Giovedì scorso Salvini è calato a Bologna per iniziare la campagna elettorale in vista delle regionali a gennaio. In risposta al raduno leghista, un’iniziativa lanciata su Facebook da quattro giovani cittadini ha ottenuto il risultato di portare dodicimila persone in Piazza Maggiore per testimoniare l’opposizione alle politiche salviniane di ultradestra. La manifestazione, rigorosamente senza alcun simbolo di partito, è stata poi con successo replicata a Modena lunedì.
Come interpretare questa mobilitazione? Quali indicazioni può fornire alla sinistra in termini di analisi e di azione politica? Su questi e su altri aspetti si interrogano questa settimana le nostre Mani.
Leonardo Croatto
Praticamente dal primo giorno di lavoro sono stato iscritto alla CGIL, più o meno dallo stesso periodo ho la tessera dell’ANPI, da anni sono pure iscritto al PRC. Ognuna di queste bandiere rappresenta l’appartenenza ad una comunità di persone che condivide una lettura della contemporaneità, un progetto per il futuro e un percorso da fare insieme per svilppare questo progetto.
Ho sempre avuto la possibilità di dare un contributo critico alla vita di questi soggetti, spesso scontrandomi con gli altri compagni di strada, ma riconoscendomi sempre, anche quando non condividevo alcune scelte strategiche o tattiche, nei valori e nel progetto. Mi sono sempre assunto la responsabilità delle scelte fatte dal collettivo di cui faccio parte, anche quando in disaccordo con la maggioranza.
La mia storia politica mi ha portato ad incrociare altre comunità con cui ho sviluppato lavoro politico assieme, e ne ho sempre rispettato, pur non condividendole pienamente, le scelte.
Per questo motivo nutro molto sospetto per le piazze che si vantano di essere “senza bandiere”. In politica, non avere una bandiera significa non avere un volto riconoscibile, non dover render conto delle proprie scelte, mascherare le proprie azioni, non dichiarare le proprie intenzioni.
Nel pieno rispetto di tutti quelli che erano in piazza con le Sardine, e consapevole dell’importanza di un gesto così forte in questo momento così disgraziato per questo paese, quando io e le comunità a cui appartengo scendiamo in piazza, di noi si sa chi siamo, come la pensiamo, da dove veniamo, dove vogliamo andare, come ci vogliamo arrivare. Tutto è trasparente e dichiarato, nelle piazza in cui si partecipa con le bandiere, mentre nelle piazze senza bandiere tutto questo è nascosto.
Per questo mi piacerebbe che le persone scese in piazza con, ehm, una sardina come bandiera avessero il coraggio di disvelare il loro progetto politico, di offrirlo al dibattito, e, perché no, anche di sfidare gli altri progetti in campo.
Vorrei capire se quella piazza che anche molti miei attuali compagni di strada hanno contribuito a riempire mi è ospitale o ostile, se il progetto delle comunità di cui sono parte è compatibile o incompatibile.
Senza badiere, in politica, tutto è immediato, tutto è funzionale al momento presente, tutto è trasformabile col passare del tempo per adattarsi ai momenti futuri senza dover rendere conto delle mutazioni.
Il conflitto è una dimensione sacrosanta, in politica, ma il conflitto è infantile e velleitario senza un progetto alternativo allo stato delle cose presenti. Per questo spero davvero che da quelle piazze esca qualcosa di più di un evento puntuale, limitato nello spazio e nel tempo.
Piergiorgio Desantis
Le oltre diecimila sardine che hanno riempito Piazza Maggiore a Bologna in risposta alla convention leghista al Paladozza sono una bella e insperata novità nella difficile congiuntura politica italiana. C’è un governo, composto da forze diverse, che vivono una profonda confusione e che sembra imbelle di fronte alle praterie che Salvini sta riuscendo a conquistare (l’ascesa nelle percentuali di voti nei sondaggi non sembra fermarsi). Ecco perché l’autoconvocatasi piazza bolognese, luogo libero di incontro e di esercizio di democrazia, contro il palazzetto sportivo leghista al chiuso è anche la rappresentazione plastica di due visioni opposte di concepire la politica.
Nonostante ciò, questo movimento antileghista è stato subito accusato di essere antipartito; chi lo afferma, oltre a non capire che qualsiasi manifestazione di opposizione alle destre è da accogliere con favore, sembra ignorare le grandi difficoltà per chiunque si approcci alle realtà organizzate in forma partito. Si misurano, a tratti in modo imbarazzante, le difficoltà e le inadeguatezze di tutti i partiti di sinistra nell’analisi della realtà e nella proposta politica. Pertanto è evidente che ogni movimento che sorge non può che cercare di smarcarsi da ogni copertura partitica di sorta (e, ahimè, in questa fase fa bene). Purtuttavia, è sempre da tenere a mente la celeberrima battuta di Nenni “piazze piene, urne vuote” prima da farsi prendere da facile entusiasmo. Nessuna scorciatoia può favorire la disarticolazione e la sconfitta delle destre, ma solo un lungo lavoro di riflessione e di analisi unitamente al presidio e all’esercizio del conflitto sociale e politico restano, anche oggi, l’origine e la rigenerazione della sinistra in Italia.
Dmitrij Palagi
Bene qualsiasi reazione all’onda reazionaria che attraversa il Paese. Però davvero è stancante, dopo tanti anni, vedere la politica e il suo gruppo dirigente, accorrere all’ennesima estemporanea manifestazione con un minimo di partecipazione, quasi fosse una zattera su cui edificare una nuova credibilità. I progetti devono essere in grado di dialogare con il mutare del tempo, non possono appaltare all’esterno compiti da adempiere autonomamente. La risposta di piazza che anticipa la sperata rivalsa del centrosinistra sulle destre non è davvero una novità.
L’antiberlusconismo ha accompagnato l’Italia tra la fine del XX secolo e il nuovo millennio. Non è bastato. Si tende a voler ripetere schemi già visti. Il Partito Democratico e Italia Viva vogliono contendersi un’area definita, mentre alla loro sinistra ci si limita a evidenziare che manca qualcosa.
Bene quindi qualsiasi piazza delle Sardine, anche per smontare la retorica del popolo che starebbe da una parte sola. Però è imbarazzante vedere il ripetersi di storie già viste, specialmente quando la finalità è già chiara. Impropriamente mi vengono in mente Se non ora quando e Non una di meno. La prima realtà è stata di fatto organica al centrosinistra ed è sparita. La seconda resiste, ma davvero contiene al suo interno istanze diverse, tenendosi ben lontana da una traduzione concretizzabile all’interno del momento elettorale. Una politica che assiste ai movimenti di piazza, o nascondendosi cerca di favorirli, è davvero distante da quello di cui abbiamo bisogno. Bene comunque che una testimonianza di opposizione alle destre prenda concretezza visiva e di partecipazione.
Jacopo Vannucchi
La mobilitazione di migliaia di cittadini per respingere l’assalto della destra all’Emilia-Romagna è senza dubbio una buona notizia. Del resto la campagna elettorale è appena iniziata e, promettendo essa di essere molto combattuta e con il centrosinistra che ancora mantiene un radicamento locale, non dubito che simili piazze si ripresenteranno anche sotto le bandiere di partito – o, meglio, di Bonaccini.
La distinzione non è peregrina. Il mese scorso il Presidente regionale ha dichiarato la volontà di costruire «una coalizione robusta, larga e civica». È giunto il tempo di interrogarsi seriamente su questi riferimenti che un decennio fa, quando consistevano nel «nuovo civismo» e nella «forza politica […] capace di aggregare forze politiche e civiche» di bersaniana memoria, potevano ancora essere derubricate a statistiche aberrazioni di percorso. Quando in Umbria si sceglie un “patto civico” e in Calabria un “candidato civico” il riferimento al civismo apolitico assume i nitidi contorni di un’opzione strategica.
Le analisi del voto europeo mostrano come anche in Emilia-Romagna si manifesti quella divisione città/campagna che costituisce oggi uno dei massimi spartiacque politici nazionali (leggi qui). Questo riorientamento, se porta il centrosinistra a primeggiare in territori un tempo considerati fortini inespugnabili (caso celebre: Milano), rischia di essere traumatico per lo smottamento di consensi, dopo oltre un secolo, nelle zone rurali delle regioni rosse. Questo smottamento è dovuto alle ragioni opposte che avevano consentito di costruire un forte consenso, ossia il legame intessuto dal Pci con il “ceto medio”: «i migliori nostri successi elettorali […] sono stati raggiunti proprio in quelle zone dove abbiamo maggior numero di aderenti e di simpatizzanti tra i ceti medi delle campagne» (cfr. Palmiro Togliatti, “Ceto medio ed Emilia rossa”, conferenza tenuta al Teatro municipale di Reggio Emilia il 24 settembre 1946).
L’allontanarsi di questo ceto medio dal centrosinistra negli ultimi anni appare dovuto prevalentemente alla crescente divergenza riguardo le politiche di globalizzazione e di integrazione dei mercati (es. direttiva Bolkestein). La frenata nelle prospettive di potere d’acquisto e di occupazione per questo ceto medio ha generato tra le altre cose pulsioni nostalgiche che Salvini non manca mai di cogliere con i continui riferimenti all’Italia delle tradizioni popolari, delle sagre, dei valori campagnoli, eccetera. In questo senso il “civismo costituzionale” proposto dal centrosinistra sembra stare al tradizionalismo salviniano come il “patriottismo costituzionale” di Fassina starebbe al nazionalismo sovranista.
In entrambi i casi io dubito che le masse che si fanno trascinare da correnti aggressive e reazionarie possano essere ricondotte all’ovile predicando il valore delle virtù civiche e patriottiche. Non per niente il movimento civico è molto più forte in città, tra i ceti medi più istruiti e con maggiore capitale relazionale.
E anche su questo aspetto credo si dovrebbe imparare, dopo i vent’anni di lotta al berlusconismo, che un’opposizione puramente morale, e non politica, finisce col produrre autentici mostri. I girotondi e il “Popolo viola” sono stati i semi di una sprezzante sfiducia nei confronti prima della dirigenza del centrosinistra, poi del centrosinistra nel suo insieme, poi dell’intero sistema politico; sfiducia che, partendo inizialmente da eburnee posizioni azioniste negli alti gruppi intellettuali, hanno poi finito per contagiare non pochi settori sociali di riferimento della sinistra. Il risultato è stato infatti dapprima il movimento qualunquista, e a tratti apertamente hitleriano, del M5S, e poi per suo tramite il drenaggio di elettori “di sinistra” da questo al nuovo blocco storico reazionario a guida leghista.
La piazza delle sardine indica certamente una Luna, ossia la ricostituzione di un nuovo blocco storico democratico (Renzi ci aveva provato col Partito della Nazione, ma non andò bene a molte sardine di oggi). Un compito per il quale le piazze senza bandiere, con le quali sono necessari il confronto e l’intesa, non potranno essere sufficienti.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.