Regno Unito e Polonia: due falchi antirussi
Il 26 marzo il Presidente degli Stati Uniti ha tenuto a Varsavia un discorso antirusso che era il riflesso, come ha scritto il Corriere della Sera, di «quanto [in Polonia] sia forte, diffuso e bipartisan il risentimento, se non la corrente di odio nei confronti del Cremlino. Non ci sono sfumature». Però, mentre il sindaco della capitale Trzaskowski, già candidato liberale sconfitto alle presidenziali 2020, sorrideva durante l’attacco di Biden al Presidente russo, «Il problema è che quel linguaggio ha avuto un impatto completamente diverso sull’altro versante dello schieramento occidentale».[1]
Non tutto lo schieramento occidentale, per dir la verità.
Spesso si fa risalire la differenza fra la sensibilità franco-tedesca e quella statunitense a un problema di toni. Il guaio è quando qualche organo d’informazione – o di propaganda? – spaccia per una questione di toni anche un’aperta dichiarazione di guerra per procura. È il caso de la Repubblica, secondo cui la dichiarazione del governo britannico di ritenere pienamente legittimo il bombardamento del territorio russo effettuato con armi fornite da Londra all’Ucraina sarebbe «una escalation almeno a parole».[2]
Ma il collegamento britannico-polacco in una linea pesantemente antirussa non nasce certo così di recente. Proprio la Repubblica nel medesimo articolo elenca in ordine tre ragioni che portano il governo britannico ad uno schieramento così ostile alla Russia:
1. Il Regno Unito è stato negli ultimi anni il Paese occidentale più esposto alle operazioni di Mosca;
2. Il Regno Unito sta cercando di rivendicare, a maggior ragione dopo la Brexit, una posizione di superpotenza mondiale;
3. Il Primo Ministro Johnson fa leva sullo spirito bellico per risollevare la propria impopolarità in patria.
Il punto 3, in realtà, può essere ricondotto a peculiarità nazionali del Regno. Ad esempio, un atteggiamento bellicista alla Johnson è impopolare in Italia[3] e in Germania[4]. Ma anche il punto 1, che evidenzia una precedente tensione nei rapporti russo-britannici, discende da cause storiche relative al confronto fra i due Paesi.
Spesso abbiamo potuto (o dovuto) leggere, in questi due mesi, paralleli fra l’appeasement verso la Germania perseguito negli anni 1930 da Francia e Regno Unito e un analogo atteggiamento che oggi ci sarebbe verso la Federazione Russa da parte di alcuni Stati, o spezzoni di società, dell’Occidente. In tali casi si omette sempre di menzionare – nella fondata speranza che i lettori non se ne ricordino – che mentre Regno Unito e Francia, alla conferenza di Monaco, regalavano di fatto la Cecoslovacchia al regime nazista tedesco e ai suoi beneficiari minori (l’Ungheria che ebbe la Transcarpazia rutena e la Slovacchia meridionale, la Polonia che ebbe Těšín e la Trans-Olza), solo l’Unione Sovietica si dichiarò pronta a difenderla con le armi dall’annessione tedesca – come del resto solo l’URSS organizzava l’aiuto alla Spagna repubblicana, mentre da due anni Londra chiudeva gli occhi sull’intervento tedesco e italiano a sostegno dei golpisti di Franco. Fu il governo cecoslovacco a scegliere di non entrare in guerra con la Germania senza poter contare sul sostegno anglo-francese.
Le redini dell’appeasement erano tenute dal Regno Unito, con la Francia in una posizione soltanto subordinata. Ciò, anzitutto, per il diverso grado di stabilità politica interna: le elezioni del 1935 consegnarono alla Camera dei Comuni una maggioranza conservatrice che avrebbe resistito fino al governo di unità nazionale del 1940, mentre in Francia si avvicendarono i governi del Fronte Popolare (giugno 1936-aprile 1938) e quelli conservatori anticomunisti di Daladier (aprile 1938-marzo 1940). Nel primo periodo Parigi tentò a tratti una politica estera antifascista, il cui andamento fu però incerto e incoerente (ad esempio, le varie aperture e chiusure del confine pirenaico) a causa del potere di condizionamento esercitato dai creditori britannici sul debito pubblico.
Il Regno Unito, dunque, emerge come il fondamentale attore che orientò la politica estera dei Paesi liberali europei nei confronti della Germania nazista; questa sua posizione di rilievo fu poi confermata dalla capacità di resistere, unica nel 1940, all’aggressione hitleriana e dalla prospettiva – poi superata dalla conquista USA dell’arma atomica – di dividere con l’URSS l’egemonia sull’Europa postbellica.[5]
Centrale, per comprendere il comportamento britannico in Europa nel periodo tra le due guerre e in quello post-1989, è il ruolo dell’Europa orientale.
1918: la rinascita della politica estera polacca
A marzo 1918 il governo bolscevico russo firmò con i rappresentanti della Germania imperiale il Trattato di Brest-Litovsk. La Russia usciva dal primo conflitto mondiale rinunciando a tutte le rivendicazioni su Finlandia, Estonia, Livonia, Curlandia, Lituania, Ucraina e quasi tutta la Bielorussia; di fatto anche sulla Polonia, non citata nel trattato perché già sotto il controllo delle armate bianche. In tutti questi territori furono installati governi satelliti dell’occupazione tedesca, in mano a nobili tedeschi (ad esempio il Regno di Finlandia) o a fantocci locali (ad esempio la Repubblica Nazionale Bielorussa); il collasso degli Imperi centrali a novembre aprì lo spazio alla nascita di una serie di stati indipendenti, il più importante dei quali, per dimensioni, per storia, per tradizioni militari, fu senza dubbio la Polonia.
Già nel 1917 il Consiglio di Reggenza, che governava il nominale Regno di Polonia per conto delle autorità di occupazione tedesche e austro-ungariche, aveva nominato alla guida delle forze armate Józef Piłsudski. Questi, capo dell’ala moderata e nazionalista del Partito Socialista Polacco, fin dal 1914 aveva formato unità polacche associate alle formazioni austro-ungariche con lo scopo di cacciare i russi.
L’altra forza dominante della politica polacca era la Democrazia Nazionale («Endecja», dalle iniziali del nome polacco Narodowa Demokracja) di Roman Dmowski, che rappresentava la destra tradizionalista.
Negli anni dello zarismo Piłsudski era stato una figura centrale nella spaccatura del movimento operaio polacco sulla questione della priorità tra indipendenza e socialismo, collocandosi nell’ala destra che proponeva l’alleanza con la borghesia nazionale polacca contro il dominio russo. Dmowski, invece, durante la Rivoluzione del 1905 si era schierato con il governo zarista in funzione anti-socialista, valutando la concessione della Duma come un passo avanti verso l’autonomia polacca. Al di là della comune opposizione al socialismo rivoluzionario, quindi, le scelte di politica estera dei due movimenti erano opposte: se per Piłsudski era necessario allearsi con i nemici della Russia, per Dmowski proprio l’arretratezza dell’Impero zarista rispetto alla Germania avrebbe tutelato la Polonia da tentativi di assimilazione.
Inizialmente schierato con lo sforzo bellico dello zar, Dmowski si convinse della sicura sconfitta russa e cercò di perorare la causa indipendentista presso gli alleati dell’Intesa, costituendo un governo in esilio a Parigi nel 1917.
Dmowski aveva la fiducia degli Alleati, Piłsudski il controllo della Polonia: i due furono quindi costretti a collaborare, ma avevano idee assai diverse sugli obiettivi polacchi alla Conferenza di Versailles. La visione di quali avrebbero dovuto essere i confini, la composizione etnica, e il ruolo internazionale della Polonia faceva riferimento in ambo i casi a un periodo specifico della storia nazionale: per Dmowski il Paese avrebbe dovuto essere, come sotto la dinastia Piast tra XI e XII secolo, un territorio spostato verso Occidente, etnicamente omogeneo ed estraneo all’orbita politica est-europea; per Piłsudski il modello era invece la Confederazione polacco-lituana sotto i re Jagelloni tra il XIV e il XVII secolo: un’enorme federazione estesa dal Golfo di Riga fino all’Ucraina a est del Dnepr, in cui i polacchi sarebbero stati forse l’etnia più numerosa, ma senza posizioni dominanti, e che avrebbe dovuto esercitare un ruolo di grande potenza europea con l’ambizione di respingere la Russia verso gli Urali.
L’esito di Versailles fu in un certo senso un compromesso: Dmowski non ottenne Danzica né l’ulteriore riduzione del confine orientale della Germania; Piłsudski fu costretto a rinunciare al progetto di costituire il «Międzymorze», la federazione “inter-mari” fra tutte le nazioni liberatesi del dominio russo – anche perché nessuna di esse era disposta a rinunciare alla propria indipendenza. In definitiva, però, Piłsudski fu in grado di condurre una serie di aggressive avventure militari che, oltre a estendere verso est i confini polacchi, gettarono le basi per i futuri rapporti con gli altri Stati europei.
Annettere Ucraina e Lituania, spezzare i Rossi: le guerre di Piłsudski 1919-1921
La prima e più importante di queste aggressive campagne espansionistiche fu la guerra all’Ucraina, scatenata già a novembre 1918 contro la Repubblica Popolare dell’Ucraina Occidentale proclamata dal movimento nazionale ucraino in Galizia. Come molto spesso in Europa orientale, città e campagne avevano composizioni etniche segnatamente diverse: i contadini galiziani erano a grande maggioranza ucraini, mentre la classe borghese del capoluogo Leopoli era in maggioranza polacca – e, in minor parte, ebraica.
Gli studenti borghesi polacchi insorti in città contro il governo ucraino sono rimasti nel mito nazionale come “gli aquilotti di Leopoli”; l’ingresso polacco in città pochi giorni dopo, tuttavia, produsse un pogrom etnico che causò la morte di 340 ebrei e ucraini nonché la riprovazione internazionale e la condanna del presidente statunitense Woodrow Wilson.
Poiché i confini internazionali non erano ancora stati definiti da un trattato di pace, l’assenza di un potere riconosciuto produsse una frammentazione dei centri decisionali e degli attori in campo. L’Ucraina Occidentale fu sostanzialmente inglobata dalla Repubblica Nazionale Ucraina, guidata dal socialista nazionalista Symon Petliura. Inizialmente in guerra contro la Polonia, questa entità statale ucraina fu infine forzata a cercarne la protezione per sfuggire all’avanzata dell’Armata Rossa che intendeva rientrare in possesso dei territori ceduti a Brest-Litovsk.
Ad aprile 1920 l’Ucraina riconobbe alla Polonia le regioni di Galizia e Volinia; due settimane dopo l’esercito polacco si era impadronito di un vastissimo territorio delimitato dalla Daugava, dalla Beresina e dal Dnepr, e coronato dall’occupazione di Minsk e di Kiev.
Rovesciando l’impostazione pragmatica di Brest-Litovsk, stavolta Lenin scelse di rispondere con un’offensiva militare, per tastare con le armi le possibilità rivoluzionarie in Europa. Le aspettative erano tali che a Mosca si discuteva della sistemazione istituzionale di un’Europa sovietizzata, con Lenin che immaginava un’unione federale e Stalin – considerato il massimo esperto di questione nazionale – che propendeva per un’alleanza fra Stati sovrani. In pochi mesi l’Armata Rossa giunse alle porte di Varsavia, prima che la guerriglia antirussa nelle campagne si rivelasse esiziale per il mantenimento del fronte: la ritirata russa fu definita all’epoca «miracolo sulla Vistola» dagli oppositori polacchi di Piłsudski, a indicare come il successo non fosse certo dovuto alle competenze del comandante in capo. L’appellativo è poi stato pienamente abbracciato dai nazionalisti polacchi.
Di conseguenza, la Pace di Riga del 1921 fu molto favorevole alla Polonia, tracciando il confine russo-polacco 200 chilometri a est della linea Curzon (dal nome del Ministro degli Esteri britannico che la aveva inizialmente proposta) e dividendo fra i due Stati i territori dell’Ucraina e della Bielorussia. Petliura, di cui il governo sovietico domandava l’estradizione, si recò in esilio a Parigi.
Altra fortunata campagna annessionistica fu quella condotta da Piłsudski contro la Lituania. Tra il 1919 e il 1920 Vilnius, considerata dai lituani la capitale nazionale, fu occupata prima dai polacchi e poi dall’Armata Rossa nel corso della guerra polacco-sovietica. Dopo la ritirata russa la Società delle Nazioni obbligò la Polonia ad accettare una linea di demarcazione, però soltanto parziale; il giorno dopo l’esercito polacco con un colpo di mano occupò Vilnius e proclamò lo Stato-fantoccio della Lituania Centrale, che sarebbe stato assorbito nella Repubblica di Polonia nel 1922. Le relazioni diplomatiche fra i due Paesi furono interrotte.
[Continua nei prossimi giorni]
-
https://www.corriere.it/esteri/22_marzo_27/affondo-bidendivide-usa-europa-4606c6fc-ae08-11ec-881c-603be96566c9.shtml ↑
-
https://www.repubblica.it/esteri/2022/04/27/news/lezione_della_guerra_deterrenza_occidente_truss-347098983/ ↑
-
https://www.huffingtonpost.it/politica/2022/04/27/news/con_un_occhio_ai_sondaggi_nei_partiti_di_maggioranza_aumentano_i_perplessi_sull_invio_di_armi_all_ucraina_frange_sempre_p-9276399/ ↑
-
https://www.faz.net/aktuell/politik/inland/mehrheit-der-deutschen-gegen-vollstaendiges-energieembargo-17954082.html ↑
-
M. Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo 1776-2006, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 278. ↑
Immagine: Piłsudski a Poznań, ottobre 1919 (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.