Alla fine di una settimana intensa e caotica di votazioni il Parlamento ha ri-eletto Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Se questa rielezione da una parte mantiene lo status quo dall’altra mostra la debolezza di alcuni partiti, rivelando tensioni ed alleanze incerte. La politica ne esce quindi un po’ malconcia, alle soglie di diverse politiche, economiche e sociali che stanno arrivando… Di questo ne parliamo a più mani questa settimana.
Leonardo Croatto
L’elezione del Presidente della Repubblica misura la capacità delle soggettività politiche (individuali e collettive) presenti in parlamento di svolgere pienamente il loro compito: rappresentare l’interesse di una parte all’interno di un percorso che deve concludersi con una scelta il più possibile soddisfacente la maggioranza.
La capacità di realizzare mediazioni tra posizioni in partenza distanti è un’abilità che, in altre epoche, era considerata requisito necessario per essere ammesso a ruoli politici di rilievo. Così come era necessario, per accedere a quei ruoli, la piena consapevolezza della delicatezza e dell’importanza delle azioni svolte e delle scelte prese.
La rielezione, in emergenza, di Sergio Mattarella al ruolo di Presidente della Repubblica ha dimostrato plasticamente come tutte queste caratteristiche siano assenti nel personale politico attualmente in carica.
L’incapacità di portare a termine un compito dato, ricorrendo in emergenza ad una soluzione assai impropria, in qualsiasi altro contesto professionale avrebbe messo in moto immediati meccanismi di correzione delle inefficienze. Il fatto che questo non solo non sia avvenuto, ma che si sia spacciato per un successo quello che è chiaramente un fallimento misura la situazioni critica in cui versa il nostro sistema politico, ed in particolare la perdita, da parte dei partiti politici, del loro ruolo di selezione e formazione di una classe politica minimamente adeguata.
Francesca Giambi
Mattarella è stato rieletto, si è scelta la pseudo stabilità con Draghi presidente del consiglio. Le giornate precedenti hanno dimostrato vari punti chiave:- l’incapacità dei partiti di una visione “politica” non legata a interessi personali a personalismi da talent, alla paura di finire un mandato e di ritrovarsi nelle condizioni della gente “comune”- i leader sono stati incapaci di di impedire lo squagliarsi delle loro forze… Sono stati delegittimati… Penso anche a Letta, che, apparentemente, non è stato il più perdente e alla figura abbastanza squallida di ricorrere all’astensione- la distanza sempre più incolmabile tra i paese reale ed il nostro parlamento- questa confusione porterà inevitabilmente ad un definitivo chiarimento: può esistere ancora un così debole parlamento o bisogna andare verso il presidenzialismo?
Indubbiamente chi ha perso è stato il parlamento esautorato nella sua funzione da una re-presidente del consiglio.
Ora i partiti, se vogliono dare segni di vita devono riprendere tutto, senza perdere tempo con un progetto politico chiaro e che sia vicino ai cittadini.
Dopo tutto questo scempio, nomi buttati lì e divorati nel giro di poche ora, dopo la vergognosa “compravendita”, il metodo “scoiattolo”, dopo le ripicche e le sceneggiate, come possono pensare che la gente si interessi ancora alla politica? Come in queste condizioni si può pensare a riportare la gente a votare? Come parlamentari che guadagnano molto possono capire il disagio sociale, la marginalità, la povertà, il non avere diritti? E poi grazie all’insensata legge del taglio dei parlamentari, da chi sarà composto quello nuovo? Si procederà ad uno scouting, con un nuovo talent? A parte gli scherzi direi che proprio perché saranno 400 i parlamentari finalmente si dovrà scegliere donne e uomini validi, non spinti da interessi personali, ma impegnati realmente per lo stato. Basta con le liste fatte dai partiti, ora ci vuole un sistema proporzionale, con preferenze. Il cittadino dovrà decidere perché finalmente non sarà ricattabile, ma individuerà nei nomi chi è più vicino ai suoi problemi.
Sono stati giorni di dichiarazioni continue, di messaggi, di Twitter, e basta però… La politica è un’altra cosa, e non ci si inventa politici perché pensiamo, non avendo letto mai niente, di essere idonei perché abbiamo trovato notizie su internet…Nel discorso di Mattarella si è sentito tante volete la parola dignità, e proprio questo sta mancando in molti dei parlamentari. Il Presidente ha dettato quasi tutto ciò che il parlamento deve fare: combattere le disuguaglianze, lavorare sui diritti, il lavoro, le donne, i giovani, la sanità, la riforma del welfare…E ora, con questi partiti spappolati, liquefatti, cosa ci aspetta? Sicuramente, purtroppo, un maggior dominio dell’esecutivo sul Parlamento. E tutti affannosamente a cercare “il centro”. Ma di cosa parliamo? I partiti devono darsi una identità politica e culturale, devono dire come affrontare e risolvere i problemi reali. Mi sembra che non ci sia bisogno di un centro… Sono tutti già al centro, a parte Salvini e Meloni. Ma Salvini quasi sicuramente tra poco non sarà più il leader della destra, Meloni rimarrà dove sta, mentre la sinistra non esiste più… Il parlamento è “commissariato”, il popolo è commissariato, i giovani sono commissariati… È un’immagine terribile. Dobbiamo mobilitarci, perché di persone che vogliono davvero stare vicino ai problemi reali ci sono e devono uscire fuori… Non ci sono più nemmeno intellettuali di riferimento… relegati sempre di più in una nicchia. I social stanno distruggendo l’approfondimento delle tematiche, si pensa più ai like che ai contenuti. Il Movimento 5 stelle, il non-partito, è quello che sta pagando di più. Riuscirà Conte a tenere insieme le componenti? Continuerà a flirtare con Letta?
Siamo solo all’inizio di questa squallida e ridicola sceneggiata, E i nostri problemi, quelli della gente comune, quelli che non hanno privilegi, stanno aumentando. Non abbiamo bisogno di vecchie antinomie (come per esempio berlusconismo-anti berlusconismo), abbiamo bisogno di partiti che abbiano idee chiare sul paese e sull’Europa per fare progetti davvero per tutti i cittadini!
Jacopo Vannucchi
Più volte nel corso dell’elezione del Capo dello Stato è parso che la scelta fosse di fatto ridotta, nonostante il muro di fumo di alcuni partiti, a tre personalità: Casini, Draghi, Mattarella. Se quest’ultimo delineava una scelta di mantenimento istituzionale, l’alternativa Casini/Draghi indicava invece un bivio sulla direzione futura. In particolare, contro Draghi pareva essersi coagulata l’ostilità di molti parlamentari, mentre Casini, come da lui stesso rivendicato sia durante sia dopo l’elezione, sarebbe stato «la rivincita della politica sui tecnici». Questa lettura da “primato della politica” ha però due gravi falle interne.
In primo luogo, riduce la figura del politico a quella del parlamentare, mentre con tutta evidenza il curriculum di Draghi è pienamente politico. Nessun partito politico ha dato una più acuta analisi e un più propositivo programma di sviluppo di quanto fatto da Draghi nel discorso di commiato dalla BCE a ottobre 2019; non inesistenti, ma pochi, sono gli uomini politici che si siano misurati con la politica internazionale come e quanto fatto da Draghi nei suoi non sempre facili rapporti con il Ministro delle Finanze tedesco o il Segretario del Tesoro statunitense.
In secondo luogo, riducendo la figura del politico a quella del parlamentare, ossia di fatto all’eletto in liste di partito, tale lettura vorrebbe rivendicare più che il primato “della politica” il primato dei partiti. Il che sarebbe assolutamente lodevole, se i partiti fossero luogo di formazione di coscienze collettive. Purtroppo ciò non è più; dipendenti come sono dal finanziamento privato, i partiti sono veicolo di particolarismi privilegiati (interni o esterni allo Stato) e debolissimi di fronte a poteri transnazionali fuori da qualsiasi controllo popolare (e che, en passant, solo i cosiddetti “tecnici” hanno saputo imbrigliare). Ma chi ha voluto questo stato di cose? Chi ha abolito il finanziamento pubblico dei partiti? Chi ha approvato una riforma costituzionale che mutila il Parlamento e aumenta i costi delle campagne elettorale? I partiti stessi. Che i poteri nazionali siano quasi inerti di fronte a molti avversari è cosa risaputa. Che per mantenere pochi scampoli di influenza interna si tiri una riga sulle proprie responsabilità e si costruisca una propaganda contraria proprio all’unico progetto di sviluppo internazionale del potere dello Stato, diventa un po’ gretto.
Alessandro Zabban
La rielezione di Mattarella segna un’ulteriore ferita per la democrazia parlamentare italiana, già da tempo ridotta a penoso battibecco fra personalità più o meno carismatiche. La spettacolarizzazione della politica ha di fatto favorito un meccanismo di campagna elettorale permanente in cui il popolo è il mezzo con cui si mantiene o incrementa il consenso e non più il fine della politica.
Il culto della personalità che ha già investito la figura di Draghi avviluppa ora anche Mattarella, entrato anche lui nell’improbabile novero dei salvatori della Patria in uno scenario di crisi permanente e di impotenza della politica.
I partiti, che dovrebbero rappresentare la colonna portante di una democrazia parlamentare, ne sono usciti a pezzi, incapaci di mettere da parte i loro interessi egoistici per riscattare il ruolo di un Parlamento sempre più svuotato delle sue funzioni. Il risultato è una elezione di comodo, per cercare di salvare baracca e burattini, che si è concretizzata nella pavida scelta di ricorrere al Mattarella bis (dopo aver usato strumentalmente le donne solo per fare campagna elettorale). Soluzione che però i partiti, lacerati all’interno, stanno comunque pagando, perché la resa dei conti fra correnti o fazioni opposte prima o poi arriva per tutti, specie quando tutta la classe politica ha fanno l’ennesima figura penosa davanti al Paese.
Il terremoto politico è evidente ma in questo momento appare difficile ipotizzare uno stravolgimento dell’assetto partitico attuale (la disillusione popolare è persino superiore alla sfiducia nei partiti). Più facile ipotizzare che il passaggio a una nuova fase della storia repubblicana avvenga lentamente e per erosione delle istituzioni democratiche, con la scusa della “situazione di emergenza” da far gestire all’ “uomo forte” di turno.
Immagine da pixabay.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.