere vampate di malcontento, che esplodono spesso per rivendicazioni precise per poi allargarsi senza però superare i confini locali o, se va bene, nazionali. Il processo di riforma, se così si può dire, parte dall’alto, è scevra da connotazioni morali e si appoggia solo sulla necessità politica di gestire il malcontento sociale e di ridare slancio al ruolo statale in una fase di crescente competizione internazionale e di nascita di un ordine multipolare fondata sulla rivalità ed equilibri precari.
Possiamo dunque dire che almeno per ora esiste poco più di un processo dall’alto di revisione e ristrutturazione del neoliberismo le cui contraddizioni sono però nascoste e presentate come piccole inefficienze da correggere. I veri problemi che derivano dal nostro sistema economico vengono dunque celate e accompagnate da una narrazione mediatica e politica aggressivamente spregiudicata contro la Cina e la Russia, perfetti capri espiatori dei fallimenti economici, politici, sociali, ambientali ed etici della globalizzazione occidentale.In Italia questo processo di raggiustamento del neoliberismo che possiamo considerare di riformismo elitario, si scontra con le resistenze dei liberisti ortodossi che hanno per decenni avuto una egemonia culturale quasi incontrastata. In un certo senso, il fatto che la presenza di economisti di questa vulgata all’interno del Nucleo tecnico, adibito alla gestione del PNRR, abbia suscitato polemiche va letto positivamente come passaggio a una fase storica in cui il neoliberismo non è più interpretato come un dogma, ma viene visto più realisticamente come una visione economica fra le altre. Da qui però a pensare che l’influenza di questo modo di intendere l’economia possa rapidamente scemare ce ne passa.
Come sempre, saranno le pressioni internazionali che indirizzeranno nel futuro la nostra politica economica. Siamo bravi ad adattarci a chi ha un maggiore spessore internazionale di noi e ai soggetti nazionali e sovranazionali maggiormente capaci di “dettare la linea”. Nel frattempo sarebbe vitale che la critica al modello di sviluppo fosse maggiormente organizzata dal basso ma ci si scontra con problemi decennali sul fronte della visione del mondo a sinistra che nel nostro Paese appaiono pressoché inestricabili.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.