Nel giugno 1802 Alexander von Humboldt era parte di una spedizione che tentava un’ascesa del Chimborazo, un vulcano delle ande ecuadoregne alto 6268 metri e situato praticamente sulla linea dell’Equatore. Il poliedrico geografo, nato a Berlino nel 1769, era partito nel 1799 per un viaggio di cinque anni nei territori spagnoli in America Latina; il 2019 è stato perciò celebrato dalle istituzioni tedesche e dalla comunità scientifica in generale come un anniversario di Humboldt e del suo contributo alla scienza, con particolare interesse per il suo ruolo nel gettare le premesse della disciplina che studia le interazioni degli organismi tra di loro e con l’ambiente: l’ecologia.
Pur raggiungendo un primato di ascensione per l’epoca, la salita al Chimborazo fallì, ma al ritorno Humboldt tracciò il pannello Geografia delle piante dei Tropici – una raffigurazione della natura delle Ande, più comunemente noto come Tableau Physique: quella che oggi chiameremmo un’infografica delle diverse specie vegetali del Chimborazo, rappresentate sul profilo del monte alle diverse altitudini alle quali erano state osservate, incorniciata da dati atmosferici e delle condizioni ambientali attorno al monte. La tavola fu pubblicata allegata al Saggio sulla geografia delle piante scritto assieme al botanico Aimé Bonpland (compagno di Humboldt nella spedizione) e pubblicato in francese e tedesco nel 1807.
Oltre al contributo storico di un’impareggiabile testimonianza della biodiversità di una montagna tropicale di oltre due secoli fa, il Tableau Physique raffigurava l’intuizione di Humboldt che il clima fosse un fattore decisivo nell’organizzazione delle forme viventi, che informa la pionieristica impostazione biogeografica del Saggio sulla geografia delle piante. Avendo alle spalle due secoli di sviluppo di teorie dell’evoluzione e, negli ultimi decenni, di attenzione per il cambiamento climatico, questo dato oggi ci è familiare; ma all’inizio del XIX secolo tutto questo era ancora di là da venire, e per rendersi conto degli effetti del clima sull’organizzazione dei viventi era probabilmente d’aiuto percorrere un ambiente particolare: quello della montagna.
Le regioni montane costituiscono circa il 25% delle terre emerse ma ospitano circa l’87% della loro biodiversità. In altre parole, della ricchezza in numero di specie viventi presenti sulle terre emerse, oltre l’85% si trova in ambiente montano – molto più, ad esempio, che nelle lussureggianti foreste tropicali di pianura che il nostro immaginario associa immediatamente all’abbondanza di specie. Allo stesso tempo, tra le regioni montane la biodiversità varia radicalmente; le montagne della fascia intertropicale sono i più ricchi crogiuoli di biodiversità del globo.
Questa diversità non è deducibile tanto dai modelli climatici globali quanto dalla caratteristica topografia delle regioni montane e dalla sua interazione con i processi climatici del pianeta, tale che ambienti anche profondamente diversi tra loro si susseguono a brevissima distanza geografica e condizioni atmosferiche altrettanto diverse si alternano in piccole scale temporali, intrecciandosi in una miriade di climi peculiari.[1],[2] Questo fa della montagna, e della montagna tropicale in particolare[3], un contesto ideale per studiare la biodiversità, ma anche per osservare in scala temporale più ridotta gli effetti del cambiamento climatico, anche perché le montagne più alte della fascia intertropicale sono tra le aree del pianeta che si stanno riscaldando più velocemente.
Tim Appenzeller racconta su Science quanto il Chimborazo del 2019 sia cambiato rispetto a quello esplorato da Humboldt. Le piante sono migrate ad abitare quote via via più alte con il riscaldarsi del clima, e il loro spostamento assieme al ritirarsi dei ghiacciai ha modificato il fluire dell’acqua verso gli abitati a valle.
La superficie dei ghiacciai del Chimborazo si è ridotta del 20% dagli anni ’80; senza la copertura del ghiaccio a riflettere i raggi solari, i versanti nudi assorbono molto più calore, in un circolo vizioso di surriscaldamento. Pareti rocciose non più compresse dal ghiaccio franano a blocchi; l’accumulo di acqua di fusione inizialmente abbondante provoca catastrofiche colate di fango e detriti sulle valli sottostanti, mentre oltre il punto di svolta della ritirata del ghiacciaio il flusso si fa scarso e non più affidabile per le irrigazioni agricole a valle, rese ancora più difficoltose dalla crescente imprevedibilità delle precipitazioni.
Con l’aumento delle temperature lo sfruttamento agricolo dei terreni sale di quota in cerca di acqua e senza temere gelate, ormai oltre i 4000 metri, con conseguenti disboscamenti; parallelamente la vegetazione nativa della montagna, la stessa osservata da Humboldt e Bonpland, migra verso l’alto e da quote sempre più alte attinge al reticolo idrico.
Un riesame dei documenti storici ha mostrato che i dati riportati sul Tableau Physique, oltre ad essere stati integrati da Humboldt con osservazioni precedentemente fatte da altri e non verificate, provenivano in parte da osservazioni sul monte Antisana e non sul Chimborazo[4] che era però più famoso e congeniale ad una pubblicazione in cui secondo lo stesso Humboldt “si devono considerare due interessi tra loro in conflitto, aspetto ed esattezza”. Questo non deve sorprendere guardando ad una scienza biogeografica ancora in gestazione, probabilmente vissuta dai suoi pionieri come una nuova applicazione, ancora da inventare prima ancora che da codificare, di strumenti canonici; e, pur imponendosi una necessaria cautela nell’utilizzo di fonti storiche per la ricostruzione dell’evoluzione paleobiogeografica di un ambiente, lo schema complessivo rimane valido. D’altra parte, attribuire i dati al monte Antisana e confrontarli con la biogeografia attuale ha permesso ad esempio di tracciare con precisione la migrazione di Senecio nivalis, una pianta erbacea dalle foglie argentee, di oltre 200 metri verso l’alto, paralellamente all’innalzamento del limite delle nevi.
Un’ulteriore testimonianza dell’importanza di un approccio olistico e attento alla complessità degli ecosistemi, come del ruolo di Humboldt nel gettarne le basi.
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C. Rahbek, M. K. Borregaard, R. K. Colwell, B. Dalsgaard, B. G. Holt, N. Morueta-Holme, D. Nogues-Bravo, R. J. Whittaker, J. Fjeldså, Humboldt’s enigma: What causes global patterns of mountain biodiversity? Science13 Sep 2019 : 1108-1113 ↑
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C. Rahbek, M. K. Borregaard, A. Antonelli, R. K. Colwell, B. G. Holt, D. Nogues-Bravo, C. M. Ø. Rasmussen, K. Richardson, M. T. Rosing, R.J. Whittaker, J. Fjeldså, Building mountain biodiversity: Geological and evolutionary processes, Science13 Sep 2019 : 1114-1119 ↑
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D. H. Janzen, Why mountain passes are higher in the tropics. Am. Nat. 101, 233–249 (1967). 10.1086/282487 ↑
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P. Moret, P. Muriel, R. Jaramillo, O. Dangles, Humboldt’s Tableau Physique revisited, Proceedings of the National Academy of Sciences Jun 2019, 116 (26) 12889-12894; DOI: 10.1073/pnas.1904585116 ↑
Studia scienze naturali all’Università di Pisa, dove ha militato nel sindacato studentesco e nel Partito della Rifondazione Comunista. Oltre che con la politica, sottrae tempo allo studio leggendo, scribacchiando, scarabocchiando, pasticciando, fotografando insetti, mangiando e bevendo.