Non c’è solo l’emendamento con la proposta di patrimoniale ad essere tornato in pista per le eventuali modifiche alla manovra economica del governo. Fra i ricorsi accettati ci sono anche quelli di Davide Zanichelli (M5s), Luca Pastorino (Leu) e Giovanni Currò (M5s), con le loro proposte di modifica che in sostanza limitano, di parecchio, gli incentivi fiscali per le aggregazioni bancarie. Tema assai caldo quest’ultimo, visto che non passa giorno senza un intervento in materia: l’ultimo ieri del numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che ha spronato la politica ad accelerare: “Ci sono diversi soggetti sul mercato che possono combinarsi tra di loro. Credo che sia indispensabile che questo accada il prima possibile, perché quando ci sarà round dei consolidamenti europei il nostro paese dovrà disporre di due-tre gruppi bancari forti, che potranno posizionarsi in Europa come leader per favorire l’Italia nel contesto europeo”.
Dietro le parole dell’ad di Intesa Sanpaolo si staglia naturalmente il Monte dei Paschi, e il suo destino. Argomento che resterà di attualità nei mesi a venire, dopo che a fine ottobre è stato firmato dal premier Conte e dai ministri Gualtieri (Pd) e Patuanelli (M5s) il decreto che ha spazzato via tutte le indiscrezioni su richieste di proroga all’Europa per vendere la banca, di cui il Tesoro detiene il 68,25%. Il governo insomma intende rispettare la scadenza della primavera 2022, presa nelle pieghe degli accordi con l’Ue, per dismettere la quota pubblica in Mps.
Secondo i retroscena, Giuseppe Conte avrebbe firmato obtorto collo, spinto a farlo soprattutto dal ministro economico-finanziario Gualtieri, ex di lungo corso negli ambienti di Bruxelles, e fan dichiarato della necessità di riportare il Monte fra le braccia del cosiddetto “mercato”. Ma proprio gli emendamenti di Zanichelli e Pastorino, parlamentari in forza alla maggioranza, fanno capire che sia da parte del M5s che di Leu ci sono resistenze. Legate, da parte pentastellata, a un progetto alternativo. Esplicitato da Lando Maria Sileoni, il segretario generale della Fabi, il più importante sindacato dei lavoratori del credito: “Per evitare su Mps una macelleria sociale, che toccherebbe maggiormente le province di Siena e di Firenze, abbiamo proposto di mettere insieme le tre debolezze del settore bancario italiano: Popolare di Bari, Carige e Montepaschi. Se si prospetterà questo progetto, noi guarderemo con grande attenzione a questa iniziativa”.
Tecnicamente le proposte di modifica della manovra con primo firmatario Zanichelli (M5s) sono due: una che fissa un tetto massimo di 500 milioni di euro per trasformare in crediti d’imposta le cosiddette imposte differite attive (Dta); l’altra che consente la conversione delle Dta solo nel caso in cui almeno una delle due società che si fondono abbia meno di 50 dipendenti. Quella di Pastorino (Leu) invece punta a ridurre il valore degli incentivi fiscali previsti per le aggregazioni, prevedendo che i benefici possano essere concessi nei limiti delle disponibilità del Fondo istituito nello stato di previsione del Mef, che ha una dote pari a 463,1 milioni di euro per il 2021 e 1312,3 milioni di euro per il 2022. Infine, quella di Currò (M5s) permette di trasformare le attività fiscali differite in crediti fiscali non solo in caso di fusione ma anche per realizzare aumenti di capitale. Una norma che potrebbe consentire di tenere Mps in mano pubblica, senza però iniezioni dirette di denaro da parte dello Stato.
Se approvate, le proposte di modifica sarebbero di fatto altrettante zeppe sulla ri-privatizzazione del Monte dei Paschi. Il cui promesso sposo Unicredit, nonostante ieri il futuro presidente Pier Carlo Padoan abbia smentito che la questione Mps sia stata “la fonte di disaccordo” che ha portato all’addio di Jean Pierre Mustier dalla guida della banca (“Non è una decisione politica e non c’entra con Mps, come riportato dai media”), aveva peraltro già fatto due conti. Calcolando che, per restare in equilibrio in caso di acquisizione di Mps, sarebbe necessaria una dote da almeno 5 miliardi. E anche senza considerare gli emendamenti di Zanichelli, Pastorino e Currò, con i crediti fiscali per le imposte differite di una o entrambe le banche si arriverebbe a non più di 2,5 miliardi. La metà.
Ultimo ma non per ultimo, c’è anche un fronte interno al Pd che resta freddo di fronte al progetto di Gualtieri, assunto dal governo, di liberarsi di Mps nel giro di 18 mesi al massimo. È quello incarnato dal presidente toscano Eugenio Giani, che un mese fa ha scritto al ministro una lettera di questo tenore: “La Toscana non può perdere anche il Monte, il Tesoro resti azionista per altri due anni”. Una posizione condivisa dalla Fisac Cgil regionale con Daniele Quiriconi (più tiepida la Fisac nazionale…), e che porta Lando Simeoni a ben fotografare la situazione del momento: “Il Monte dei Paschi è una rogna che non vogliono né la Bce, che pretende stabilità, né il ministero dell’Economia che vuole togliersi di torno la responsabilità di questo istituto. Mps è la banca più antica del nostro settore ed è un riferimento per i territori, a iniziare dalla Toscana. La posizione che il presidente della Regione Toscana prenderà all’interno del Pd sarà determinante, così come sarà determinante il ruolo dei Cinque Stelle”.
Articolo pubblicato originariamente su il manifesto (edizione digitale) del 4 dicembre 2020
Foto di Sean X Liu ripresa da wikimedia.org
Giornalista de il manifesto, responsabile della pagina regionale toscana del quotidiano comunista, purtroppo oggi chiusa. Direttore di numerosi progetti editoriali locali, fra cui Il Becco.