Minima Politica è il titolo delle sei lezioni di democrazia che Gianfranco Pasquino ha pubblicato a fine 2019, con UTET. Nell’ambito degli studi accademici l’autore rappresenta un punto di riferimento autorevole e ormai storico; dal testo emerge anche l’esperienza di Senatore della Repubblica.
Il volume si sviluppa attorno a sei termini, oggetto frequente del dibattito contemporaneo nazionale. Con uno stile chiaro, da cui traspare forse eccessiva sicurezza delle proprie opinioni, vengono sviluppate riflessioni fortemente collegate al contesto del XXI secolo, necessarie mentre stiamo attraversando l’emergenza Covid-19.
La crisi economica globale iniziata nel 2008, secondo Pasquino, avrebbe ricordato l’importanza delle sfide politiche a società illuse di essere giunte alla fine della storia. In realtà questa considerazione meriterebbe di essere discussa, soprattutto se collegata alla posizione dell’autore riferita all’Unione Europea, che non registrerebbe un problema di democrazia. Comunque si voglia valutare quel passaggio, è indubitabile che la pandemia del 2020 ha fortemente rimesso al centro le decisioni dei governi, a partire da quelle legate alla tutela della salute pubblica.
Il titolo Minima Politica richiama non tanto l’ambizione di svolgere un ruolo analogo ai Minima moralia di Adorno, quanto raccogliere la lezione di Bobbio e Sartori, indicando quegli elementi minimi necessari per comprendere la complessità del presente.
La teoria di insieme è chiara: non esistono democrazie che non siano liberali, perché si ha democrazia solo dove si esercitano libere elezioni, rispettando i diritti individuali, con una stampa libera e una magistratura indipendente. Se non basta recarsi alle urne per avere una democrazia, questo gesto è la precondizione per poter effettivamente ritenere di non essere sotto un regime non democratico.
In un quadro definito, la responsabilità sul funzionamento delle istituzioni appare doversi dividere tra la cittadinanza e chi va a ricoprire degli incarichi. Su questo si registra una sorta di ambiguità del volume: i partiti appaiono come i principali responsabili della critica situazione in cui si trova l’Italia, mentre si è decisamente magnanimi nei confronti delle istituzioni europee (Parlamento, Consiglio, Commissione). Non è chiaro perché la passività dell’elettorato, fortemente criticata guardando senza autocompiacimento alla società civile, non possa essere allargata all’assenza di partecipazione diretta alle organizzazioni politiche e sindacali.
Il libro ha comunque il merito di ricordare la centralità degli organismi elettivi rispetto a quelli esecutivi. Traspare spesso, in modo molto insistente, l’avversione verso il Governo Renzi, ma le pagine dedicate alla decontrazione del mito della governabilità meritano di essere lette da chiunque sia impegnato in politica, assieme a quelle sulla rappresentanza politica. Il meccanismo ideale per Pasquino mette di nuovo da parte i partiti, perché è quello dell’accountability, del rendere conto di chi viene eletto, o eletta, di fronte al proprio elettorato. La stabilità di un sistema risiede più nelle capacità di chi agisce nelle istituzioni, ed in queste è organizzato, almeno nel quadro di una democrazia (liberale, poiché se non è liberale, non è democrazia, vale la pena ricordare questo assunto del testo).
Interessante è anche la lettura dedicata ai Presidenti della Repubblica Italiana, con l’attestazione di dove sia nata la genesi della definizione di un “potere a fisarmonica”, che viene neutralizzato di fronte a una maggioranza parlamentare e di governo solida, con alle spalle partiti politici in salute.
Un contributo importante, che non semplifica e non banalizza. Pasquino ironizza su chi partecipa ai dibattiti pubblici senza aver accumulato almeno qualche lettura sul tema su cui si è chiamati a intervenire (il riferimento ai referendum costituzionali è esplicito). Sicuramente l’autore è un riferimento imprescindibile per la politologia. Che si debbano accettare tutte le teorie delle sue recenti sei lezioni è altro tema. Di certo discutere in questo modo teoria sulla democrazia liberale e sul suo funzionamento vale più di chi si concentra sulla moda del momento (Piattaforma Rousseau o sempreverdi movimento dal basso che siano).
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Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.