Ormai ad agosto dell’anno scorso [2017, ndr] avevo proposto due letture diverse ma agilmente collegabili tra loro. L’invito di Pietro Ingrao a valorizzare la dimensione della contemplazione e un testo di Byung-Chul Han su come il nostro tempo distrugga ogni dimensione temporale, non attraverso l’accelerazione ma con uno svuotamento di senso.
Nel 2008 il sociologo Ulrich Beck (morto nel 2015) scelse di affrontare il tema della religione, confessando “un fallimento”, quello della sua disciplina rispetto alla capacità di comprensione di un “reincanto del mondo”.
L’apertura del
volume ha un forte impatto emotivo, riportando alcuni passaggi del
diari di Etty Hillesum, vittima dell’Olocausto e di cui
abbiamo gli appunti manoscritti tra il 1941 e il 1943. In una sua
preghiera della domenica mattina leggiamo: «una cosa però,
diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare
noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo
noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e
anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi
stessi, mio Dio» [pp. 5-9]. L’obiettivo della donna è
sopravvivere “senza amarezza e senza odio”, per salvarsi e
prendere parola a guerra finita.
Da questa potente testimonianza
Beck ci spiega che «il Dio personale non è il Dio onnipotente,
ma colui che nella catastrofe escatologica è impotente e
senza patria»,
legato a un essere umano che soffre non perché abbia perso la
speranza, ma perché non può vederla. «È appunto chi
spera che viene tormentato» [p. 12].
In questo passaggio si
ribaltano le categorie tradizionali: «l’individuo che decide e
dubita diventa Chiesa, diventa custode di Dio e della fede, mentre la
Chiesa si trasforma in eresia» [p. 13].
Fuori dal campo
della scienza e del misurabile l’uomo contemporaneo ha
riscoperto una propria interiorità, a cui la psicologia
contemporanea non sembra riuscire a dare risposte pienamente
adeguate, dato il fiorire di varie proposte esoteriche e religiose.
Il bisogno di senso accerchia la singola persona, accerchiata
dalla frammentazione imposta dalla società presente. La complessità
della realtà implica una convivenza tra i dubbi individuali e
l’adesione a strutture organizzate, con una diversità di fedi
all’interno delle stesse confessioni (elementi sulla reincarnazione
convivono anche in chi si dichiara cattolico ad esempio).
Nelle
sale italiane è uscito poche settimane fa Io c’è, debole ma
non infelice commedia in cui un imprenditore italiano sceglie di
inventare una nuova confessione, incentrata su se stesso, per evitare
le tasse sulla sua struttura alberghiera. Riassume bene l’idea di un
senso comune diffuso, distrattamente impegnato a passeggiare tra gli
scaffali di un supermercato della fede, in cui prendere alcuni
elementi da un settore e altri da un altro.
La provocazione più
forte di Beck è però forse quella che sottrae «all’Occidente
il monopolio della modernità» [p. 27], evidenziando come la
crisi del cristianesimo riguarda le sue forme europee, in
particolare quelle protestanti, declinatesi spesso su una dimensione
di stato nazionale (così come il cattolicesimo in una determinata
fase storica). Nella crisi di scienza e Stato rispetto alla loro
pretesa di onnicompetenza la Chiesa può tornare a rivendicare un
ruolo limitato alla spiritualità, anche se oggi
l’individualizzazione pone a ogni realtà collettiva la concorrenza
del Dio personale.
L’autore traccia le differenze tra il
vecchio continente e la capacità degli Stati Uniti di porsi in
maniera neutrale rispetto ad ogni religione, oltre a evidenziare il
ruolo di costruzione di identità collettiviste nell’est europeo,
ma è più interessato al fenomeno che attraversa l’islam e
l’istituzione vaticana: la prossimità di territorio diventa
secondaria rispetto alla prossimità sociale. Non è banale l’effetto
dato dal leggere parole sul «papato come oggetto
massmediatico» [p. 48] scritte in un periodo
precedente a quello inaugurato da Bergoglio (Francesco I), o quelle
riferite al ruolo unificante della fede musulmana ancora prima della
nascita dell’ISIS.
Il Dio personale rimane un libro
attuale tanto più perché riferito a una fase in cui era ancora
evidente la memoria dell’11 settembre 2001 e la crisi economica (o
gli attentati) avevano ancora un carattere di novità destabilizzante
(mentre oggi potremmo dire che sono diventati costituitivi della
nostra quotidianità).
Nel rapporto
organizzazioni e individui si va oltre la teoria della
secolarizzazione. Le imagined communities possono essere
riscostruite nel mondo globalizzato, con nuovi orizzonti di senso in
cui le religioni si scoprono più capaci di muoversi rispetto alle
altre organizzazioni sociali e politiche (partiti e sindacati).
«Lo
Stato nazionale di diritto, con la messa in quarantena di Dio, offre
forse stimoli di riflessione, ma nessuna risposta, proprio perché si
tratta di uno Stato nazionale e non di uno Stato mondiale» [p.
55].
Nonostante Marx avesse subordinato la nazione alla classe,
la storia dal secondo dopoguerra, almeno in Europa, si è declinata
con un’integrazione del proletariato nelle società nazionali
e l’internazionalismo si è tradotto (aggiungo io) in una fede nel
mito sovietico (per quanto sempre più appannata con l’avvicinarsi
alla caduta del Muro di Berlino).
Nel passare a
definire le parole, Beck specifica una differenza tra religione
(come sostantivo, caratterizzato da un meccanismo di aut aut – o o,
eslusivo) e religioso (come aggettivo, da sviluppare in una
logica di vel vel- sia sia, inclusivo).
Come si relaziona la
religione con l’alterità? Come già scritto sopra, secondo Beck è
fondamentale comprendere che la Chiesa cattolica è un global
player già alla sua nascita, mentre le organizzazioni
politiche del Novecento sono figlie della società capitalista
organizzata in nazioni.
Il problema, nello sviluppo
istituzionale ecclesiastico, sarebbe stato il non prevalere del
riconoscimento della diversità, ma le religioni hanno la
potenzialità di costruire ponti tra i confini definiti, laddove
riescono a evitare le «barricate tra ortodossi da un lato ed
eretici o non credenti dall’altro» [p. 65].
È
interessante apprendere il valore della comunità religiosa di Obama
nella sua campagna elettorale incentrata su speranza e disponibilità
a credere (il riferimento è al pastore Jeremiah Wright e alla
«teologia della liberazione nella sua variante nera» [p.
67]).
L’altro lato della medaglia, rispetto alle possibilità aperte dal sentimento di fede, è la sovrapposizione tra l’alterità e il male, che «mette in questione l’umanità dell’altro» [p. 69]. Il dualismo trasforma la Chiesa nell’istituzione capace di difendere il bene di fronte all’Anticristo, giustificando il sangue oggi fortunatamente studiato e denunciato, con sempre minori resistenze. La svolta cattolica del Concilio Vaticano II avrebbe riportato il Vaticano a principi di cosmopolitismo oscurati nei secoli dell’età moderna, con il nascere degli stati nazionali.
Pensando al pontefice di oggi è difficile non comprendere facilmente il senso di quanto scrive Beck su quanto le religioni siano capaci di affascinare con il loro orizzonte di senso a prescindere dall’adesione a un sistema di liturgie.
«La sociologia non ha mai indagato sistematicamente il rapporto della religione con la diversità altrui. Le religioni monoteistiche anticipano, da un lato, l’etica internazionalista della società globale, ma liberano così un potenziale di violenza difficilmente controllabile» [p. 79].
Nel nuovo millennio la questione torna attuale perché «in presenza di confini che diventano permeabili, e che dunque non sono più tali, viene pronunciata la parola magica di un’esistenza cosmopolitica…». Il problema è «la conservazione dei singoli nonché di intere società di fronte all’arrivo massiccio dell’alterità» [nota 31, p. 81].
Beck inserisce a questo punto dell’argomentazione la teoria della modernizzazione riflessiva, in cui sparisce ogni semplicità di fronte al rischio, all’individualizzazione e alla globalizzazione da cui siamo travolti. Il nodo è «l’ambivalenza di fondo del rapporto tra religione e alterità, ossia: da un lato superamento di vecchi confini e dall’altro istituzione di nuovi confini» [p. 86]. La soluzione sarebbe un cosmopolitismo religioso (distinto dall’universalismo religioso, che cerca di uniformare e creare omogeneità tra le eterogeneità), in cui il diverso è accettato e riconosciuto, sulla base di un principio universale di tolleranza. Il problema non è essere indifferenti ma tolleranti. «La tolleranza inizia quando si prova sofferenza nel sopportare qualcosa. Per tale ragione, il fondamentalismo può essere compreso come una fuga da quella sofferenza» [p. 90].
Dal momento in cui viviamo in una “seconda modernità”, dovendo far fronte dall’assalto dell’alterità [p. 92] e allo sgretolamento delle dimensioni nazionali, occorre andare oltre le “superstizioni” a dimensione statale, evitando la contrapposizione io-società e accettando come quest’ultima sia sia interna che esterna (è intorno a noi ma ci definisce anche).
La religione ha un suo ritorno nella contemporaneità perché è «il contrario dell’individualizzionazione e la sua fonte. Questa antitesi è presente, come una scia di sangue, lungo la storia del cristianesimo» [p. 98].
La Chiesa oggi si ritroverebbe ad avere le competenze manageriali per gestire l’umanità nel nuovo contesto globalizzato, laddove sappia accettare un suo ridimensionamento rispetto alla fede individuale.
«L’analfabetismo religioso si va propagandando; gli atei non sanno neppure più a quale dio non credono più. L’individualizzazione della religione è paragonabile all’individualizzazione delle classi sociali (disuguagllianza, povertà) e all’individualizzazione della famiglia (genitorialità, rapporto tra i sessi ecc.). Solamente la connessione tra queste dimensioni (considerate per lo più isolatamente) produce individualizzazione a livello sociale, la quale trasforma profondamente l’«aggregazione» ovvero la qualità della società» [p. 107]
Il paradosso dell’oggi è quello di chiese vuote e un reincanto delle singole persone rispetto alla fede, da cui deriverebbe la sfida di un nuovo ruolo pubblico delle religioni. Beck si spinge a paragonare Amnesty International a una chiesa moderna del Dio personale, con la sua battaglia per i diritti umani. Se la dottrina evapora e quasi tutto si riduce a esperienza emotiva, non bisogna fare l’errore di ritenere il Dio personale un prodotto postmoderno: se il cristianesimo saprà riconoscere di essere stato alla base dell’individualizzazione moderna, saprà tornare a essere protagonista del contemporaneo, anziché considerarsi vittima.
Le contraddizioni qui trattate appartengono anche alla sfera del potere: il battesimo è una cessione di sovranità alla comunità, da cui si può distinguersi diventando “infedeli” o “eretici”, se non ci sono meccanismi capaci di accettare la diversità e l’alterità.
A fronte di grandi
aperture di credito (talvolta eccessive) traspare nel testo
superficialità nell’affrontare l’evoluzione storica dello
sviluppo organizzativo del cattolicesimo: nei primi decenni di vita,
così come per quasi tutto il periodo medievale, lo strumento
dell’inquisizione sarà utilizzato per cercare di convertire più
che di reprimere, o almeno ci sarà anche questo elemento, in una
fase di costruzione di nuovi poteri. Isolare l’aspetto dottrinario
da quello politico, nel passato, contraddice la proposta di Beck per
il presente. Viene decontestualizzato persino il povero Tommaso
d’Aquino, nei passaggi in cui giustificava la persecuzione degli
eretici.
Un’altra forzatura interessante è quella
dell’assimilizazione del cristianesimo ai diritti sociali,
con un welfare state corrispondente a un sentimento religioso, poi
sviluppatosi in termini di diritti individuali e di Dio personale. Lo
stato sociale avrebba assorbito anche la lotta di classe, creando un
ambito di diritti in cui prevale il principio «delle esigenze e
delle prestazioni individuali» [p. 146]. Chi ha seguito alcune
riflessioni di Fausto Bertinotti (un
esempio qui) capirà la diffusione di una sensibilità simile
nell’epoca a noi contemporanea (oltre la simpatia delle sinistre
per l’attuale pontefice… talvolta poco giustificabile).
Tutto
è quindi ormai ridotto a dimensione di singolo, ognuno deve
investire su se stesso, costruire la propria identità e
narrarsi, creando una società a un passo dal collasso, in cui tutto
diventa immediato, pericoloso, senza spazio per riflettere. Stabilità
lavorativa, partiti, sindacati, Chiese: sarebbero tutte vittime di
individualizzazione e cosmopoliticizzazione. Le religioni sembrererro
quelle pià titolate a tornare ad avere un ruolo, come scuole morali,
come fabbriche di senso incentrate sul meticciato e sul
riconoscimento del diverso, da accettare. Questa strada servirebbe a
evitare risposte di senso opposto, come quelle reazionarie che le
cronache non mancano di indicarci. Il Dio personale deve essere
quello ricordato in apertura con le parole di Etty Hillesum: non una
purezza idnividuale (presunta) che «rende ciechi nei confronti
della realtà» [p. 171], ma accettare di essere un guazzabuglio
di identità, dove l’identità religiosa è composta da più
elementi.
Il rifiuto di ogni sorta di shared history,
delle varie forme di antitesi, spingerebbe a guardare con simpatia al
modello del mercato: la mercificazione di Dio, citata anche
nei paragrafi di apertura, dove ognuno si sceglie il suo pezzo di
fede a seconda dei gusti, rischia però di spegnere anche il senso
religioso reale che muove al credere. Per farlo Beck propone di
rimpiazzare il valore della verità con quello della pace,
sviluppando intolleranza per gli intolleranti e accettando ogni altra
forma di diversità.
Il libro di Beck è
uno stimolo problematizzante di indiscutibile interesse ma spinge a
chiedersi perché la religione dovrebbe sostituire effettivamente la
politica. La contingenza storica non è una ragione sufficiente per
affidarsi al rischio della fede, a meno che l’autore non intendesse
per religione ogni narrazione capace di andare oltre il materiale e
saper costruire narrazioni condivise. Nel caso la differenza tra
ideologia e dottrina ecclesiastica sembrerebbe solo una distinzione
nominalistica.
Il limite più grande del testo è invece
dichiarato dall’autore: una visione eurocentrica che guarda
esclusivamente alla comunità cristiana del vecchio continente e al
suo relazionarsi con il mondo islamico. L’intento nobile dietro alle
intenzioni dell’autore sembrerebbe quello di disinnescare i conflitti
di apertura del XXI secolo, quando ancora la crisi economica sembrava
non riuscire a travolgere ulteriormente ogni altro conflitto.
A
distanza di qualche anno dalla pubblicazione il libro di Beck si
conferma attuale e coraggioso nel cercare di superare i limiti delle
scienze sociali. Meriterebbe di essere non dimenticato, visti i
dibattiti sulle identità nell’oggi.
Ulrich Beck, Il Dio personale. La nascita della religiosità secolare, traduzione di S. Franchini, Laterza, Roma-Bari, 2009, ISBN: 9788842088875, 280 pagine
Pubblicato per la prima volta il 10 maggio 2018
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.