Tra numerose preoccupazioni a livello locale, nazionale e mondiale, una piccola notizia di poca importanza marca l’inizio dell’anno 2019. A O’ahu, nelle isole Hawaii, esattamente il primo gennaio 2019, alla veneranda età di quattordici anni si è concluso il ciclo vitale di George, l’ultimo rappresentante esistente di Achatinella apexfulva, una chiocciola endemica delle Hawaii.
George, chiamato così in onore dell’ultimo esemplare dell’altrettanto estinta testuggine dell’isola di Pinta, era l’ultimo esemplare di un gruppo di chiocciole raccolte per un estremo tentativo di conservazione in cattività. Mentre per alcuni animali, anche di grandi dimensioni, questo tipo di progetti ha avuto risultati incoraggianti, o addirittura decisamente positivi, con queste chiocciole non ha funzionato.
Per capire come mai questa piccola estinzione di importanza apparentemente scarsa abbia così colpito chi si occupa di conservazione degli organismi e dei loro ambienti naturali, è necessario però fare un passo indietro e andare con la mente ad un tempo remoto, in cui tra circa 5 e 0,7 milioni di anni fa si formarono le attuali isole Hawaii (che vengono a rimpiazzare delle isole vicine, ad oggi scomparse o trasformate in atolli). Queste isole, come numerose altre isole del Pacifico, sono di origine vulcanica (e in parte ancora attive), e sono emerse dal mare completamente nude.
La loro colonizzazione da parte di animali volanti, semi galleggianti e organismi alla deriva su “zattere” di detrito, nel corso di milioni di anni, ha portato all’evoluzione di una fauna e una flora assolutamente peculiari, endemiche di queste isole e con delle caratteristiche particolari. In particolare, mammiferi, rettili ed anfibi erano completamente (o quasi) assenti dalle Hawaii, e questo ha permesso lo sviluppo di un grandissimo numero di specie di uccello, buona parte delle quali erano ancora esistenti all’epoca della prima colonizzazione da parte dell’essere umano.
I primi coloni, polinesiani, portarono con sé cani e maiali, e fu l’inizio della fine. Quando gli esploratori europei “scoprirono” le Hawaii, una buona parte degli uccelli endemici delle Hawaii (principalmente quelli incapaci di volare e quelli che nidificavano al suolo) si era già estinta, ma l’introduzione di nuove specie vegetali ed animali e dei loro patogeni diede il colpo di grazia ad una fauna già provata dalla prima colonizzazione. Ad oggi, delle sessantaquattro specie di uccello endemiche delle Hawaii e segnalate in epoca storica ne sopravvivono solo trentuno; tutte le altre – più di metà – sono perdute per sempre.
Per quanto gli uccelli rappresentino un esempio paradigmatico della biodiversità perduta delle Hawaii, questo fenomeno ha coinvolto – e tuttora coinvolge – praticamente tutti i gruppi di organismi: l’intervento umano, volontario e involontario, ha alterato drammaticamente l’ambiente in queste isole, che hanno finito per perdere in ampie regioni la loro unicità – e con essa, la possibilità di offrire un ambiente naturale alle specie endemiche.
Le nostre chiocciole sono le protagoniste di una di queste storie, divenuta esemplare riguardo a che tipo di intervento non si deve fare in ambito ambientale. Nel 1936 fu introdotta erroneamente nelle Hawaii una grande chiocciola tropicale, la chiocciola gigante africana (Lissachatina fulica); inizialmente non registrata, o considerata di scarso interesse, in pochi anni si rivelò essere una specie invasiva e insaziabile, che non solo competeva con le chiocciole native (di cui dopotutto non importava molto alla maggior parte degli hawaiani) ma rovinava le colture, causando gravi danni economici.
In un tentativo allora avanguardistico di lotta biologica, si decise di combattere l’invasore non con lumachicidi e pesticidi in genere, ma introducendo delle chiocciole predatrici che tenessero sotto controllo le popolazioni di chiocciole africane; e tra i vari candidati, si rivelò promettente la chiocciola lupo (Euglandina rosea) – questa proveniente dalla Florida – che nel 1955 fu introdotta in gran parte delle isole. Siccome sappiamo che questa non è una storia a lieto fine, possiamo immaginare cosa accadde: posta davanti alla scelta tra le massicce e coriacee chiocciole africane e la ricca, tenera e indifesa fauna locale, la chiocciola lupo non esitò nel consumare prima di tutto le chiocciole native, rivolgendosi alle africane solo una volta che aveva finito il cibo di prima scelta.
Per molte specie di chiocciola endemiche delle Hawaii questo significò un’estrema rarefazione, o addirittura l’estinzione, e la nostra Achatinella apexfulva, che al tempo della colonizzazione europea era una delle chiocciole più abbondanti, tanto che fu la prima chiocciola hawaiana ad essere descritta, fu una di queste. La storia della chiocciola gigante africana e della chiocciola lupo è diventata esemplare nell’esplicitare i rischi intrinseci nell’introdurre specie alloctone per combattere altre specie alloctone, e queste due specie sono ad oggi considerate estremamente pericolose per l’ambiente e sottoposte a rigidi controlli che ne limitano il commercio, ma le specie andate perdute nel corso degli anni – a volte nel corso di svariate decadi, ma come abbiamo visto, il processo una volta iniziato è spesso inarrestabile – non torneranno più indietro.
Per quanto George, come la maggior parte dei molluschi terrestri, fosse provvisto di organi sessuali sia maschili che femminili, era comunque incapace di autofecondarsi. La morte di questa singola chiocciola, quindi, non segna realmente l’estinzione di una specie: la specie era funzionalmente estinta almeno dalla morte del penultimo esemplare, avvenuta nel 2011, e la presenza di chiocciole africane e lupo nel suo ambiente naturale avrebbe comunque reso estremamente difficile un’eventuale reintroduzione, se pure il progetto di riproduzione in cattività fosse andato a buon fine. La morte dell’ultima Achatinella apexfulva è un simbolo delle imprevedibili conseguenze sull’ambiente di attività umane anche apparentemente neutre o addirittura positive, e dell’impossibilità di tornare indietro.
Di fronte al sostanziale fallimento della Conferenza sul clima di Katowice a soli ventisei anni dall’apparentemente risolutivo Summit della Terra di Rio de Janeiro, di fronte al negazionismo sul cambiamento climatico portato avanti con cieca determinazione tanto dall’amministrazione USA quanto dal neo-insediato governo brasiliano, e con forse minore retorica, ma probabilmente maggior impatto da Cina ed India, la morte dell’ultima Achatinella apexfulva rappresenta un memento rispetto a tutte quelle specie a rischio di trasformarsi in “morti viventi”, oggetto di ammirazione negli zoo ma ormai prive di un habitat naturale dove vivere in natura, a tutti quegli ambienti che distruggiamo nella folle corsa verso un’impossibile crescita infinita, e a noi stessi, una specie come tante altre, che è stata responsabile di numerose estinzioni, e che come tante un giorno si estinguerà.
Qualcuno potrebbe obiettare che la situazione della conservazione della natura non è così tragica come l’ho presentata. Tra gli organismi a rischio di estinzione, alcuni hanno già imboccato la stessa china di Achatinella apexfulva – ma non tutti; tra gli ambienti naturali, alcuni sono al di là di ogni possibilità di recupero – ma non tutti. Avrei potuto raccontare una storia positiva – ci sono stati sforzi di conservazione che hanno avuto un indubitabile successo, o quanto meno lo promettono: il panda, la lince iberica, lo stambecco, l’ibis eremita, per citare alcuni dei più noti; invece ho deciso di raccontare la storia di un’anonima chiocciola hawaiana di cui fino al 31 dicembre 2018 soltanto gli specialisti avevano sentito parlare, e che comunque di fatto era già estinta da anni.
Ho fatto questa scelta perché la storia di Achatinella apexfulva ci mette di fronte a ciò che rischiamo di perdere, come comunità scientifica, come comuni appassionati, ma anche come cittadini affaticati e disinteressati, che non gettano più di un’occhiata disgustata ad un insetto o un’erbaccia che cresce tra le crepe del selciato. Il patrimonio naturalistico che abbiamo è un insostituibile tesoro di valore incommensurabile; trascinati da ogni sorta di preoccupazione politica ed economica, non riusciamo a vedere come l’ambiente abbia un impatto su politica ed economia, e a sua volta lo subisca, e rischiamo di renderci conto dei servizi che ci offre, e di quanto migliora la nostra vita, soltanto una volta che l’abbiamo perduto.
Perdere definitivamente una specie animale è un pessimo modo di incominciare un nuovo anno; proviamo ad impegnarci per migliorare lo stato dell’ambiente che ci circonda, proviamo a fare in modo che il resto dell’anno sia migliore.
Immagine ripresa liberamente da commons.wikimedia.org
Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.