Pubblicato per la prima volta il 25 giugno 2015
Negli ultimi anni, soprattutto grazie allo scoppio di proteste che hanno interessato l’Italia da nord a sud (tra gli esempi recenti le proteste contro l’Ikea e la Granarolo in Emilia e le proteste dei raccoglitori di pomodori a Rosarno), sono balzate all’onor di cronaca situazioni di grave sfruttamento che hanno visto come protagonisti i lavoratori migranti.
Quando non sfociano in proteste, o in drammatici incidenti (come l’incendio del capannone a Prato del 2013, nel quale morirono sette operai) queste gravi forme di sfruttamento risultano però praticamente invisibili. Ciò accade poiché da una parte gli strumenti giuridici esistenti risultano spesso insufficienti al fine di contrastare il lavoro sommerso, mentre dall’altra vi è un’effettiva problematicità da parte dei diretti interessati ad agire e denunciare la propria situazione. Questa difficoltà è dovuta, oltre che a una scarsa conoscenza da parte dei migranti dei propri diritti, anche a una situazione di vulnerabilità caratterizzata dalla paura di perdere il permesso di soggiorno, che permette ai datori di lavoro di ricattare costantemente i lavoratori.
Anche per questi motivi la precarietà lavorativa e l’insicurezza sociale che caratterizzano il mondo contemporaneo si enfatizzano nel caso dei migranti, che si ritrovano ad affrontare non solo le conseguenze di un capitalismo che tutela sempre meno il lavoratore, ma anche quelle del razzismo istituzionale.
Per quanto esistano delle peculiarità e delle differenze regionali, forme di sfruttamento lavorativo sono diffuse in tutta la penisola: infatti, anche se difficilmente dimostrabili e conseguentemente scarsamente riscontrabili nelle fonti ufficiali e nella letteratura accademica, fenomeni di sfruttamento lavorativo nei confronti degli uomini e delle donne migranti risultano essere diffusi anche in regioni “rosse” quali la Toscana.
Proprio per la scarsa visibilità del fenomeno, la cooperativa sociale C.A.T. (che è ormai presente sul contesto fiorentino da tre decadi, ed è una delle realtà del terzo settore attive nel contrasto alla tratta e allo sfruttamento lavorativo) ha sentito l’urgenza di investire le proprie risorse non solo nell’erogazione di servizi di supporto ma anche nella creazione di alcune ricerche di stampo sociologico tese a far emergere le sfaccettature di questi fenomeni che troppo spesso rimangono nell’ombra.
Il risultato di queste indagini è la pubblicazione di un interessante volume Migranti e lavoro: lo sfruttamento lavorativo nel territorio fiorentino, che si propone come punto di partenza per riflettere sul lavoro sommerso.
La ricerca è stata effettuata tramite interviste mirate sia a migranti che hanno vissuto forme di sfruttamento sia a testimoni privilegiati quali sindacalisti, avvocati, mediatori culturali ecc., che si ritrovano ad affrontare quotidianamente il problema del lavoro sommerso; in tal modo si è voluto ricostruire le diverse sfaccettature dello sfruttamento lavorativo, partendo dai vissuti e dalle esperienze dei singoli protagonisti.
Il quadro che ne emerge non è confortante: oltre alle forme più comuni di lavoro grigio e lavoro nero (caratterizzati da parziali o totali irregolarità nei contratti lavorativi) si riscontrano forme di sfruttamento più gravi, in alcuni casi legate all’economia criminale, quali possono essere forme di caporalato nel settore agricolo o la presenza di cooperative spurie; dietro a queste ultime spesso si celano delle vere e proprie agenzie di lavoro di stampo para-schiavistico, che coprono tutte le fasi della forza lavoro (arruolamento del personale, trasporti in Italia, alloggio, assunzione) creando in tal modo un forte rapporto di dipendenza del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro.
A causa della loro vulnerabilità sociale, dettata soprattutto da un quadro normativo discriminante e dai rapporti di forza del mercato globale del lavoro, i migranti si ritrovano a dover accettare lavori scarsamente qualificati, con condizioni di lavoro lesive alla sicurezza del lavoratore: sovra-orari, paghe bassissime, situazioni pericolose e ad alto rischio di infortuni. A queste si aggiungono forme di mobbing, che sommano alla situazione di vulnerabilità legata al lavoro sommerso discriminazioni di stampo sessista e razzista.
Pur non essendo una ricerca esaustiva, questo libretto ha il merito di aprire uno spiraglio nella comprensione di questi fenomeni a livello locale, e di contribuire quindi alla conoscenza delle differenti modalità di sfruttamento lavorativo. In tal modo si pone l’ambizioso obiettivo di favorire l’elaborazione di sistemi di protezione più efficaci, che permettano di tutelare maggiormente la condizione lavorativa dei migranti.
Immagine da flickr.com
Nata a Treviso nel 1987, ha successivamente vissuto tra Bologna, Bucarest e Firenze. Femminista appassionata di musica, si interessa di politica, sociologia, antropologia e gender studies.