Durante il primo week end di febbraio “L’Italia che resiste” ha portato in piazza una catena umana che, idealmente, ha unito quanti non si riconoscono nelle recenti scelte politiche del nostro paese. Da Nord a Sud persone singole ed associazioni si sono date appuntamento nelle piazze per dire no alle politiche dei respingimenti, per dire no ad ergere un muro davanti a chi non ha via di uscita da una situazione incompatibile con la vita stessa (e con la dignità umana) se non quella di prendere la via del mare, sperando di trovare accoglienza e speranza di un futuro migliore in un paese diverso dal proprio.
Ma purtroppo oggigiorno l’Italia non esaudisce questo sogno: nessuna accoglienza, ma un paese che li condanna a restare ancora in mare, impedendogli di attraccare verso quella salvezza tante volte vagheggiata durante la terribile traversata.
Ma c’è un’altra Italia, un paese solidale, che non ha paura dello straniero, ma che è pronta ad accoglierlo, ad abbracciarlo. Ed è proprio questo che le piazze del 2 febbraio hanno mostrato al mondo. Nonostante le scelte del governo italiano siano di stampo opposto all’accoglienza e alla tolleranza c’è un paese diverso, che cerca di battere un colpo e dimostrare di non essersi perso per strada, ma di contare qualcosa, almeno dal punto di vista ideologico.
Ma non possiamo nasconderci dietro un dito: se attualmente il governo italiano è quello che ahimé stiamo imparando a conoscere, i grandi numeri non stanno nelle piazze, o comunque non è riuscito il “travaso” dalla piazza alla cabina elettorale. Quindi è necessario chiedersi perché, e soprattutto sarebbe indispensabile trovare un rimedio.
Iniziamo col dire che un governo non ha l’onere soltanto di scendere in piazza, sia detto ovviamente con profondo rispetto di chi ha manifestato. E, purtroppo, qua sta l’inghippo: se è relativamente facile trascinare le persone a manifestare per qualche ora, è molto più complicato ottenere lo stesso risultato al momento “istituzionale” delle elezioni durante le quali, bisogna ricordarlo, non si vota su una sola questione, sia questa l’immigrazione o un qualsiasi altro argomento.
La prova provata di quanto detto sopra la si ha in occasione dei referendum, dove si è visto come persone con idee politiche anche diverse le une dalle altre si trovano a votare dalla stessa parte. Ma, quegli stessi elettori, mai si sognerebbero di votare lo stesso candidato alle politiche! E questo ragionamento vale ovviamente anche per il popolo resistente del 2 febbraio: non è infatti vero che chiunque la pensi alla stessa maniera sull’immigrazione sia destinato a essere concorde anche in materia di istruzione o economia. Ognuno ha la propria testa e la propria esperienza di vita, altrimenti le cose sarebbero troppo facili!
Per questo siamo destinati a fare una profezia degna di una moderna Cassandra e asserire che l’Italia è destinata a un futuro di governi razzisti: non soltanto perché l’Italiano “moderno” ha fatto sua la citazione deandreiana “il dolore degli altri è dolore a metà” (a voler essere larghi!), ma anche perché, dall’altra parte, c’è la volontà di spaccare il capello in quattro.
Infatti l’italica popolazione sembra sempre più miope di fronte alle sofferenze altrui, nascondendosi dietro lo slogan “abbiamo già i nostri problemi”. E guai a suggerire di risolvere quelli di entrambi, magari attingendo dalle forze e capacità di persone sicuramente abituate a doversi togliere le castagne dal fuoco. Assolutamente: il Governo deve risolvere solo i problemi degli Italiani. Lo fa? No, ma non ha importanza, intanto non deve risolvere quelli di chi non è nato nel nostro paese (ma magari ci abita da ormai decenni!). Sembra che il massimo desiderio sia non stare meglio, ma vedere l’Altro soffrire. Insomma, siamo ancora al “mors tua vita mea”.
Dall’altro lato c’è, da parte dei “politici”, l’atteggiamento di cui dicevo sopra, ovvero la volontà, più o meno consapevole, di mostrare al mondo di essere meglio, e ovviamente più a sinistra, l’uno dell’altro. Questo sia detto con volontà non eccessivamente critica: sicuramente l’intento è fare quanto di meglio sia possibile per il Paese, non sprecando l’occasione che si presenta a chi si trova al governo. Ma sarebbe auspicabile tenere fede alle proprie idee e non cedere sui principi fondanti del proprio credo, facendo però sì che questo risulti attuabile (e apprezzabile) nell’Italia degli anni Duemila.
Ovviamente non ci si augurerebbe mai e poi mai che lo slogan fosse “Chiudete i porti!”, ma anzi la sfida è far digerire alla gente l’opposto del leitmotiv salviniano. La sfida è riuscirci, e per vincerla è necessario essere sicuri di quanto stiamo dicendo, e compatti con coloro che portano il nostro stesso messaggio. Dobbiamo riuscire a risolvere eventuali dissidi dietro le quinte per poi mostrarsi alle telecamere come un popolo unico, pronto a difendere le idee in cui crede.
Solamente nel momento in cui riuscirà quello che al momento sembra un miracolo potremmo avere davvero due Italie (perché non è umanamente possibile che più di 60 milioni di persone la pensino tutti alla stessa maniera) anziché quattro o cinque, come appare adesso. E chissà, in un futuro la meglio Italia riuscirà a sconfiggere il paese divorato dall’egoismo e dal razzismo. I have a dream!
Immagine di Charly Gutmann liberamente ripresa da pixabay.com
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.