La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia hanno rimesso in discussione la sicurezza delle nostre fonti di approvvigionamento di idrocarburi. L’impatto sul costo della produzione dell’energia ha riaperto un dibattito che si innesta sui temi della manifestazione del 25 marzo.
Leonardo Croatto
Lo sciopero del 25 marzo intreccia clima e pace. Sono temi che solo apparentemente si trovano assieme per un incidente della storia: imperialismo e risorse sono legati l’uno alle altre da un legame inscindibile, e vederli richiamati entrambi nella piattaforma di una manifestazione dà finalmente ragione a chi da tempo contesta quell’ecologismo “ecumenico” che evita di affrontare il ruolo del capitalismo come generatore del disastro ambientale, fino ad immaginare, nell’elaborazione politica di alcuni partiti “verdi”, l’esistenza di un capitalismo compatibile con la tutela del pianeta.
Chiedere un diverso modello di sviluppo vuol dire quindi non solo intervenire sull’eccesso di consumi, ma anche sulle diamiche geopolitiche che si innescano a causa della crescente necessità di approvvigionamento di materie prime e di energia, e quindi sul modello economico che determina le politiche d’aggressione per l’ottenimento di queste risorse.
Riconoscere la connessione tra imperialismo e capitalismo e tra capitalismo e crisi ambientale è fondamentale per unire conflitti che fino ad oggi si sono strutturati come indipendenti e separati e costruire la consapevolezza che solo un diverso sistema di relazioni economiche e sociali può salvare il pianeta.
Francesca Giambi
Il 25 marzo ci sarà uno sciopero mondiale per il clima anche se, purtroppo, a questo grandissimo problema si affianca, oltre al problema economico e del lavoro, fortissimo il problema della guerra. Questa drammatica guerra che non sembra minimamente cessare e che sta portando conseguenze indicibili soprattutto sul clima, una vera e propria “guerra climatica”, già in corso, per accaparrarsi materie prime e fonti di energie.
Ecco l’importanza di una improrogabile transizione ecologica verso un nuovo modello di sviluppo. Quindi energie rinnovabili, disarmo e canali diplomatici.
Il gas è altamente climalterante e per questo non è ammissibile in un’ottica di transizione ecologica. E il carbone? È terribile anche solo proporre di dimettere in piedi le centrali…La crisi e la dipendenza energetica di combattono massimizzando l’uso delle fonti rinnovabili e non riaprendo inquinanti ed obsolete centrali a carbone.
Ma come sappiamo le rinnovabili sono ancora bloccate, da una parte da finanziamenti insufficienti per la ricerca che ne migliorerebbe l’efficienza e potrebbero aumentarne la diffusione, dall’altra da una burocrazia “ottusa” che sembra essere quasi a danno dei cittadini ed al servizio di un governo senza idee e fallimentare…Serve un cambio di passo, forte, netto, i ragazzi del FFF lo stanno chiedendo a gran voce da anni… Ma quasi inascoltati… Chissà che forse il caro bollette non spinga davvero a ripensare un modello energetico diverso?
Jacopo Vannucchi
Nei primi giorni dell’intervento russo in Ucraina l’esclusione della Federazione Russa dal circuito SWIFT sembrava essere bloccata dall’opposizione di quattro suoi rilevanti partner, commerciali o politici: Germania, Italia, Ungheria, Cipro. Questa opposizione è stata presto superata e anzi la Germania ha sospeso l’attivazione del Nord Stream 2.
Non è difficile comprendere che l’interruzione di qualsiasi rapporto con la Russia va contro l’interesse europeo, sia come sistema Europa sia come singole nazioni. Non si può dunque che attribuire alla pressione di potenze esterne una serie di decisioni tanto dure e autolesionistiche.Inoltre, proprio come le sanzioni alla Russia saranno pagate non dagli alti funzionari e ufficiali, bensì dal popolo russo, così i costi ingenti della rescissione dei rapporti euro-russi saranno pagati dai ceti europei subalterni.
Certo però un problema oggettivamente sollevato è reale: l’indipendenza energetica dell’Unione Europea. Per quanto riguarda l’Italia, i tentativi del governo Renzi di fortificare la nostra posizione si scontrarono contro una campagna referendaria ostile anti-estrazioni di idrocarburi, che in Italia sono in prevalenza metano (aprile 2016), e contro il caso Regeni, che da gennaio 2016 deteriorò i rapporti con l’Egitto pochi mesi dopo l’annuncio (agosto 2015) della scoperta da parte dell’Eni, proprio nelle acque egiziane, del più grande giacimento di gas del Mediterraneo.
Oggi le quattro priorità elencate da Draghi al vertice di Versailles sembrano andare nella direzione giusta: diversificazione delle fonti energetiche, sganciamento del mercato delle rinnovabili da quello del gas, calmiere del prezzo del gas, tassazione dei superprofitti delle aziende energetiche. Confindustria ha già annunciato la propria prevedibile opposizione; c’è da aspettarsi che, come all’epoca di Renzi, vi si accompagni anche un’ostile campagna di stampa
Alessandro Zabban
La situazione geopolitica attuale mostra ancora una volta che l’indipendenza energetica non è sovranismo, ma una necessità per mettere al sicuro il Paese di fronte alle contingenze e le crisi globali. Puntare sulle rinnovabili è la scelta più logica per l’Italia, sia perché permetterebbe di centrare più facilmente gli obiettivi climatici promessi, sia perché siamo, come è ben noto, piuttosto poveri di petrolio e gas. Il non aver fatto negli ultimi anni la transizione ecologica che era possibile iniziare a intraprendere, ci mette ora in una situazione complicata. Certamente, le rinnovabili non possono ancora rappresentare la panacea di tutti i mali, ma il nostro ritardo pesa enormemente nella nostra dipendenza energetica dall’estero.
La scelta emotiva e poco incline alle regole consuete della diplomazia, anche in tempi di guerra, di deteriorare gravemente i rapporti con la Russia, da cui dipendiamo dal punto di vista energetico in maniera spropositata, ci pongono in una posizione difficile, oltre che ipocrita (armiamo gli ucraini ma compriamo dai russi).Le crisi a cui assistiamo stanno mettendo in secondo piano la questione dell’emergenza climatica nel dibattito pubblico e sui media, mentre nella mentalità collettiva il petrolio e il gas tornano al centro della scena nel momento in cui appare il fantasma della loro scarsità, o quado i rincari e le bollette iniziano a pesare come macigni sulla nostra vita quotidiana. Questo aumenta lo scetticismo sulle rinnovabili, incapaci ovviamente di risolvere subito i nostri problemi più immediati e calmare le nostre ansie da clima di guerra. Ma anche nell’emergenza dobbiamo avere la forza di guardare al lungo periodo e renderci conto che se non iniziamo a percorrere una reale strada verde per l’indipendenza energetica, le ansie e i problemi in futuro non faranno altro che moltiplicarsi.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.