L’Italia investe circa il 4% del proprio PIL in istruzione, la Germania si attesta intorno al 4,5%, la Francia al 5,5%; Finlandia, Svezia, Norvegia e Belgio stanno tra il 6 e il 7 % del PIL, la Danimarca addirittura oltre il 7%.
Il definanziamento del sistema dell’istruzione è stato denunciato più volte dalle organizzazioni sindacali del settore, ma nonostante la situazione sia nota da tempo, fino ad oggi le famiglie si sono sempre dimostrate piuttosto disattente agli appelli degli addetti ai lavori.
Solo la crisi sanitaria in corso sembra sia riuscita a spostare l’attenzione di un vasto fronte sociale sui problemi della scuola: il movimento «Priorità alla scuola» il 25 giugno ha portato in sessanta piazze 48 associazioni e sindacati.
Il paese ha davvero preso coscienza, finalmente, del ruolo della scuola come presidio costituzionale e strumento primo per la diffusione dei diritti di cittadinanza?
Leonardo Croatto
Ho cominciato ad occuparmi di istruzione intorno al 2010 come funzionario sindacale della FLC CGIL. Non ero esperto di scuola, venendo dagli appalti dell’università, e mi colpì molto un’articolata e molto ben strutturata campagna chiamata “operazione centomila” con cui quel sindacato denunciava i tagli agli organici e ai finanziamenti all’istruzione derivanti dalla legge 133/08, ed in particolare la precarizzazione dei rapporti di lavoro causati da quell’intervento normativo.
La piattaforma – estremamente tecnica e accompagnata da calcoli molto dettagliati – dimostrava come centomila immissioni in ruolo (circa 60.000 docenti e 40.000 ATA) non solo erano necessarie per garantire l’efficienza del sistema scolastico, ma avrebbero anche portato risparmi per il sistema: rispetto a centomila precari da riconvocare ogni anno un uguale numero di docenti stabili avrebbe portato ad un risparmio del 2,5% sul costo del personale.
Sono passati dieci anni da quell’epoca e ancora siamo a discutere di precariato e tagli all’istruzione, con i sindacati ancora impegnati in campagne incentrate sulla richiesta di finanziamenti adeguati al sistema dell’istruzione (no, il miliardo proposto dalla ministra Azzolina è una miseria: serve un punto di PIL, 17 miliari, per avvicinarci agli altri paesi europei) e un piano straordinario per la stabilizzazione del personale.
In tutti questi anni non ricordo un coinvolgimento così massiccio della cosiddetta società civile, anzi, direi che la posizione delle famiglie è sempre stata di moderata ostilità nei confronti del personale scolastico in sciopero.
E’ quindi molto curiosa questa improvvisa scoperta dell’importanza della scuola per l’educazione dei propri figli, tanto da far venire il sospetto che la convivenza forzata con la propria prole imposta dalla crisi sanitaria in corso abbia spinto a desiderare una riapertura della scuola non solo e non tanto per le sue funzioni educative, quanto per il suo ruolo di parcheggio per bimbi.
Sarebbe stata ben più credibile tutta questa improvvisa combattività se si fosse manifestata anche negli anni passati, se i genitori fossero scesi in piazza in massa anche per tutte le altre numerose manifestazioni con cui i sindacati dei lavoratori del settore ne denunciavano i problemi e chiedevano soluzioni. c’è da augurarsi quindi che questo momento di riflessione collettiva sul ruolo dell’istruzione non sia semplicemente legato al bisogno di trovare un posto dove piazzare i propri figli mentre si riprende il lavoro (argomentazione molto diffusa anche sui quotidiani nazionali) ma porti i genitori a riflettere sul ruolo della scuola come presidio della costituzione.
Piergiorgio Desantis
La scuola, l’università e la ricerca sono la cartina tornasole dello sviluppo oppure, viceversa, dell’involuzione delle società stessa. L’Italia ha rappresentato, perfino nel corso della cosidetta “Prima Repubblica”, uno stato che ha stanziato quote sempre più decrescenti di risorse per finanziare ambiti fin troppo importanti, quale è quello, ad esempio, dell’istruzione pubblica. Spesso si è preferito finanziare scuole e università private (in evidente contraddizione con il dettato costituzionale) e in un contesto di grave ritardo si è aggiunta l’evidente mazzata inferta dalla crisi pandemica. La ministra Azzolina ha deciso, a differenza dei colleghi tedesco e francesce, di chiudere le scuole, appaltando tutto alla didattica a distanza, che si sa, non è la panacea di tutti i mali. È stato solo un rinvio di questioni e di nodi al pettine che immancabilmente arrivano a settembre al momento dell’inizio del nuovo anno scolastico. Le risorse stanziate dal governo in carica (si parla di 2 miliardi e mezzo di euro) e i tempi così limitati difficilmente fanno pensare ad un esito positivo. Anche qui, si scontano decenni di tagli e di deriva della scuola pubblica che certo non potranno essere colmati in pochi mesi. Incoraggiante è stata la spontanea nascita del movimento “Priorità alla Scuola” che svolge la funzione di critica dell’esistente, di pungolo per il governo ma anche portatore di una visione alternativa ai criteri aziendalistici che hanno pervaso, purtroppo, anche l’istruzione in Italia.
Dmitrij Palagi
L’Italia è stata nuovamente attraversata dal movimento Priorità alla Scuola, una mobilitazione passata dalla richiesta di riapertura dei servizi di istruzione alla contestazione delle linee guida che il Governo sembra intenzionato a portare avanti.
Anche in questo caso la pandemia ha solo evidenziato problemi già esistenti. Esasperando il tema degli spazi e dell’assenza di adeguati livelli occupazionali, in alcuni casi. Se però non si fosse disinvestito su questo settore negli ultimi decenni, oggi vivremmo in un Paese diverso.
A titolo esemplificativo un semplice aneddoto: la conclusione del corteo fiorentino del 25 giugno si è tenuta di fronte alla scuola in cui ho iniziato la mia militanza politica. Appena uscito di lì, da universitario, ho avuto modo di partecipare alle proteste contro le decisioni dell’allora Ministro Moratti.
La scuola è un ambito particolare, sensibile ai valori costituzionali e attendo all’impegno civile e sociale della cittadinanza.
Le risposte arrivate fino a oggi sono state inadeguate in termini di visione complessiva, prima ancora che sul piano delle proposte concrete.
Arrivare a luglio in queste condizioni è comunque al di là di ogni credibilità. Sorprende se si pensa che al governo ci sono quelle forze teoricamente più sensibili al mondo della scuola pubblica. O forse non dovrebbe sorprendere, ma spiegare molto della sempre evocata “crisi della sinistra”.
Jacopo Vannucchi
Ho visto di recente un manifesto di Italia Viva (se non sbaglio) che denunciava un assurdo valoriale e pratico nel fatto che i pub avessero riaperto “per primi” e la scuola “per ultima”. Sul principio valoriale concordo senza alcun dubbio; dal punto di vista pratico, però, sarebbe meglio non rischiare di limitarsi a fotografare la realtà.
Al netto delle responsabilità odierne del Ministero, infatti, la condizione delle strutture scolastiche è critica da almeno una dozzina d’anni. In queste condizioni, in cui è difficoltosa la gestione normale delle attività, è velleitario pensare che su tutto il territorio nazionale sia possibile implementare molto celermente – come sarebbe giusto – le condizioni per la riapertura in sicurezza. Non per niente si è parlato, per anni, di classi «pollaio».
C’è però un punto, nel manifesto che ho richiamato, che mi pare condivisibile: l’idea che la ripresa debba essere non soltanto economica. Come siamo usi ripetere che il PIL non può misurare e non misura il benessere complessivo, così credo sia ragionevole l’invito rivolto da Vincenzo De Luca a ripensare radicalmente anche le forme del divertimento e della socializzazione per evitare la «massificazione alienante» cresciuta negli ultimi anni.
Chiaramente le due cose vanno a braccetto: l’alienazione cresce laddove si indebolisce il lavoro e si indebolisce la cultura. Il principio di un antico slogan sulla lotta al terrorismo – «un euro in sicurezza, un euro in cultura» –, che apprezzavo profondamente, può essere utilmente rielaborato anche per l’oggi. A patto che si scelga di affrontare la crisi non tamponando le falle o applicando impiastri su una gamba di legno, ma investendo con serietà nei settori produttivi dell’Italia e nella formazione a tutto campo dei giovani e giovanissimi.
Immagine da www.piqsels.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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