Quanti uomini hanno desiderato lasciare qualcosa ai posteri, affinché la propria vita non sia stata vana? Quanti hanno desiderato finalizzare una vita di lavoro con un messaggio preciso, coerente e concreto alle generazioni future?
Se si pensa a quanto svolto da Marchionne come Amministratore delegato prima della FIAT e poi del Gruppo FCA si ha uno spaccato preciso di quanto ogni uomo di potere abbia sempre desiderato dalla vita sin dall’alba dei tempi.
Quello che emerge dal ritratto de L’Era Marchionne di Maria Elena Scandaliato, Mimesis, 2018 è proprio l’immagine di un leader attratto dal potere a tal punto da poter fare qualsiasi cosa pur di salvare l’organizzazione che lo aveva consegnato alla Storia. In un certo senso, se si ragiona dal punto di vista eterno della Storia, quell’organizzazione che prese in mano il primo giugno 2004, dopo un anno di rodaggio nel Consiglio di Amministrazione FIAT, non esiste più. E il merito della sua inesistenza è da affidare totalmente al Manager italo-canadese che prese l’impresa degli Agnelli agli inizi del nuovo Millennio e la traghettò nell’oceano della globalizzazione anomica, in cui il ricatto salariale è il gioco più facile e al salariato non resta che soccombere senza nemmeno un anelito di lotta. Perché è precisamente a questo che abbiamo dovuto assistere durante la mitizzazione di questo Manager che avrebbe “salvato FIAT e lavoratori senza chiedere un soldo allo Stato”.
La beatificazione e santificazione avvenute in seguito al decesso, sempre dal punto di vista storico, rispecchiano piuttosto il nonsenso e il delirio della postmodernità che i reali meriti di un amministratore. La realtà fattuale della sua opera purtroppo è fatta di macelleria sociale e parassitismo delle risorse pubbliche di altri Stati. Infatti, lo Stato italiano era ormai prosciugato da decenni di politiche economiche pubbliche espansive di cui la FIAT aveva saputo fare incetta. Nella nuova fase neoliberista austeritaria la vecchia FIAT non avrebbe più avuto futuro. Fu allora che Marchionne intervenne con una vera e propria “Rivoluzione culturale” per il padronato in questo Paese, mostrando a tutti che la lotta di classe era viva più che mai e che i padroni non avrebbero rinunciato a schiacciare sotto al proprio tallone gli operai nel sacro nome del profitto. In pochi mesi Marchionne dimostrò all’intera classe padronale italiana che era possibile stracciare le relazioni industriali nazionali: FIAT uscì da Confindustria non prima di aver cacciato la FIOM fuori dalle fabbriche, azzerando la democrazia interna all’azienda. L’imposizione agli operai delle condizioni dettate dal capitale dell’azienda fu possibile grazie a questo quadro di anomia che consentì a Marchionne di scagliare l’arma più potente, cioè la Globalizzazione, contro i salari degli operai. La minaccia che venne consentita verso gli operai annientò la democrazia in fabbrica: “o accettate, o sposto la produzione in Polonia”. Come ammoniva Bobbio già negli anni Settanta, se si lascia morire la democrazia all’interno dei cancelli di fabbrica presto morirà anche fuori. In un certo senso è l’epilogo che stiamo vivendo, poiché alla Globalizzazione anomica che minaccia con la sottrazione del lavoro al fine di ottenere ribassi salariali e minori diritti non sappiamo rispondere.
Marchionne riuscì nelle sue operazioni con lucidità ineguagliata proprio per la sua chiarezza mentale sui problemi dettati dal mercato capitalistico nel suo settore produttivo. È sempre stato conscio del problema della «sovrapproduzione, ovvero l’impossibilità, per mercati come quello europeo e americano, di assorbire tutte le automobili necessarie ai costruttori per restare in gioco, per continuare a generare profitto»(1), sapeva bene che la concorrenza spietata avrebbe tagliato fuori i soggetti con minor capitale e la competizione sfrenata diventò la sua ossessione com’è per ogni buon capitalista che si rispetti. «Non c’è abbastanza spazio per tutti» era il suo monito, la sua previsione era perentoria: «dopo la crisi sopravviveranno solo sei grandi gruppi: uno statunitense, uno tedesco, uno franco-giapponese con possibile ramificazione in USA, uno in Giappone, uno in Cina e infine resterebbe spazio per un altro soggetto europeo»(2). Per fare questo occorreva triplicare la produzione annientando i costi di produzione, introducendo automazione e metodi di lean production. Il costo di tali investimenti sarebbe divenuto sostenibile al prezzo di fusioni spregiudicate con altri produttori, che un marxista definirebbe “centralizzazione dei capitali”, tali da snaturare la natura stessa del soggetto, che infatti di europeo mantenne ben poco oltre alla sede legale (rigorosamente all’interno di un paradiso fiscale).
La produzione passò così dai 2 milioni di autoveicoli ai 6 milioni, ma che dietro alla maggior competitività vi fosse solo finanziarizzazione e riduzione del costo del lavoro tramite la leva salariale concessa dalla delocalizzazione lo avevano capito tutti tranne i sindacati che continuavano a patteggiare accordi capestro: contratti aziendali con il potere di derogare alla legge, con tanto di efficacia retroattiva per blindare gli accordi di Pomigliano e Mirafiori conferendo capacità di sfondamento negli altri stabilimenti. Persino la FIOM non sembra salvarsi dal resoconto della Scandaliato, avendo accettato la sottoposizione a referendum degli accordi che estendono a tutto il gruppo FIAT il modello di Pomigliano e Mirafiori nonostante la palese illegittimità dei medesimi. Il presente come dicevamo è l’epilogo sognato dal manager italo-canadese che traghetto la FIAT nel nuovo secolo.
Il nuovo Amministratore Delegato di FCA Group è Mike Manley che si è occupato della conversione dello storico marchio americano Jeep nel mondo dei SUV. I lavoratori dell’automotive italiana davanti a loro hanno una nuova crisi globale che avanza e l’ultimo piano annunciato da Sergio Marchionne prima di morire: l’ennesimo lungo elenco di modelli, di cui ad oggi è stata confermata solamente la 500 elettrica nel 2020 e la Jeep Renegade plug-in hybrid e auto di lusso.
Note
- L’Era Marchionne. Dalla crisi all’americanizzazione della FIAT, Mimesis, Milano, 2018, p. 57.
- Ivi, p. 58.
Immagine di copertina liberamente ripresa da it.wikipedia.org
Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.