Se c’è un regista capace di sorprenderti, di farti pensare e di farti quantomeno sorridere ogni volta, quello è senza dubbio l’ex Monty Python, Terry Gilliam. Correva l’anno 1995 quando gli venne chiesto di dirigere un film complesso come “L’Esercito delle 12 Scimmie”. Un’opera difficile da catalogare: fantascientifica nell’apparenza, ma la sua solidità “scientifica” lascia molto a desiderare. Eppure proprio questo aiuta a rendere accattivante la poetica del film. Gilliam lascia molti aspetti ambigui: compresa la possibilità che il protagonista, Cole, sia pazzo e soffra di allucinazioni. Questa tra l’altro è una possibile spiegazione di alcune assurdità che potrebbero confondere lo spettatore, cosa confermata dal titolo che esprime un clamoroso depistaggio per mettere i bastoni fra le ruote alle certezze di chi lo guarda.
“Quello che ci sta accadendo è come rivedere un film. Come il passato. Il film rimane sempre lo stesso. Eppure cambia. Ogni volta che lo vedi ti sembra diverso perché tu sei diverso. Ci vedi dentro delle cose diverse” – dice Cole alla dottoressa Reilly al cinema. E quale film staranno guardando? Naturalmente Sir Alfred Hitchcock con l’intramontabile “Vertigo – La donna che visse due volte”. Gilliam ha perfettamente ragione.
Ispirato al corto francese “La jetee” (datato 1962) di Chris Marker, “L’esercito delle 12 scimmie” colpisce subito per una cosa: il regista conduce l’intera trama parallelamente nella realtà (tra l’altro paradossalmente verosimile) e nella mente di James.
Siamo nel 2035. Un detenuto di nome James Cole (Bruce Willis) viene inviato nel 1996 con la promessa della grazia a missione compiuta. Un malfunzionamento della macchina però lo catapulta nel 1990. L’obbiettivo è indagare sui fatti che hanno portato l’umanità a vivere rintanati nel sottosuolo. Il tutto per colpa di un potentissimo virus letale. I capi di queste comunità sotterranee sembrano essere degli scienziati che fanno di tutto per creare un antidoto e riconquistare la superficie. Tutte le prove portano a un gruppo ecologista, “l’esercito delle 12 scimmie”, che avrebbe diffuso il contagio per liberare la Terra dal giogo degli esseri umani.
Arrivato nel passato, Cole viene arrestato e condotto in una clinica psichiatrica dove conosce dapprima Jeffrey Goines (Brad Pitt, doppiato in italiano da Pino Insegno) e poi la dottoressa Railly (Madeleine Stowe de “L’ultimo dei mohicani”). La donna somiglia a quella che compare a Cole frequentemente in un sogno ed è l’unica che, strada facendo, crederà alle sue teorie.
Gilliam riesce a coinvolgere gli spettatori instillando il dubbio nella visione: quando, come la dottoressa Railly, siamo quasi sicuri di quello che sta accadendo, il personaggio di Willis stravolge tutta la nostra comprensione, suggerendoci che la storia possa benissimo esistere solamente nella sua testa. Anche noi, come lei, dovremo allora pensare, riflettere con i vari indizi somministratici gradualmente ed intelligentemente dall’ottima sceneggiatura di David Webb Peoples (Blade Runner e Gli Spietati). E quando si arriva in fondo al film è incredibile come tutti i pezzi del puzzle combaciano alla perfezione: ci chiediamo come mai non ci siamo accorti prima di questo o di quel particolare. Semplicemente esaltante.
La tesi de “L’Esercito Delle 12 Scimmie” è ovvia: per quanti sforzi si possono fare, il futuro non è modificabile a partire da eventi passati. Terry Gilliam, regista visionario e surreale, crea su questa base un film di fantascienza dove il motore d’azione sono i viaggi nel tempo e le loro conseguenze. L’iniziale groviglio di passato e futuro appare caotico e disordinato, molto spiazzante per lo spettatore a cui viene richiesta una notevole capacità di concentrazione: mano a mano che le cose vanno avanti (con un notevole miglioramento da quando Cole “ritorna al futuro” dal 1990) ecco che le vicende, i flashback enigmatici, i brevi frammenti apparentemente non-sense iniziano a prendere parte di un puzzle ordinato e preciso, che conduce ad un finale con doppia sorpresa annessa. Ciò che invece non sorprende affatto è la bravura del cast (sia artistico sia tecnico): la direzione degli attori è eccellente, le interpretazioni di Willis (finalmente lontano dagli abituali ruoli di eroe muscolare stile Die Hard), Pitt e Stowe sono credibili, la fotografia di Pratt (“Batman” e “Frankestein”) è ottima, la sceneggiatura è molto densa e ricca. D’altronde potevamo aspettarcelo da David Webb Peoples, già autore degli script di “Blade Runner” e “Gli spietati”.
Senza dimenticare l’ennesima regia visionaria di Terry Gilliam che, dopo “Brazil” e “La leggenda del re pescatore”, firma un altro film riuscito e perfettamente in linea con il suo inconfondibile tocco. Eppure l’uscita del film fu limitata a poche sale. La Universal aveva tremendamente paura e chiese ripetutamente a Gilliam di cambiare qualcosa. C’era il rischio che la gente non comprendesse la storia e soprattutto il film andava contro il sistema (come si può capire qui). Ma il buon Terry riuscì nell’impresa di difendere la sua opera e la gente andò a vedere il film tanto da raggranellare un totale mondiale di 168.840.000 dollari (il film era costato 29 milioni).
I temi che tornano più frequentemente sono quelli della pazzia, della visione pessimistica del futuro e dei comportamenti dell’uomo in generale. Sul primo tema risulta interessantissimo il discorso della relatività della pazzia fatto da Jeffrey durante una scena nel manicomio, da sentire e risentire per coglierne ogni minimo particolare (“Vedi la televisione? E’ tutta lì la questione, tutta lì la questione. Guarda, ascolta, inginocchiati, prega! La pubblicità! Non produciamo più niente, non serviamo più a niente, tutto automatizzato: che cazzo ci stiamo a fare allora?”).
Gilliam si sbizzarrisce con gli amati salti temporali (“I Banditi del Tempo”, ma anche i flash della memoria de “La Leggenda del Re Pescatore”), i movimenti fluidi della macchina da presa, le scenografie più immaginifiche, i simbolismi animali (il leone in cima al grattacielo), creando un mix magico di reale e surreale mentre infila numerose critiche al Sistema sul consumismo, la televisione, l’automazione, l’avvelenamento della Natura – l’unica a meritare di essere salvata insieme alla musica).
Alla fine, però, a intrigare veramente è quella sua vena anarchica nell’apologo sulla labilità del confine fra pazzi e sani di mente (“gli psichiatri, che riescono a rendere folle anche chi non lo è”): il suo protagonista non è certo l’eroe classico, è nevrotico, tanto che, per gran parte del film, aleggia l’inquietante dubbio che tutto sia solo la soggettiva della sua mente malata. Anche se alla fine emerge una cosa sicura, pur constatando che nella vita “non c’è mai certezza di niente”: “il genere umano è veramente una razza in via di estinzione”. A vedere ciò che accade nel mondo è difficile dargli torto.
Regia ****1/2 Interpretazioni **** Musiche **** Sceneggiatura ****1/2 Fotografia ****
L’ESERCITO DELLE 12 SCIMMIE ****1/2
Titolo Originale: 12 Monkeys
(USA 1995)
Genere: Fantascienza/Azione/Thriller
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: David Webb Peoples
Fotografia: Roger Pratt
Cast: Bruce Willis, Madeleine Stowe, Brad Pitt, Christopher Plummer
Durata: 2h e 9 minuti
Prodotto e distribuito da Universal
Trailer italiano qui
Budget: 29 milioni di dollari
La frase: «Cole è stato inviato da un altro mondo nel nostro e lui si ritrova di fronte alla confusione in cui viviamo, che molte persone in qualche modo accettano come normale. In questo modo a lui appare anomalo, e ciò che sta accadendo intorno a lui sembra casuale e bizzarro. È lui a essere matto o lo siamo noi tutti?»
Immagine da www.mondofox.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.