Giuseppe Tornatore è uno dei più grandi cineasti contemporanei. La bravura di questo regista si può avvertire nei piccoli dettagli (il simpatico spot delle patatine San Carlo 1936). Ho avuto l’onore di parlarci a Fiesole durante la consegna del “Premio Maestri del Cinema” nel luglio 2014 (leggi qui). È una persona coltissima, che ama davvero il cinema. Una persona pignola, esigente che ha preso spunto dai grandi del Neorealismo e da Sergio Leone. Non è diventato quel grande regista che è a caso. Basta pensare che dopo “Il camorrista”, ha vinto l’Oscar con la sua opera seconda: Nuovo Cinema Paradiso. Film indimenticabile per un cinefilo che preannunciava l’inizio di un’era dove il cinema sarebbe stato assoggettato da piattaforme e tv. Ci ha dato in pieno.
Negli anni Novanta il regista siciliano ha fatto i suoi film migliori: Stanno tutti bene con Marcello Mastroianni (che gli americani hanno rifatto nel 2009 con Robert De Niro protagonista), Una pura formalità con Polanski e Depardieu, La leggenda del pianista sull’oceano con Tim Roth. Negli anni 2000 sono arrivati altri buoni film (La migliore offerta su tutti), ma il Tornatore graffiante era un altro secondo me.
Nella lista delle migliori pellicole del regista siciliano la stragrande maggioranza non conosce questo film: L’uomo delle stelle. Film uscito, grazie al fiuto del produttore ed ex presidente della Fiorentina, Mario Cecchi Gori, nel 1995.
L’idea di scrivere questo pezzo mi è venuta qualche giorno fa. Dopo un’estenuante giornata di lavoro, sto aspettando che inizi un film. Mi stavo per addormentare, ma facendo zapping mi imbatto su Rai Uno dove l’on. Antonio Razzi (quello vero e non l’imitazione perfetta di Crozza) è il concorrente dei “Soliti ignoti”. Mamma mia come siamo caduti in basso, penso ad alta voce. Poi nel mio cervello frulla l’idea che il livello medio degli italiani purtroppo si merita quello. Vuole quello, almeno nella maggioranza dei casi (basta vedere gli ascolti). Così mi è tornata in mente l’attualissima lezione del film di Tornatore.
Secondo me è tra i suoi lavori più riusciti. Si parla di cinema, della Sicilia apparentemente. Ma sullo sfondo c’è “la società dello spettacolo”: un mondo dove il dominio delle immagini mediatiche sulla realtà è talmente evidente in ogni aspetto della nostra vita, tanto che l’apparire ha superato l’essere.
Secondo il filosofo francese Guy Debord oggi c’è “il compimento assoluto di un atavico percorso sociale verso l’alienazione”. Non è solo colpa del Covid, la colpa è delle persone che credono a un modello di società profondamente sbagliato. Quest’ultimo concetto, elaborato a suo tempo anche da Karl Marx, viene portato da Debord su un nuovo livello, che non è più esclusivamente quello del lavoro e della produzione economica, bensì del consumo e, più in generale, delle rappresentazioni.
La trama del film però è ambientata nella Sicilia del dopoguerra, nel 1953. È interessante il paragone che Tornatore fa. Perché quando si stava girando il film Berlusconi si era appena insediato al potere (1994). Mario Cecchi Gori morì nel 1993, lasciando il suo impero al figlio Vittorio. Dopo l’Oscar de “La vita è bella” (1998), però Vittorio era in difficoltà finanziarie e piano piano finì in bancarotta. Fu costretto a vendere tutto compreso il catalogo a Medusa, di proprietà dell’ex amico (Penta Film era di entrambi) diventato nemico: Silvio Berlusconi. Quest’ultimo non vedeva di buon occhio la crescita di Tmc (divenuta oggi La7) nelle tv commerciali, che andava a scapito di Mediaset.
Il berlusconismo girava già indisturbato. Giuseppe Tornatore riecheggia il cinema neorealista italiano di Visconti, De Sica, Rossellini. Erano i tempi in cui si parlava dell’uomo, del riscatto di una società, delle caratteristiche delle classi sociali meno abbienti. Ma il berlusconismo sta per arrivare dall’esterno, su un furgone. Tornatore si diverte a spiazzare il pubblico perché la pellicola è stata girata, soprattutto nella parte iniziale, a Matera (in Basilicata). Sicuramente per dare l’idea allo spettatore che il protagonista non è del luogo. Il resto che vedete è realmente la Sicilia: Ragusa, Monterosso Alma, Poggioreale e le Grotte della Turfa.
Il film si apre con un uomo che batte tutti i paesini dell’entroterra siciliano con uno stravagante autocarro e un tendone. Sullo sfondo il tipico immobilismo siculo gattopardesco con i tipici paesini avvolti da luci calde color giallo ocra (eccelsa la fotografia del premio Oscar, Dante Spinotti). Questo “straniero”, dall’accento romano, si chiama Joe Morelli (un magistrale Sergio Castellitto). Già dal nome si capisce che non è del posto.
È un mercante di sogni, un uomo delle stelle (cinematografiche, naturalmente), come direbbe David Bowie “a starman waiting in the sky. He’d like to come and meet us”. Perchè in realtà è un parassita. Monta la sua macchina da presa e fa provini (alla modica cifra di 1500 lire l’uno) promettendo alla gente che le immagini saranno viste dai grandi registi (Rossellini, De Sica, Visconti). Lavora per la fantomatica Universalia Cinematografica. Chiaramente è un (modesto) truffatore, un falso venditore di sogni. Cosa ben diversa dal Berlusconi di Toni Servillo visto in “Loro 2” (di Paolo Sorrentino) che dimostra a tutti di essere un abilissimo piazzista. Probabilmente il migliore.
Sullo sfondo c’è una Sicilia spaccata tra la propaganda della Dc e del Pci. Come ha rivelato Pif nello splendido finale di “In guerra per amore”, gli americani favorirono l’ascesa della prima grazie agli ottimi rapporti con la mafia. A curare gli interessi finanziari tra soldati americani e siciliani, tenendo conto anche di quella della mafia, era il banchiere Michele Sindona, faccendiere in orbita P2 e futuro ‘banchiere di Cosa nostra’. Fu coinvolto nel caso Calvi e fu il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, anche se poi in carcere fu ucciso da un “caffè corretto” al cianuro di potassio in circostanze ancora da chiarire. Appena mi danno la ricetta, ve la darò. Anche se Vladimir Putin è andato oltre con la mentina gusto plutonio. Ma torniamo al film.
Ai provini del Morelli c’è la ressa per partecipare. Tutti bruciano i loro esigui risparmi per tentare la scalata, come quando c’è la fila per comprare un gratta e vinci: il reduce dalla guerra di Spagna che non parla da anni, il carabiniere Mastropaolo che voleva far l’attore e che invece ha fatto il mestiere del padre per consuetudine, la casalinga pronta a tutto (prestazioni sessuali incluse) pur di far decollare la carriera della figlia, il ragazzo che si crede attore completo, l’omosessuale (Leo Gullotta) che cerca di evadere da un contesto quotidiano complicato, il mafioso Primo Badalamenti (Toni Sperandeo) che accetta di parlare pubblicamente. Ma c’è anche Beata (l’esordiente Tiziana Lodato), una ragazza praticamente analfabeta che per fare un provino è pronta perfino a spogliarsi. Si innamora di Morelli e finisce per andare fuori di testa. Joe finirà per mettersi nei guai nel momento in cui disattende le infinite potenzialità della macchina cinema nel rivelare l’umanità della gente.
“Le persone sono più disposte a dir la verità davanti a una telecamera che alle manette”. Emerge un quadro desolante di un popolo (chiaramente quello italiano e non solo quello siciliano) che si lascia abbindolare da un (ipotetico) futuro di gloria e ricchezza. Purtroppo è davvero così. Mancano solo Maria De Filippi e Barbara D’Urso, poi saremmo davvero a posto. Sembra di essere in un programma Mediaset stile Isola dei famosi, Uomini e donne e quant’altro.
Ciò che rende questo film memorabile sono le musiche di Ennio Morricone e soprattutto la regia ironica e ispirata di un grande maestro del cinema italiano. Per quasi un’ora e mezzo il film non perde un colpo, è avvincente ed entra nel cuore dello spettatore. Poi nell’ultima parte è più prevedibile. Specie se avete visto “Nuovo cinema Paradiso”, il finale è più che intuibile, ma è assolutamente credibile pur perdendo, solo in parte, la compattezza delle premesse iniziali.
Tuttavia Tornatore aveva previsto un altro epilogo. Non lo girò per problemi di budget.
L’intervista al regista con il finale alternativo la trovate qui. Non è giusto rivelarvelo. Lo lascio alla vostra interpretazione. Il film fu candidato all’Oscar 1996 come miglior film straniero (per la cronaca vinse poi l’olandese “L’albero di Antonia”) e portò via 2 riconoscimenti dal 52° festival di Venezia: Leone d’argento per il regista e il premio Pasinetti per Castellitto. A vedere un’opera di questo tipo mi vengono le lacrime e mi assale la nostalgia. Il cinema italiano, purtroppo, non è più capace di fare storie di questo tipo. Onore a Giuseppe Tornatore.
FONTI: Gli Spietati, Mymovies, Repubblica
L’UOMO DELLE STELLE ****
(Italia 1995)
Genere: Drammatico
Regia: Giuseppe Tornatore
Sceneggiatura: Fabio Rinaudo, Giuseppe Tornatore
Fotografia: Dante Spinotti
Musiche: Ennio Morricone
Cast: Sergio Castellitto, Toni Ssperandeo, Tiziana Lodato, Leo Gullotta, Leopoldo Trieste
Durata: 1h e 53 minuti
Prodotto e distribuito da Cecchi Gori
Gra Premio della giuria a Venezia 52
Trailer Italiano: https://www.youtube.com/watch?v=viHS25vusvA
La frase: Le persone sono più disposte a dire la verità davanti a una telecamera che alle manette
Regia ****1/2 Interpretazioni **** Fotografia **** Sceneggiatura **** Musiche ****
Immagine da programma.sorrisi.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.