Sebbene Michel Foucault non abbia scritto che pochi saggi che avessero come oggetto privilegiato di ricerca e di analisi lo spazio[1], questa dimensione accompagna implicitamente tutta la produzione filosofica del pensatore francese. È nello spazio che circola il potere e si formano i saperi. Ed è tramite lo spazio che agiscono e vengono applicate le discipline e le tecniche di potere: il celebre modello del panoption offre da questo punto di vista un esempio emblematico di come l’organizzazione dello spazio sia fondamentale nel disciplinare i soggetti, rendendo docili e produttivi i loro corpi tanto nelle fabbriche quanto nelle prigioni o nei manicomi[2]. Non deve stupire allora che per Foucault lo spazio è il prodotto delle lotte fatte per colonizzarlo, definirlo, ordinarlo. Ogni potere per avere effetto deve poter controllare e plasmare lo spazio.
Dello spazio possiamo dunque farne una storia, una storia che è legata ai saperi/poteri che lo interessano, lo intersecano, lo definiscono e lo costruiscono. Rispetto agli spazi angusti del medioevo, fra confessionali e patiboli, la governamentalità biopolitica moderna che emerge nel XVIII secolo porta con sé un interesse più vasto per il territorio e l’organizzazione spaziale, fra luoghi di reclusione, produzione, apprendimento, nel contesto di uno sforzo di normalizzazione e controllo che riguarda sempre di più ogni aspetto dell’esistenza individuale e collettiva. Con Galileo spariscono le opposizioni e gerarchie localizzate che dominavano il pensiero medievale (posti protetti e posti privi di difesa; città e campagna, luoghi sacri e luoghi profani) e si scopre che lo spazio è infinitamente aperto e che tutto è continuamente in movimento (anche lo stato di quiete è uno stato di movimento infinitamente rallentato): l’estensione si sostituisce alla localizzazione.
Entriamo nell’epoca in cui l’arte di governo si espande per abbracciare tutta la popolazione che vive su un territorio. Emergono, come abbiamo visto, nuove forme architettoniche, come quelle degli istituti di reclusione e correttivi, per disciplinare il corpo e ottimizzarlo alle sue funzioni produttive e alla sua missione di obbedienza. Ma si iniziano a progettare anche grandi opere urbanistiche, essenziali per tenere sotto controllo le masse, soprattutto da un punto di vista demografico, sanitario e di ordine pubblico. Via via che si fa strada l’idea che la società sia qualcosa da governare, emerge e si affina anche una riflessione matura e complessiva su come deve essere organizzato lo spazio[3]. Gli interessi politici verso la vita individuale e collettiva mostrano il legame stretto che intercorre in maniera sempre più decisa fra biopolitica e spazio: il controllo e la presa in carico governamentale dell’esistenza individuale e collettiva passa necessariamente per un ripensamento complessivo dello spazio[4].
Nonostante queste trasformazioni epocali nel modo di pensare l’arte di governo e lo spazio, la grande ossessione che ha assillato tutto il XIX secolo è stata, secondo Foucault, la storia: temi dello sviluppo e del progresso, temi della crisi, della trasformazione e dell’accumulazione del passato: «è nel secondo principio della termodinamica che il XIX secolo ha trovato gli elementi essenziali delle sue risorse mitologiche»[5].
Solo con il XX secolo si inaugura l’epoca dello spazio. Uno spazio che non è più quello galileiano ma che risulta dominato da un’altra concezione: da collegamenti e connessioni, da relazioni di prossimità fra punti o elementi, cioè da relazioni di dislocazione nello spazio. «Viviamo nell’epoca del simultaneo, nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un’epoca in cui il mondo di sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa»[6]. Mettendo in risalto gli elementi di relazione e di rete, Foucault sembra volerci indicare che da una dispersione dei luoghi nello spazio siamo passati a una concezione incentrata sullo spostamento nello spazio, segnato dalla circolazione, dalla frequenza dei movimenti all’interno di un network. Analisi che può essere letta come anticipatrice del fenomeno della globalizzazione nel quale lo spostamento di merci, forza lavoro e imprese costituisce il perno del sistema in cui viviamo. E ovviamente non può non far pensare a quella tecnologia che siamo abituati ad associare immediatamente al concetto di rete, ovvero internet. Nel web, per definizione, immaginiamo lo spazio esattamente come una serie di relazioni e collegamenti. E con esso, immaginiamo il mondo stesso come un’entità connessa, cioè in cui tutte le sue parti sono connesse[7].
E proprio avendo sotto gli occhi le trasformazioni sociali ed economiche che si sono prodotte negli ultimi quaranta anni, risulta difficile non dare credito all’intuizione foucaultiana di uno spazio contemporaneo percepito innanzitutto come relazione, spostamento, attraversamento. Non è un caso che il filosofo francese metta in risalto, da questo punto di vista, proprio quei luoghi che appaiono sempre più caratteristici e distintivi della nostra società come i luoghi di passaggio, le vie, i mezzi di trasporto e tutti quei luoghi della sosta provvisoria che sono i caffè, i cinema, le spiagge. Sono in buona parte quelli che diversi anni più avanti, l’antropologo Marc Augé avrebbe descritto col neologismo di nonluoghi, spazi non fatti per vivere e per rimanere, ma destinati al transito e al passaggio effimero[8].
Ma, al contrario di Augé, Foucault non è interessato a una disamina delle caratteristiche dei luoghi della contemporaneità, quanto piuttosto vuole rimarcare la sostanziale eterogeneità qualitativa dei luoghi: «non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti e gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose. Ci sono le regioni di passaggio, le strade, i treni, le metropolitane; ci sono le regioni aperte della zona transitoria, i caffè, i cinema, le spiagge, gli alberghi, e poi ci sono le regioni chiuse del riposo e della casa»[9].
Fra tutti questi possibili luoghi, secondo Foucault, possiamo individuarne alcuni che sono assolutamente differenti, luoghi che «hanno la curiosa proprietà di essere in relazione con tutti gli altri luoghi, ma con una modalità che consente loro di sospendere, neutralizzare e invertire l’insieme dei rapporti che sono da essi stessi delineati, riflessi o rispecchiati».[10] Questi spazi altri sono di due tipologie.
Ci sono innanzitutto le utopie, spazi privi di un luogo reale e che intrattengono con la società un rapporto d’analogia diretta o rovesciata. Si tratta della società stessa perfezionata, o del contrario della società stessa, ma comunque di luoghi che non si possono trovare in nessuna carta geografica ma solo nei pensieri, nei racconti e nei sogni degli uomini.
Ma esistono anche delle utopie che hanno un luogo preciso e reale, localizzabile sulla carta, dei luoghi che esistono nella realtà ma che come le utopie sono assolutamente altro rispetto a tutti gli altri spazi. Queste utopie localizzate, Foucault le definisce eterotopie:
«ci sono anche, e ciò probabilmente in ogni cultura come in ogni civiltà, dei luoghi reali, dei luoghi effettivi, dei luoghi che appaiono delineati nell’istituzione stessa della società, e che costituiscono una sorta di contro-luoghi, specie di utopie effettivamente realizzate nelle quali i luoghi reali, tutti gli altri luoghi reali che si trovano all’interno della cultura vengono al contempo rappresentati, contestati e sovvertiti; una sorta di luoghi che si trovano al di fuori di ogni luogo, per quanto passano essere effettivamente localizzabili. Questi luoghi, che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò, in opposizione alle utopie, eterotopie»[11]
Le eterotopie dunque da una parte intrattengono un rapporto di opposizione con le utopie, dato che le prime sono effettivamente localizzabili, mentre le seconde, per definizione, no. Ma fra le due esiste anche un rapporto di analogia poiché entrambe sono spazi che riflettono e contestano tutti gli altri luoghi: spazi in cui la normalità viene sovvertita. Se l’utopia è il sogno di una società diversa e migliore in un futuro indeterminato, l’eterotopia è la realizzazione di questi sogni di perfezionamento e miglioramento qui e ora ma in una nicchia dello spazio che si differenzia sostanzialmente rispetto a tutti gli altri spazi. Rimanendo fedeli alla definizione aperta di Foucault, le eterotopie risultano estremamente disomogenee: sono eterotopie le istituzioni totali dei manicomi, delle prigioni, delle cliniche psichiatriche dove la società realizza il suo sogno osceno di escludere e segregare gli anormali; come possono anche essere eterotopie luoghi di resistenza e di mutualismo dove i rapporti di mercato che tendono alla colonizzazione parassitaria dello spazio restano esclusi.
Foucault abbozza una teoria generale delle eterotopie elencando quelli che secondo lui andrebbero considerati come i principi fondamentali che dovrebbero guidare allo studio e all’analisi delle eterotopie.
Il primo principio stabilisce che tutte le società e gruppi umani costruiscono le loro eterotopie ma esse possono prendere forme molto varie. In maniera del tutto schematica e a titolo esemplificativo, Foucault distingue fra due tipi di eterotopia. Quella che caratterizza le società cosiddette primitive può essere definita come eterotopia di crisi poiché vi sono luoghi privilegiati, sacri o interdetti riservati agli individui che si trovano, in rapporto alla società, in uno stato di crisi biologica. È il caso degli adolescenti al momento della pubertà, delle donne nel periodo mestruale, degli anziani. Oggi invece alle eterotopie di crisi che sono in via di sparizione si sostituiscono quelle di deviazione, nelle quali, come si ricordava anche precedentemente, a essere oggetto di separazione dal resto della società non sono più gli individui in crisi biologica ma quelli considerati devianti rispetto a ciò che una società definisce come normale: si tratta di cliniche psichiatriche o prigioni. Si possono invece considerare i ricoveri per anziani una via di mezzo: certamente sono eterotopie di crisi biologica ma anche di devianza in una società come la nostra dove il tempo libero è la norma, mentre l’ozio costituisce una specie di deviazione (soprattutto se non abbiamo il buon gusto di morire di infarto subito dopo aver raggiunto la pensione).
In base al secondo principio, nel corso della sua storia, una società può riassorbire o far sparire una eterotopia che ha creato oppure crearne e organizzarne di nuove. Foucault porta a titolo di esempio le case di prostituzione e in particolare i cimiteri (spazi altri per definizione) che si caratterizzano per il fatto di aver avuto ruoli diversi in epoche diverse. Fino al XVIII secolo il cimitero era al centro della città e non aveva un particolare valore simbolico o religioso. Le cose cominciano a cambiare radicalmente alla fine di quel secolo. Le società europee si stavano secolarizzando ei cimiteri iniziano a essere spostati sempre più al di fuori, nelle periferie urbane per questioni igieniche poiché inizia a farsi strada la convinzione che i morti portassero malattie. Parallelamente, al cadavere viene attribuito un valore che prima non aveva. Curiosamente, proprio nel momento in cui la società si secolarizza, inaugura il culto dei morti. Del resto, in un’epoca in cui si crede fermamente all’immortalità dell’anima, il cadavere ha un peso relativo ma è proprio quando non siamo molto sicuri della nostra immortalità che il corpo “resuscita”, unica traccia della nostra esistenza. Che queste due trasformazioni culturali siano avvenute nello steso periodo non è causale. Si potrebbe infatti affermare che più si dà importanza al cadavere, più i cimiteri diventano solenni e mostrano in tutta la loro lugubre grandiosità l’orrore della morte. Era dunque qualcosa che andava separata dalle case e dalla vita quotidiana, per evitarne il contagio.
Secondo il terzo principio, l’eterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico spazio reale, diversi luoghi fra loro incompatibili. È ovviamente il caso del cinema e dei teatri ma è anche quello dei giardini, in particolare del tradizionale giardino persiano che era un rettangolo diviso in quattro parti che rappresentavano le quattro parti del mondo. Al centro c’era un luogo sacro (un tempio, una fontana) attorno al quale si doveva trovare tutta la vegetazione esemplare e perfetta del mondo: il giardino è un’eterotopia felice e universalizzante, nel quale il mondo tutto intero realizza la sua perfezione simbolica.
Il quarto principio afferma che le eterotopie sono spesso legate a delle strane suddivisioni del tempo: funzionano pienamente quando gli uomini si trovano in una rottura assoluta con il loro tempo tradizionale (eterocronie). Ci sono così delle eterotopie del tempo che si accumula all’infinito (musei, biblioteche) ma anche quelle che sono in relazione al tempo per ciò che esso ha di più futile e di precario come le fiere, spazi vuoti spesso ai margini della città che si popolano, uno o due volte l’anno di baracche, banconi, oggetti eterocliti, di lottatori, di donne-serpenti, di indovine. Più recentemente, possiamo distinguere i villaggi vacanza che offrono per tre brevi settimane ai turisti l’illusione,fra mare cristallino e capanne di paglia, di un’immersione totale nella natura incontaminata. Invece che accumulare il tempo, i villaggi vacanza hanno lo scopo di cancellarlo, in nome di un ritorno alla nudità primitiva.
In base al quinto principio le eterotopie hanno sempre un sistema di apertura e di chiusura che le isola nei confronti dello spazio circostante. Vi sono eterotopie alle quali vi si può accedere tramite rituali o purificazioni (hammam musulmani, saune scandinave) oppure perché si è costretti (prigioni). Fra queste però le più interessanti sono forse quelle che sono aperte a tutti e vi si crede di entrare ma si è, per il fatto stesso di entrare, esclusi. Modernamente, secondo Foucault si possono considerare i motels americani come una eterotopia di questo tipo: si entra facilmente con la propria automobile e amante ma facendo così la sessualità illegale è rigorosamente protetta e nascosta. Si potrebbe anche definire l’esperienza turistica come legata a questa tipologia di eterotopia dato che il turista che accede a posti nuovi e diversi da visitare in realtà è di fatto escluso, proprio in quanto turista, dalla conoscenza reale dei luoghi che attraversa.
L’ultimo e più importante principio inerisce al fatto che le eterotopie sono caratterizzate dal contestare tutti gli altri spazi e pertanto sviluppano con lo spazio restante una funzione che si dispiega fra due poli estremi: ci sono le eterotopie di illusione che creano uno spazio illusorio che denuncia come ancora più illusorio ogni spazio reale (quei luoghi come le case chiuse nelle quali, entrando, si produce un effetto di allucinazione, di mistero, di emozione o di febbrile eccitazione che prevale come realtà a se stante rispetto al mondo esterno, che diventa, nella sua normalità, l’eccezione). Ma ci sono anche le eterotopie di compensazione che invece creano uno spazio reale tanto perfetto, meticoloso e ordinato da far apparire il nostro disordinato e caotico (come le colonie dei gesuiti in Paraguay dove regnava un regime di comunione dei beni perfettamente organizzato spazialmente e regolato e scandito temporalmente). Le prime creano spazi illusori in seno al reale, la cui ontologia viene messa in discussione; le seconde producono invece spazi reali ordinati e perfetti che fanno apparire lo spazio di riferimento inadeguato e caotico.«Con la colonia si ha un’eterotopia che è abbastanza ingenua da realizzare un’illusione. Con la casa chiusa, invece, si ha un’eterotopia che è abbastanza sottile o abile da dissipare la realtà con la forza delle illusioni»[12].
Fra questi due poli estremi, quasi idealtipici, della casa chiusa e della colonia, possiamo collocare su un continuum un vasto numero di eterotopie che possono essere viste sia come eterotopie di illusione che di compensazione. Le gated communities ad esempio, che si possono grossolanamente definire come quartieri per ricchi circondati da mura[13],condividono con le colonie in Paraguay la realizzazione di un microcosmo organizzato, armonioso e prospero che si contrappone con una società caotica, violenta, diseguale e pericolosa. Ma queste comunità chiuse sono anche e soprattutto delle eterotopie che offrono l’illusione di una vita più tranquilla, più calda, più accogliente e più pura ma in realtà nascondono dietro quei muri spessi la paura delle classi abbienti nei confronti dei più poveri e lo spettacolare fallimento della società nel produrre benessere per tutti, inclusione sociale e generare una coesistenza pacifica[14]. Fra luoghi turistici in bilico fra organizzazione maniacale e omologazione consumistica e gli spazi incantati delle realtà virtuale, schiacciati sul paradosso di essere finzione pura ma allo stesso tempo di voler regalare esperienze più significative, vivide, umane rispetto al monotono grigiore delle nostre vite quotidiane[15], la nostra realtà offre una costellazione sempre cangiante di eterotopie che, in un mondo sempre più plasmato dai rapporti di mercato, necessitano di essere analizzate a fondo per comprendere come lo spazio, per natura eterogeneo, offra importanti supporti alle pratiche e alle tecnologie di dominazione ma anche possibilità di resistenza e di svelamento delle dinamiche di controllo sociale e politico.
I due testi editi in italiano più rilevanti da questo punto di vista sono sicuramente Spazi Altri. I Luoghi delle Eterotopie (Mimesis, 2001) e Utopie Eterotopie (Cronopio, 2006). Nel testo faremo spesso riferimento a questi due testi e le citazioni sono indicate in riferimento alla quarta edizione del 2011 per quanto riguarda Spazi Altri e la quinta ristampa del 2018 per quanto riguarda Utopie Eterotopie.
Per quanto riguarda i lavori foucaultiani più specificatamente dedicati al tema dell’eterotopia, i testi fondamentali sono due conferenze (in realtà due versioni un po’ diverse della stessa conferenza), la prima radiofonica tenuta su France Culture il 7 dicembre 1966 (inclusa in Utopie Eterotopie), la seconda al Centre d’études architecturales il 14 marzo 1967 e pubblicata solo nel 1984 (inclusa in Spazi Altri). ↑Vedi M. Foucault, Sorvegliare e punire (Einaudi 1976). ↑
Vedi l’interessante intervista su Spazio, sapere e potere in Spazi altri dove Foucault indaga in particolare il rapporto fra potere e architettura ↑
Sulla relazione fra biopolitica, governamentalità e spazio si rimanda ai due fondamentali corsi tenuti da Foucault presso il Collège de France rispettivamente nel 1977-1978 e 1978-1979: Sicurezza, territorio, popolazione (Feltrinelli, 2017) e Nascita della biopolitica (Feltrinelli, 2012). ↑
Spazi altri p. 19 ↑
Spazi altri p. 19 ↑
Per un approfondimento si veda A. Tagliapietra, Nostalgia e utopia. Due forme dell’ideologia moderna,(Hermes- Journal of Communication, online su: http://siba-ese.unisalento.it/) ↑
M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità (Elèuthera, 1993) ↑
Utopie Eterotopie p. 12 ↑
Spazi altri p. 23 ↑
Spazi altri p. 23 – 24 ↑
Utopie Eterotopie p. 27 ↑
Su Il Becco abbiamo parlato di questo fenomeno più approfonditamente in questo articolo: https://archivio.ilbecco.it/cultura/saperi/umanistica-e-sociale/item/2949-gated-communities-nuove-frontiere-di-esclusione-urbana.html ↑
Altri esempi interessanti legati al rapporto fra tessuto urbano ed eterotopia sono offerti in un articolo di L.A. Carli, La città informale, consultabile a questo indirizzo: http://www.arivista.org/riviste/Arivista/385/100.htm ↑
Proprio questi due aspetti, i luoghi turistici e la realtà virtuale, che ci sembrano particolarmente significativi e di attualità, verranno analizzati alla luce della categoria di eterotopia nei due prossimi contributi di questo numero cartaceo. ↑
Immagine da flickr.com
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.