Nella Prefazione J.K. Rowling dichiara che ne «L’Ickabog»[1] «sono trattati i temi che mi hanno sempre interessata. Che cosa ci dicono di noi i mostri che evochiamo? Cosa deve succedere perché il male si impossessi di una persona o di una nazione, e come si fa a sconfiggerlo? Perché le persone scelgono di credere alle bugie, anche a fronte di prove esili o inesistenti?».[2]
Ickabog e popolo ebraico
Il nome della creatura fantastica, e in certo senso mostruosa, che dà il titolo al libro è dichiaratamente ripreso «da ‘Ichabod’, che significa ‘senza gloria’ o ‘la gloria se n’è andata’».[3]
Il riferimento al personaggio biblico non è soltanto etimologico: alcune situazioni del racconto sacro sembrano corrispondere, a partire dal valore centrale delle circostanze di nascita nella storia del personaggio.
Possiamo infatti leggere nella Bibbia che dopo la sconfitta di Israele in battaglia campale per mano dei Filistei «La nuora di lui [Eli], moglie di Pìncas, incinta e prossima al parto, quando sentì la notizia che era stata presa l’arca di Dio e che erano morti il suocero e il marito, s’accosciò e partorì, colta dalle doglie. Mentre era sul punto di morire, le dicevano quelle che le stavano attorno: “Non temere, hai partorito un figlio”. Ma essa non rispose e non ne fece caso. Ma chiamò il bambino Icabod, cioè: “Se n’è andata lungi da Israele la gloria!” riferendosi alla cattura dell’arca di Dio e al suocero e al marito».[4]
Così, quando l’Ickabog spiega a Margherita[5] la peculiare riproduzione della propria specie, la “Nascenza”[6], le dice: «Quando i piccoli sono Nascenti[7], noi che li abbiamo generati moriamo. […] Tutta la nostra vita porta alla Nascenza. Quel che facciamo e sentiamo quando i nostri piccoli sono Nascenti plasma la loro natura. È molto importante avere una buona Nascenza».[8]
Secondo la mitologia ickaboghiana gli esseri umani sono discendenti da un ramo degenerato degli Ickabog stessi. In particolare, l’Ickabog Paura[9] generò Astio[10], Astio generò Odio[11] e Odio generò il primo uomo, che giurando di vendicarsi dette inizio allo sterminio della specie progenitrice.
Le analogie bibliche non terminano qui. L’ancestrale persecuzione degli Ickabog ricorda in più di un passo quella contro il popolo ebraico. Nella canzone degli Ickabog «I nostri avi come alberi furon sradicati / […] Fummo cacciati dalla nostra casa assolata / via dall’erba, tra fango e pietra desolata, / nella pioggia e nella nebbia senza fine».[12] Non soltanto il tema ricorda la deportazione degli ebrei in Babilonia, ma i termini adottati suggeriscono un rimando al più celebre canto dei campi di concentramento nazisti, «Die Moorsoldaten». Sebbene fosse stato scritto, nel campo di Börgermoor nel 1934, da detenuti politici e non da ebrei, all’epoca non ancora avviati alla Shoah, il canto esprime una condizione di vita che si sarebbe poi estesa a tutti i perseguitati dal regime nazista: lo sradicamento da casa («doch zur Heimat steht der Sinn […] Heimwärts, heimwärts jeder sehnet»[13]) e la nuda brutalità del paesaggio schiavile («Wohin auch das Auge blicket, / Moor und Heide nur ringsum. / […] Hier in dieser öden Heide / ist das Lager aufgebaut»[14]).
Caccia all’Ickabog e antisemitismo
Il parallelo fra la caccia all’Ickabog e la persecuzione antisemita si conferma non soltanto dal punto di vista del perseguitato, ma anche nell’ottica del persecutore.
Il “male che si impossessa di una nazione”, le “persone che credono alle bugie” anche senza l’ombra di una prova non possono non richiamare il più eclatante e gravido di conseguenze caso di fake news dell’età contemporanea, quello del complotto giudaico internazionale. Una recente e pesante prova della pervasività di questa credulità è nella testimonianza di Oskar Groening, “il contabile di Auschwitz”, che come imputato nel 2015 ripeté[15] quanto già detto alla stampa nel 2006: nonostante lo shock e la ripugnanza per il genocidio degli ebrei, accettò comunque di continuare la propria funzione nel Lager perché genuinamente convinto, allora, che gli ebrei avessero causato intenzionalmente la disfatta della Germania nella Grande Guerra e la sua successiva rovina economica e stessero ancora perseguendo la distruzione della nazione tedesca.[16]
Analogie con eventi ed espedienti del nazismo sembrano affacciarsi in più passi: l’omicidio del maggiore Raggianti[17] richiama l’incendio del Reichstag; le simulazioni di attacchi dell’Ickabog ricordano i finti polacchi cui fu fatto violare il confine tedesco nel 1939; le rappresentazioni esageratamente caricate dell’Ickabog rispecchiano la raffigurazione grottesca dell’ebreo; soprattutto, l’orfanotrofio di Ma’ Grugna[18] ripropone la realtà dei campi di concentramento: «un enorme edificio di pietra, con sbarre alle finestre, serrature su tutte le porte»[19]; «molti dei suoi ‘ospiti’ non duravano a lungo, a causa della dieta a base di cavoli e cattiveria. Mentre alla porta si formava una fila infinita di bambini affamati, il piccolo cimitero sul retro era sempre più pieno. […] tutti i Gianni e le Gianne dell’orfanotrofio erano uguali, con quelle facce pallide e tirate: il loro unico valore stava nell’oro che [Ma’ Grugna] prendeva per accoglierli».[20]
Rivoluzione francese e rivolta di Cornucopia
Anche la rivolta nelle segrete, organizzata da una cuoca – l’eco di Lenin secondo cui ogni cuoca dovrà imparare ad amministrare lo Stato?[21] – e condotta a colpi di utensili da cucina, può far ripensare alla rivolta del Ghetto di Varsavia nei mesi di aprile-maggio 1943.
Qui però l’epilogo si discosta dall’annunciato fallimento del tentativo estremo di resistenza ebraica, per assumere invece i contorni di due altri eventi: il 20 giugno 1792, quando una folla armata invase le Tuileries e costrinse Luigi XVI, re ormai solo nominalmente, a indossare un berretto rosso e a bere alla salute della Nazione; e il 10 agosto 1792, quando l’attacco alle Tuileries si ripeté e stavolta il re fu costretto ad accettare la protezione dell’Assemblea Legislativa, che lo sospese immediatamente dalle sue funzioni.
Leggiamo infatti che il re Teo il Temerario[22] «rimase in pigiama, con le spalle al muro, a guardare i prigionieri evasi che entravano a colpi d’ascia nella sua stanza»[23] e che «il capitan Buonuomo[24] apparve sul balcone insieme a Re Teo, in lacrime e ancora in pigiama; e la folla applaudì quando il capitano disse che secondo lui era ora di provare a vivere senza un re».[25]
La figura di Teo il Temerario ricalca in effetti la tradizionale immagine di Luigi XVI: un monarca incapace di governare, e del resto sia disinteressato sia impreparato a farlo («era stato molto sollevato quando aveva scoperto quanto era facile governare Cornucopia. Il paese sembrava andare avanti da solo»[26]), certamente colpevole di aver lasciato che il regno sprofondasse nella miseria e nella fame, oggettivamente al vertice della piramide che opprimeva il popolo, anche se non ne era lui né l’artefice né il direttore, e capace fino al giorno stesso della rivoluzione di «non ave[re] idea di che cosa stesse succedendo e ignora[re] completamente che ci fossero cinquanta persone imprigionate nelle segrete del suo palazzo».[27] Anche su di lui, come su Luigi XVI, il giudizio si articola diversamente secondo che si parli di responsabilità oggettive o soggettive: «Per quanto fosse stato decisamente egoista, vanitoso e codardo, Teo non aveva mai voluto fare del male a nessuno… anche se l’aveva fatto, eccome».[28]
È insomma, come il suo alter ego storico, il destinatario occasionale del fulmine scaturito da quella che Hugo definì «una nube [che] s’è andata formando per millecinquecento anni».[29]
Ma della precedente storia di Cornucopia conosciamo una sola informazione, il nome del re padre e predecessore di Teo. Qui vi è una mancanza della traduzione italiana, che rende come Riccardo il Ritto l’originale Richard the Righteous, “Riccardo il Giusto”: dato che Teo non era affatto temerario, sorge il forte dubbio che neppure Riccardo fosse stato giusto e che, come Buonuomo propose la Repubblica in sostituzione di Teo-Luigi XVI, così anche a Riccardo-Luigi XIV si sarebbero attagliate le parole di un popolano nelle primissime scene de La presa del potere da parte di Luigi XIV (Rossellini, 1966): «il re! Il re! Dopotutto è un uomo come gli altri! In Inghilterra gli hanno tagliato la testa al re, ma non per questo il sole ha smesso di girare!».
La rivoluzione mancata di Cornucopia
La fondazione di una nuova città di Cornucopia, Ickaville[30], dedita alla coltivazione dei funghi che costituiscono l’alimento base della dieta degli Ickabog, ricorda fin troppo evidentemente la costituzione dello Stato di Israele dopo la sconfitta dell’Asse.
Quanto a Cornucopia nel suo insieme, invece, pare essere divenuta una repubblica presidenziale la cui massima carica monocratica è il Primo ministro, eletto direttamente dal popolo. Il fatto che Buonuomo sia stato eletto Primo ministro «per la sua grande onestà»[31] può far pensare all’Incorruttibile Robespierre, ma in realtà il parallelo più calzante è quello con la mai realizzata dittatura di La Fayette, anche per il modo in cui Buonuomo prende brevemente sotto tutela il re proprio come La Fayette tentò di fare con Luigi XVI dopo la tentata fuga di Varennes (21 giugno 1791): nella realtà storica, tuttavia, la radicalizzazione dell’umore popolare tagliò ben presto le base di consenso necessaria a tale progetto. Il 17 luglio La Fayette fece sparare sulla folla che chiedeva la destituzione di Luigi XVI e il 14 novembre fu sconfitto dal candidato giacobino nell’elezione a sindaco di Parigi. Nell’agosto 1792 dovette infine partire per l’esilio dopo non essere riuscito a convincere la sua armata a marciare su Parigi per liberare il re.
Questa radicalizzazione rivoluzionaria a Cornucopia manca, perciò manca anche l’atto che massime doveva suggellare la vittoria della Rivoluzione: la morte del re. «Qui non c’è alcun processo da fare. Luigi non è affatto un accusato. Voi non siete affatto dei giudici. Voi non siete, non potete essere che degli uomini di Stato, e i rappresentanti della Nazione. Non avete affatto da rendere una sentenza a favore di o contro un uomo, bensì da prendere una misura di salute pubblica, da esercitare un atto di provvidenza nazionale […] Luigi deve morire, perché la patria deve vivere».[32]
Persino Lord Scaracchino[33], il vero vertice della tirannia che aveva ridotto il Paese in macerie, viene risparmiato dalla morte e contro di lui l’Autrice fa valere uno dei più noti argomenti contro la pena capitale: «se vi dispiace che […] non abbiano sparato a Lord Scaracchino vi capisco. In fondo, aveva causato la morte di centinaia di persone. Ma potrebbe consolarvi il fatto che Scaracchino avrebbe davvero preferito essere morto che trascorrere nelle segrete giorno e notte, a mangiare cibi semplici e dormire tra lenzuola ruvide, e dover ascoltare per ore Teo che piangeva».[34]
Manca, cioè, il carattere di eccezionalità che Robespierre individuava nella figura di Luigi XVI: «sì, la pena di morte, in generale, è un crimine […] la sicurezza pubblica non la invoca mai contro i delitti ordinari, perché la società può sempre prevenirli con altri mezzi, e mettere il colpevole nell’impossibilità di nuocerle. Ma un re detronizzato […] né la prigione, né l’esilio possono rendere la sua esistenza indifferente al benessere pubblico; e questa crudele eccezione alle leggi ordinarie che la giustizia ammette non può essere imputata che alla natura dei suoi crimini. lo pronuncio con rincrescimento questa fatale verità».[35]
Perché questa radicalizzazione rivoluzionaria manca? Solo perché il libro è per bambini «tra i sette e i nove anni»?[36]
Non sembra questo il motivo, visto che nel corso della storia non mancano certo fatti di sangue anche particolarmente iniqui e crudeli: «scelsero una casetta ai margini dell’abitato, un po’ isolata. Gli uomini più abili a forzare le porte entrarono e […] uccisero la vecchietta che ci abitava […]. Dopo aver portato via il suo corpo per seppellirlo da qualche parte […] fracassarono mobili e acquari e lasciarono i suoi esemplari a morire sul pavimento, boccheggiando».[37]
È in realtà all’opera il socialismo cristiano già esplicitato dalla Rowling in Harry Potter[38] e dunque è d’uopo concludere con il re che comprende i propri errori, prova rimorso, esercita la penitenza e infine dice «che si poteva imparare a essere migliori e più buoni, se lo si voleva davvero».[39] Si tratta cioè dell’alternativa a quella sorta di feto mutilato cui si è ridotta l’anima di Tom Riddle – «Non puoi fare niente per lui»; anche se questa alternativa è in realtà dettata da una differenza fondamentale: Riddle ha cercato attivamente il male, mentre Teo si è astenuto dal bene.
Cornucopia e Gran Bretagna: allegoria fantastica e realtà
Un parallelismo fra Cornucopia e la Gran Bretagna può senza dubbio essere rinvenuto quanto alla geografia del Paese. La capitale è la prima grande città partendo da Sud ed è circondata da territori agricoli pianeggianti; salendo verso Nord si incontrano dapprima gli allevamenti di bestiame e poi, ancora più a Nord, la produzione vinicola di Jeroboam. Se la suddivisione agricoltura/allevamento ricalca quella fra l’Inghilterra meridionale e quella centro-settentrionale, Jeroboam appare il corrispettivo della scozzese Aberdeen essendo entrambe soprannominate «la città di granito»[40] per via della loro architettura.
Infine, nell’estremo Nord del Paese si incontrano le Paludi, l’analogo delle zone acquitrinose scozzesi; l’Ickabog, poi, fa naturalmente le veci del mostro di Loch Ness. Le sue sembianze («un masso gigantesco, coperto di lunghe alghe di palude color marrone-verdastro»[41]) ricordano inoltre quelle del Kelpie, la creatura magica dell’universo potteriano che «può assumere varie forme, anche se la più frequente è quella di un cavallo con la criniera fatta di giunchi di palude. […] Il Kelpie più grande del mondo si trova nel Loch Ness, in Scozia. La sua forma preferita è quella di un serpente marino».[42]
Affrontando la questione dei rimandi biblici di «Harry Potter e i Doni della Morte»[43] la Rowling disse che la saga era composta di «libri molto britannici»[44] e certamente anche «L’Ickabog» è “molto britannico”, non soltanto per le corrispondenze geografiche ma anche per il socialismo cristiano che in Inghilterra affonda le proprie radici almeno nell’opera di William Blake (1757-1827), se non addirittura in alcune frange della Rivoluzione puritana.
Resta comunque da notare che nell’unico libro veramente britannico della Rowling, «Il Seggio Vacante»[45], che magistralmente espone l’intricato garbuglio dei conflitti di classe, ed anche intersezionali, in Inghilterra, questo messaggio di speranza, pentimento, riconciliazione, è del tutto assente. In quel libro non solo l’iniquità non viene minimamente scalfita da alcuna lotta personale, ma anzi si approfondisce poiché le pulsioni personali causano la morte di alcuni personaggi. E, al funerale che conclude la narrazione, non vi è alcun tipo di ricomposizione né terrena né morale: «Sukhvinder, che aveva sentito i singhiozzi di Tessa, provò compassione per lei, ma non osò voltarsi. […] Cercava di seguire la funzione, ma non vi trovava il conforto sperato».[46] L’explicit riconferma il carattere irrisolto dei conflitti sociali in Gran Bretagna: «Terri Weedon fu portata fuori quasi a braccia dai suoi parenti, lungo il tappeto blu, e i fedeli distolsero lo sguardo».[47]
Si nota, dunque, una marcata scissione fra le petizioni ideali della poetica rowlinghiana e la registrazione analitica della realtà sociale da cui quelle petizioni originano: esse sono incapaci di risolverla, e possono fruttuosamente sistemare il reale solo in un universo immaginario. Solo nel mondo di Harry Potter e di Cornucopia è possibile chiudere un libro, o una saga, con ogni mattoncino precisamente al suo posto nell’architettura narrativa.
«Il Seggio Vacante» è una formidabile denuncia sociale, ben superiore ai romanzi dickensiani poiché priva della patina ingenuamente umanitaria. Nel «Manifesto del partito comunista» Marx ed Engels scrivono che dovunque sia giunta al potere la borghesia «ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco […] In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche».[48] A differenza che in Dickens, nel romanzo realistico della Rowling vediamo appunto, come ne «Le condizioni della classe operaia in Inghilterra» di Engels, la raffigurazione “diretta e arida” dello sfruttamento diretto e arido.
Cosa ci dice quindi questa crepa che separa i due filoni rowlinghiani, quello fantastico e quello realistico?
Sarebbe fin troppo facile pensare ad un’inconsapevole autocontraddizione, per cui, proprio mentre a Hogwarts e a Cornucopia tutto si risolve per il meglio, tutto va per il peggio nella provincia inglese – in un riadattamento del colossale sarcasmo con cui Voltaire fa dire al metafisico Pangloss che «i mali particolari compongono il bene generale; di modo che più ci sono disgrazie particolari e più tutto va bene».[49]
Più appropriato, invece, interpretare lo iato tra fantasia e realismo come quello fra teoria e prassi, fra obiettivo e movimento. Se lo slogan tipico dei riformisti è il bernsteiniano “il fine è nulla, il movimento è tutto”, la storica vicinanza di J.K. Rowling alla soft left lascerebbe intuire un equilibrio tra i due momenti, un rapporto cioè che non annulli né il fine né, come nel socialismo di marca sovietica, il movimento.
L’equilibrio però sembra tale solo in termini di presenza quantitativa: in termini reali, invece, il percorso narrativo della Rowling pare indicare che il fine è chiaro ma in luogo del movimento abbiamo l’immobilità. Una nota immagine usata da Jean Jaurès ai primi del Novecento evocava la transizione al socialismo come una nave che passa da un emisfero all’altro non tagliando un cordone, bensì solcando gradualmente il mare. La nave reale del socialismo è quindi ferma secondo la Rowling e, se accettiamo che l’arte debba mostrare l’invivibilità di questo mondo invece della vivibilità di mondi di fantasia, non può darsi miglior appello all’azione.
Dettaglio di copertina de L’Ickabog, Edizioni Salani
[1] J.K. Rowling, L’Ickabog (tr. it.), Salani Editore, Milano 2020.
[2] Ivi, p. 7.
[3] Ibidem.
[4] 1Samuele 4:19-21.
[5] Daisy nell’originale inglese.
[6] «Bornding» nell’originale inglese.
[7] «Bornded».
[8] J.K. Rowling, Op. cit., pp. 243-244.
[9] «Fright».
[10] «Bitterness».
[11] «Hatred».
[12] Ivi, p. 246. Nell’originale inglese: «Our ancestors like trees were felled / […] Men forced us from our sunlit home, / Away from grass to mud and stone, / Into the endless fog and rain».
[13] «Ma il pensiero è rivolto a casa […] la casa, la casa ognuno brama».
[14] «Per dovunque l’occhio guardi, / pantano e brughiera solo dintorno. / […] Qui in questa desolata brughiera / è stato costruito il Lager».
[15] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/04/22/vi-chiedo-perdono-alla-sbarra-con-il-contabile-di-auschwitz19.html
[16] https://www.politico.eu/article/auschwitz-guard-germany-holocaust-history-world-war/
[17] Beamish nell’originale inglese.
[18] Ma Grunter nell’originale inglese.
[19] J.K. Rowling, Op. cit., p. 170.
[20] Ivi, p. 173.
[21] V.I. Lenin, “I bolscevichi conserveranno il potere statale?”, in Id., Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. XXVI, p. 99.
[22] Fred the Fearless nell’originale inglese.
[23] J.K. Rowling, Op. cit., p. 277.
[24] Goodfellow nell’originale inglese.
[25] J.K. Rowling, Op cit., p. 290.
[26] Ivi, p. 11.
[27] Ivi, p. 276.
[28] Ivi, pp. 300-301.
[29] V. Hugo, I Miserabili, Parte Prima, Libro Primo, Capitolo X.
[30] Ickaby nell’originale inglese.
[31] J.K. Rowling, Op. cit., p. 296.
[32] M. Robespierre, Discorso sul giudizio di Luigi XVI (1° intervento) pronunciato alla tribuna della Convenzione il 3 dicembre 1792 (https://ihrf.univ-paris1.fr/enseignement/outils-et-materiaux-pedagogiques/textes-et-sources-sur-la-revolution-francaise/proces-du-roi-discours-de-robespierre/)
[33] Lord Spittleworth nell’originale inglese.
[34] J.K. Rowling, Op. cit., pp. 296-297.
[35] M. Robespierre, cit..
[36] https://www.bbc.com/news/amp/entertainment-arts-52809600
[37] J.K. Rowling, Op. cit., p. 187.
[38] http://www.mtv.com/news/1572107/harry-potter-author-jk-rowling-opens-up-about-books-christian-imagery/
[39] J.K. Rowling, Op. cit., p. 301.
[40] Ivi, p. 14.
[41] Ivi, p. 231.
[42] Id., Gli animali fantastici: dove trovarli (tr. it.), Salani Editore, Milano 2010, p. 33.
[43] Id., Harry Potter e i Doni della Morte (tr. it.), Salani Editore, Milano 2008.
[44] http://www.mtv.com/news/1572107/harry-potter-author-jk-rowling-opens-up-about-books-christian-imagery/
[45] J.K. Rowling, Il Seggio Vacante (tr. it.), Salani Editore, Milano 2012.
[46] Ivi, p. 549.
[47] Ivi, p. 553.
[48] K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista, in K. Marx, Le opere che hanno cambiato il mondo, Newton Compton, Roma 2011, p. 326.
[49] Voltaire, Candido o l’ottimismo, capitolo IV.
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.