È uscito “Gigaton”, undicesimo album di Eddie Vedder e soci.
Esiste una band nata negli anni Novanta che ha saputo rinnovare un genere dato ormai per defunto: il rock. Sono i Pearl Jam, iconico gruppo grunge/alternative rock nato a Seattle nel 1990.
Era dal 2013, anno di uscita di “Lightning Bolt”, che non si erano più sentiti. A dir la verità, è impossibile non resistere al richiamo di ascoltare il loro frontman Eddie Vedder. Posso ricordare che tra il 2017 e la scorsa estate è venuto al Firenze Rocks ben due volte per due concerti (da solista) di inestimabile valore. C’è poi stata anche la pubblicazione del singolo “Can’t deny me”, brano di protesta contro le politiche di Donald Trump. Il prossimo 5 luglio (coronavirus permettendo) saranno all’Autodromo “Enzo e Dino Ferrari” di Imola per un’unica data italiana del loro tour.
Bisogna far notare che i Pearl Jam sono stati fra i primi, con Michael Stipe dei R.E.M. e Bono degli U2, a solidarizzare con l’Italia per l’emergenza Covid-19, pubblicando sui social la lettera di un fan proveniente da Bergamo (leggi qui). Segnale dell’amore reciprocamente dichiarato tra la band americana e il nostro Paese. Il 27 marzo è arrivato “Gigaton”, undicesimo album di studio della band che quest’anno compie 30 anni di carriera. Fino a pochi giorni fa la band è stata aspramente criticata dai fan per le troppe sperimentazioni. Un po’ come capitò agli U2 ai tempi di “Pop” (correva l’anno 1997). Io invece credo che i Pearl Jam siano una delle poche band in circolazione che riescono ogni volta a sorprendere, a spiazzare. Anche stavolta sono riusciti nell’intento di non rifare ciò che hanno fatto in passato. Sarebbero stati ripetitivi e la gente li avrebbe criticati lo stesso. La mancanza di novità, i problemi della vita di tutti i giorni, l’emergenza in cui adesso viviamo ha portato le persone a incattivirsi.
Questo disco intanto è il più lungo della band: 57 minuti. Ma non è un album vuoto: è ricco, pieno di sperimentazioni e già dal titolo si percepisce la voglia di un cambiamento. Il gigaton è un’unità di misura di massa corrispondente ad un miliardo di tonnellate, utilizzata in climatologia per quantificare il distacco di ghiaccio ai poli. Il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai ha ispirato la band. La lotta dell’essere umano contro la natura (da sempre nei pensieri di Vedder e soci, compresa la colonna sonora di “Into the wild”) si nota già dalla copertina dove c’è uno scatto del fotografo e biologo Paul Nickeln. Oggetto della foto l’eccessivo caldo che provoca il passaggio dei ghiacciai dallo stato solido allo stato liquido nell’isola di Nordaustlandet, in Norvegia. Le paure ambientali sono un motivo frequente, con Vedder che spesso canta sull’aumento degli oceani e su una Terra inquieta.
“Gigaton” è un grido contro le emissioni di biossido di carbonio, contro l’uomo che se ne frega dell’ambiente in cui vive.
Non a caso il Covid-19 è arrivato per allentare e riequilibrare un pianeta vicino al collasso. “Society you’re a crazy breed” torna a fare capolino. Nelle musiche si avvertono forti contaminazioni: da Peter Gabriel a Bruce Springsteen, dai R.E.M. ai viaggi cosmici stile “Space Oddity” di David Bowie, dai Talking Heads alle contaminazioni elettroniche. Come al solito non mancano ispirazioni dai capolavori di Who, Pink Floyd, Led Zeppelin e Queen. Senza dimenticare la morte di Chris Cornell che ha ritardato la pubblicazione dell’album e che ha ispirato alcune canzoni.
La band pare cercare di raggiungere una maggior maturità, con sonorità ricercate e spiazzanti. L’indignazione giovanile di Vedder e soci si è trasformata in una di mezz’età. Se avessero rifatto pezzi di vent’anni prima, sarebbero stati considerati anacronistici o, peggio, fuori tempo. Ciò è evidente sin dal primo singolo “Dance of the Clarvoyants”, costruita sul riff ritmico del chitarrista Mike McCready. Come accadeva in “Smile” (dall’album “No code” del 1996), qui i vari componenti si espongono a un rischio enorme: lo scambio degli strumenti. Stone Gossard suona il basso, Mike McCready le percussioni, Jeff Ament la chitarra e la tastiera.
In pratica esigono rimescolare le carte per non dare punti di riferimento all’ascoltatore.
Anche se la stella polare c’è eccome: l’unica certezza è la voce di Eddie Vedder che è sempre cristallina, potente come vent’anni fa.
Adesso analizziamo l’album “Gigaton” pezzo per pezzo.
1 – Who ever said: il pezzo di apertura dà speranza (“Chiunque abbia detto ‘è stato detto tutto’ ha rinunciato ad essere appagato”). I ritmi cambiano di continuo: inizio veloce, rallentamento centrale, poi riprende quota. Una canzone ottimista che dice di guardare oltre e di non lasciarsi andare in momenti non certo facili.
2 – Superblood wolfmoon: Il secondo singolo in radio da circa un mese è un pezzo senza grande senso per dare un po’ di vivacità ad una festa. Splendido il videoclip (https://www.youtube.com/watch?v=fYSazphh_C8&feature=emb_title) ideato come un cartone animato realizzato da Tiny Concert, il quale ha disegnato un personaggio per ogni membro della band: grazie a particolari algoritmi, essi “prendono vita” anche durante l’ascolto su piattaforme come Spotify. Come il pezzo precedente, invita a non perdere la speranza.
3 – Dance on the clarvoyants: Il primo singolo che ha anticipato l’uscita del disco non sembra una canzone dei Pearl Jam. Stone Gossard suona il basso (oltre alla chitarra), Mike McCready le percussioni, Jeff Ament la chitarra e la tastiera. Ascoltando più volte la canzone, ti rendi conto che ti sbagli a criticare. Tutto è costruito sul riff ritmico (ballabile) di McCready. Parte piano per poi crescere con la voce potente di Vedder. Sembra un incrocio tra Franz Ferdinand e Talking Heads prima maniera, con spruzzate degli Editors.
Questa canzone “futuristica” esprime il desiderio e la voglia dell’umanità di immaginare il futuro. Cosa che oggi è quantomai difficile, la gente vive alla giornata pregando e sperando. I Pearl Jam si improvvisano la “danza dei chiaroveggenti”. Gli artisti servono anche a darci strumenti per capire il futuro. Il videoclip è semplicemente splendido e molto fotogenico, esprimendo alla perfezione i temi del disco Gigaton.
Sarà per questo che è stato scelto come singolo di lancio?
4 – Quick escape: Questo brano sembra richiamare gli U2, ma anche i Led Zeppelin (l’incipit). Non solo musicalmente. Vedder prende spunto da Bono Vox per criticare aspramente Trump (definito “una tragedia di errori”). Cercare pace facendo un viaggio in un luogo dove l’attuale presidente americano non ha fatto danni. E’ difficile trovarlo, purtroppo. Vedder pare ispirarsi a David Bowie cercando un altro pianeta (viene citato Marte) dove non sono stati fatti danni ambientali. Il videoclip è appena uscito: lo trovate qui. Insieme a “Seven O’clock” è il miglior pezzo del disco.
5 – Alright: Questa canzone risente dell’influenza della musica di Peter Gabriel, ex leader dei Genesis. La melodia è elegante, spaziale. Vedder canta “Non puoi nascondere le bugie negli anelli di un albero”. I Pearl Jam invocano una maggior attenzione all’ambiente e un profondo disgusto per una certa politica. Trump è ancora sulla graticola.
6 – Seven o’clock: Probabilmente il miglior pezzo del disco. Ricercatissimo, ispirato, evoluto, ironico, moderno. Vedder stavolta si ispira a Bruce Springsteen e ai Pink Floyd. C’è una narrazione cinematografica, un incrocio tra Jungleland e The Ghost of Tom Joad (a livello di storia non a livello di musica). Il ritornello ricorda “Confortably Numb”. C’è Sitting Bull (Toro Seduto), capo dei nativi americani e Crazy Horse (Cavallo Pazzo) che erano gli unici che si opposero al Governo americano guerrafondaio. Chi sarà il leader di quest’ultimo? Naturalmente Sitting Bullshit (letteralmente stronzata seduta). Ovvero Donald Trump. Capolavoro in puro stile Pearl Jam.
7 – Never destination: Canzone dal ritmo punk. Ancora ironia nei confronti di Trump. Viene citato anche il protagonista del romanzo satirico di Sean Penn “Bob Honey Who Just Do Stuff “. Un libro che parla della moralità e della salute dell’America contemporanea. Un pezzo dal ritmo veloce, ironico in puro stile Pearl Jam dove la voce di Vedder si sente eccome.
8 – Take the long way: Questa volta i Pearl Jam ricordano, con sofferenza, il sound dei Soundgarden. Vista la lunga pausa per la stesura del disco, questo pezzo deve esser stato uno dei più difficili. La morte di Chris Cornell avvenuta il 18 maggio 2017, pare che avesse bloccato i membri della band.
9 – Buckle up: Come per il pezzo precedente, anche qui si risente del tragico lutto. Sembra una ninna nanna inquietante che invoca tutti a tenersi forti. Questi sono tempi difficili.
10 – Come then goes: Pezzo acustico che ricorda gli Who, dedicato a un amico scomparso. E’ lecito attendersi che sia diretto all’ex leader dei Soundgarden e degli Audioslave, Chris Cornell. Non scordiamoci che Soundgarden e Pearl Jam tra il 1990 e il 1992 confluirono nel progetto “Temple of dog”. Qualcuno di voi ricorda la canzone “Hunger Strike”?
11 – Retrograde: Come in Quick Escape, qui Brendan O’Brien (storico produttore) suona le tastiere. Il termine retrogrado ha una doppia valenza: l’essere umano che non ha cura del pianeta in cui vive, ma soprattutto il presidente americano Trump. Probabilmente la canzone trae spunto anche dal ritiro degli Usa dagli accordi di Parigi sul clima (vedi qui). Canzone in puro stile R.E.M. che ricorda, per certi versi, la hit Sirens.
12 – River cross: Il brano di chiusura è quello dove Eddie Vedder schiuma tutta la sua rabbia invitando la gente a condividere la luce per uscire dalle tenebre. Il brano era stato scelto per aprire il live di Vedder l’anno scorso al Firenze Rocks. Il governo Trump è ancora tirato in ballo e secondo Eddie questa amministrazione prospera sul malcontento e gioca sulle paure della gente. Anche noi in Italia ne sappiamo qualcosa.
Gigaton – Pearl Jam
(Stone Gossard chitarra ritmica, Jeff Ament basso, Eddie Vedder chitarra e voce, Mike McCready chitarra solista, Kenneth Gaspar tastiere. Matt Cameron batteria)
Valutazione ****
Fonti: Rockol, Rolling stone
Articoli sui Pearl Jam Pubblicati su Il Becco:
Firenze Rock 2019
Pearl Jam: di politica e musica
Let’s play two
La colonna sonora di Into the wild
Ten
Firenze Rocks 2017
Lightning Bolt
Immagine da www.pearljamonline.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.