L’attentato al presidente Maduro e la situazione in Sud America
Il 4 agosto una serie di esplosivi trasportati da droni ha preso di mira il Presidente venezuelano Maduro, che presenziava ad una parata militare a Caracas. L’attentato ha ferito sette persone ma lasciato illeso l’inquilino di Miraflores, che lo ha subito attribuito a una connessione tra l’estrema destra interna e una cospirazione basata a Miami e a Bogotá, dove riceverebbe l’appoggio del Presidente colombiano (uscente) Juan Manuel Santos. Una rivendicazione è giunta successivamente dai “Soldados de franelas”, i cui toni e argomenti richiamano quelli delle mobilitazioni di piazza della destra venezuelana.
Lo stesso giorno, il Partito dei Lavoratori brasiliano ha ufficialmente nominato Lula, in carcere dal 7 aprile, come candidato alla Presidenza per le elezioni di ottobre.
In testa in tutti i sondaggi ma incandidabile secondo la legge, Lula sarà probabilmente sostituito dal suo vice, l’ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, che dovrebbe contendere al socialdemocratico Geraldo Alckmin e a Marina Silva il ballottaggio con il candidato fascio-militarista Bolsonaro.
Piergiorgio Desantis
Al governo Maduro, legittimamente e democraticamente eletto, non può che andare l’amicizia e la solidarietà da parte di tutti i sinceri democratici e progressisti nel mondo, dopo l’attentato di sabato scorso.
L’attacco è stato rivendicato su Twitter da un gruppo soprannominato “El movimento nacional soldados de Franelas (MNSF)” nato nel 2014 con l’obiettivo di riunire a sé tutti i gruppi di resistenza nazionale venezuelani che hanno l’obiettivo di abbattere il governo venezuelano.
Sin da subito tutti i media mainstream hanno tenuto a far emergere dubbi circa l’autenticità del gruppo arrivando, sfiorando il paradossale, a sostenere che è stata opera dello stesso Maduro per puntellare il governo stesso di fronte alle difficoltà economiche (che pure ci sono).
Dalla visione dei video, invece, pare accertato l’utilizzo di droni per compiere questo tentativo, sicché il progetto pare opera di un gruppo ben organizzato, inaugurando, in tal modo, la tecnica del colpo di stato attraverso questo tipo di innovazione tecnologica.
È in atto, come già avvenuto in Brasile con Lula, il tentativo di ripristinare in America Latina governi esplicitamente in consonanza con gli interessi Usa in politica estera e liberisti quanto a politica economica.
In ciò si manifestano da un lato le difficoltà Usa a tenere a bada gli stati geograficamente più vicini, dall’altra le attuali difficoltà del nuovo corso inaugurato dallo Chavez in Venezuela e Lula in Brasile di lasciar aperta una grande speranza a quello che è stato soprannominato il Socialismo del XXI secolo.
Mentre in Italia il dibattito sugli hacker e le fake news ha ormai del surreale, la notizia dell’attentato al Presidente Maduro è passata totalmente sottotraccia.
Non parliamo della solidarietà al Presidente scampato alla morte, praticamente assente in Occidente.
Laddove la notizia è emersa i commenti che la accompagnavano erano degni delle veline di regime, riportando tra le righe l’ipotesi di un attentato auto-organizzato per giustificare la repressione.
Il Venezuela d’altra parte è dal lato sbagliato dell’impero, ossia in opposizione costruttiva all’imperialismo americano.
L’attacco di droni con esplosivi diretti contro il palco in cui si trovava Maduro per assistere ad una parata era preparato da mesi ed è stato condotto nelle stesse modalità con cui viene condotta la neoguerra imperialista in Medio Oriente.
Insomma, gli Stati Uniti dopo avere tentato tutte le strade per rovesciare il governo legittimo venezuelano, ora tentano la strada dell’attacco diretto con dispositivi comandati a distanza in linea con la più rigorosa metodologia della guerra al terrorismo di stampo imperialista.
Non a caso ci stanno già raccontando che il tentativo di rovesciare un governo democraticamente eletto con simili strumenti, anche se utilizzati da stretti alleati degli Stati Uniti, come la Colombia, è funzionale allo sviluppo democratico.
Noi però sappiamo che in nome della democrazia l’imperialismo ha promosso golpe, incarcerato Lula in America Latina e giustiziato Milosevic, Saddam e Gheddafi.
Purtroppo l’elezione di un Governo non è sufficientemente democratica per l’Occidente che spesso preferisce le giunte militari al posto dei politici passati per l’arena democratica.
La scarsa solidarietà giunta al Presidente Maduro da parte della comunità internazionale è sintomo di questo neocolonialismo diffuso per cui il centro dell’impero continua a rivendicare il dominio sulle periferie che rivendicano la propria indipendenza.
Lula il buono. Maduro il cattivo.
La politica internazionale, dal punto di vista del piano istituzionale, pare essersi davvero avvicinata incredibilmente alla logica dei social. Il silenzio attorno all’attentato venezuelano è ancora più forte se paragonato alla pur timida solidarietà attorno all’ex presidente brasiliano.
Certo, una persona “al potere” ispira meno simpatia di una in carcere. Da un punto di vista umano difficile non comprendere. Poi però dovrebbe venire l’alfabetizzazione della prassi. Per cui a un capo di governo scampato alla morte si dovrebbe dare solidarietà.
La destabilizzazione del continente è evidente a chiunque, con un enorme problema di consolidamento e cambi generazionali nei Paesi membri del “giro a sinistra” dell’area. Il multipolarismo non sta regalando quella tranquilla eclissi del potere a stelle e strisce, ma una crisi globale in cui sembra difficile scorgere un equilibrio tra il sistema economico capitalista e un campo alternativo. Troppo complessa la realtà cinese per pretendere da lei qualcosa.
Ci vorrebbe un ruolo progressista europeo. Ma servirebbe una sinistra all’altezza, che invece latita nel campo socialista come in quello alla sua sinistra. Rischiamo di vedere solidarizzare solo quelli che poco possono.
La soluzione? Al solito, ricostruire rapporti di forza in tutte le società, ritessere quel filo internazionalista di cui rimane ancora un faro acceso a Cuba (per quanto?).
Lo Washington Office on Latin America, mentre ha negato che l’attentato di Caracas potesse essere stato in realtà ordito dallo stesso governo, ha rilevato che le sue conseguenze saranno in ogni caso le medesime: epurazioni nell’esercito e negli apparati statali, restrizioni sulle libertà civili, concentrazione del potere.
In realtà questa previsione sembra più un auspicio che consenta di intensificare la propaganda demonizzatrice contro un governo che, in questi terribili anni di crisi economica e politica, non ha mai fatto ricorso alla forza, basandosi piuttosto sul coinvolgimento popolare e sull’istituzionalizzazione del consenso. Ma, anche in tali condizioni, è davvero difficile fermarsi a guardare il comportamento del governo Maduro prescindendo dall’intero contesto, quando non più tardi di un mese fa un’inchiesta della Associated Press (non la TASS) ha rivelato che nell’estate 2017 Trump considerò ripetutamente un’invasione militare del Venezuela, sottoponendola anche all’attenzione di quattro capi di Stato sudamericani tra cui Santos. Nel suo ultimo discorso, l’11 settembre 1973, Salvador Allende disse esplicitamente che «il popolo deve difendersi, ma non sacrificarsi; non deve farsi annientare né crivellare, ma nemmeno può umiliarsi». L’unico modo per perseguire la via indicata da Allende al popolo è fortificarsi, combattere ma da una posizione che non condanni a una scontata sconfitta.
L’alternativa a Maduro, del resto, è resa molto chiara, più ancora che dal ricordo dei regimi militari di ormai una o due generazioni fa, da quanto accade in Brasile. Qui il prepotente avvicinarsi degli alti ufficiali al potere politico, in combinazione con alfieri civili di un regime militarista e di estrema destra, trova come opposizione solo il seguito popolare di Lula, che ancora raccoglie dal carcere il 30% dei consensi. Indebolito da una campagna giudiziaria condotta con motivazioni spudoratamente politiche, il PT si mantiene però nel medesimo stato del PSUV: fluctuat nec mergitur, è in balìa dei flutti ma non affonda.
La minore capacità degli Stati Uniti di dettare legge in America Latina con il pugno di ferro fa data, se non dalla fine della guerra fredda, almeno dall’amministrazione Bush junior.
Le gravi violazioni dei diritti umani in Sudamerica sono state rese meno giustificabili prima dal venir meno del nemico sovietico e poi, positivamente, dalla crescita di un movimento di nuova globalizzazione che ispirò le vittorie, tra gli altri, di Chávez, Correa, Vázquez e dello stesso Lula. Per mero paradosso la crisi economica mondiale, pur non avendo arrestate le spinte globaliste del mercato, ha fatto sorgere in molti Paesi del mondo un riflusso nazionalista e protezionista. Soltanto promuovendo un nuovo tipo di globalizzazione, invece, si potranno efficacemente risolvere le gravi sfide dell’umanità e promuovere lo sviluppo nell’equità.
La vittoria di López Obrador in Messico è la testimonianza che questo fermento non è affatto estinto.
L’attentato a Maduro testimonia la fortissima motivazione di paesi come Colombia e Stati Uniti di sbarazzarsi di una presenza scomoda e ingombrante per i loro affari e interessi geopolitici.
L’alternativa politica, culturale, morale rappresentata dalla Rivoluzione Bolivariana continua a destare preoccupazione a chi vorrebbe vedere i principi di mercato inglobare ogni aspetto della realtà sociale e ogni angolo del pianeta.
D’altro canto però l’attentato è anche il sintomo di un nuovo ribaltamento nei rapporti di forza all’interno del Venezuela. Dopo una fase di crisi profonda del modello socialista di Maduro, fra depressione economica e crollo nella popolarità, situazione che sembrava rendere imminente un “regime change” nel paese, grazie al supporto esterno, sembra che ora il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) sia riuscito non solo a ristabilire l’ordine ma anche a indebolire e dividere l’opposizione grazie a una accorta politica fondata su una difesa paziente e lungimirante delle istituzioni senza calcare la mano contro le opposizioni.
L’attentato appare dunque come un disperato tentativo di rimediare vigliaccamente all’incapacità dell’opposizione venezuelana di abbattere Maduro puntando sul consenso popolare e sulla crisi economica (che loro stessi hanno contribuito ad alimentare).
Ciò non significa che il Socialismo in Venezuela sia al sicuro o in fase di rafforzamento, ma solo che sembra aver superato una delle sue crisi più gravi. Nel medio termine però la Rivoluzione Bolivariana potrà sopravvivere solo risolvendo la crisi economica (rafforzando il controllo statale dell’economia e indebolendo la borghesia golpista interna) e sperando che la situazione internazionale risulti più amichevole.
Anche per questo le prossime elezioni presidenziali in Brasile risultano fondamentali. Accerchiato, il Venezuela non può resistere a lungo.
Immagine di copertina liberamente ripresa da commons.wikimedia.org
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