Un ricordo di Moreno Biagioni, che ospitiamo volentieri
Lidia Menapace, la cui Resistenza è durata tutta una vita (Resistenza ai poteri dominanti, alle ingiustizie, alle politiche di guerra, al conformismo, al maschilismo), ci ha lasciato.
Ricordiamo la sua attività di partigiana (per cui ricevette dal Ministero della Difesa il brevetto di “partigiana combattente”, col grado di sottotenente): durante la guerra di liberazione portò un contributo efficace in vari modi, anche trasportando il plastico, che serviva per far saltare ponti e ferrovie – ma non le armi, che lei si rifiutava di portare ed impugnare, pur rendendosi conto della necessità che altri le usassero, se si voleva sconfiggere il nazi-fascismo. Fu questo il comportamento, in quel periodo, di alcune persone, fra cui Aldo Capitini, principale esponente del movimento italiano della non violenza di ispirazione gandhiana (nel 1961 avrebbe dato vita, insieme a Danilo Dolci e Ernesto Treccani, alla Marcia Perugia-Assisi per la pace), che seguivano, appunto, i principi della nonviolenza, ma che non restavano indifferenti di fronte ai grandi rischi che correva l’umanità di rimanere schiacciata sotto il tallone di Hitler e del suo fedele scherano Mussolini. Lidia non aveva questi riferimenti ideologici, ma era pacifista per istinto (e lo sarebbe stata sempre, con grande coerenza e convinzione).
La disponibilità ad impegnarsi senza risparmio – prima nel mondo cattolico, poi in quello del femminismo e dei partiti di sinistra – fu una costante che la portò nei più remoti angoli del Paese, siccome riteneva importanti, al pari delle grandi iniziative, anche le riunioni, gli incontri, i dibattiti, che potevano comunque servire a far prendere coscienza delle questioni – fossero esse quelle al centro di campagne referendarie, di interventi elettorali, di movimenti riguardanti la pace e la guerra – un più ampio numero di persone.
Lidia ha scritto, alcuni anni fa, un libro intitolato Io, partigiana – La mia Resistenza, in cui, oltre a raccontare la sua esperienza, ricostruisce, anche con schede di approfondimento, il quadro generale che le fa da sfondo; un libro da cui emergono quegli aspetti della Resistenza (di “normalità” della Resistenza, al di là degli episodi eroici) emersi con più forza recentemente – il ruolo primario delle donne, il fatto che non fu solo lotta armata, ma anche impegno solidale, sperimentazione di democrazia, aiuto ai combattenti, ai fuggiaschi, ai prigionieri in fuga, a chi subiva gli effetti brutali della barbarie. Ne emerge netta, fra l’altro – come sostiene Carlo Smuraglia nell’introduzione al libro – la contrapposizione fra le donne che avevano scelto di fare le “ausiliarie” nella Repubblica di Salò e quelle che avevano scelto di fare le staffette, le partigiane, che non avevano “una predilezione decadentistica per la morte” come le altre ma “volevano vivere e vivere in pace”.
Si tratta di un’opera molto utile per trasmettere ad un pubblico di giovani il senso dell’avventura “resistenziale” di Lidia ed anche il valore politico della Resistenza, che pose le fondamenta di un progetto di società solidale e partecipata, un progetto testimoniato dalla Costituzione, ma poi non realizzatosi compiutamente nelle vicende successive del nostro Paese.
Un progetto per cui Lidia continuò a battersi con tenacia, con costanza, con grande determinazione.
Nel 1945 le fu consegnato un pezzo di carta firmato dal generale Alexander in cui si diceva “Lidia resisté”. Ed in effetti quelle parole valgono oggi per tutto quello che ha fatto.
Moreno Biagioni
8/12/2020
Immagine di Mihai Romanciuc (dettaglio) da Wikimedia Commons
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