Ecco alcuni titoli di articoli rintracciabili facilmente in rete.
“Turismo: Liguria fa tutto esaurito, prenotazioni luglio al 90%. Toti, confermati segnali ripartenza avuti a Pasqua” (Ansa del 5 giugno 2022)
“Turismo, il Veneto tra boom e sete di addetti: «Hotel in guerra per strapparseli»” (Corriere del Veneto del 5 giugno 2022)
“Cavriglia, il borgo abbandonato comprato dal colosso dei resort. Chapter Hotel si aggiudica all’asta per 3,7 milioni il complesso di Fontebussi” (Corriere Fiorentino del 5 giugno 2022)
Sono solo tre risultati di una ricerca sul più diffuso motore di ricerca nei paesi europei.
Da più parti si parla, in tutta Italia, di una tendenza che mette insieme:
- flussi simili a quelli del 2019, prima della Covid-19,
- cambi in relazione alla provenienza dei flussi (più persone dagli Stati Uniti, meno dai paesi a est del vecchio continente),
- problemi di reperimento di personale per le strutture del comparto turistico-ricettivo, con polemiche sulla voglia di lavorare delle nuove generazioni e sulle condizioni delle offerte di lavoro a loro proposte.
Di questo parliamo nella nostra rubrica settimanale a più mani.
Leonardo Croatto
Come molti altri fenomeni economici e sociali, il turismo può avere dimensioni molto diverse e impatti diversi sulle comunità sulle quali isiste. La sua natura è, verrebbe da dire, assolutamente positiva: difficile associare delle caratteristiche negative all’atto di spostarsi da un paese ad un altro per aumentare le proprie conoscenze. Nella consapevolezza di una certa dose di banalizzazione, si potrebbe facilmente affermare che i problemi nascono quando da semplice fenomeno culturale e relazionale il turismo diventa strumento dell’economia, ed in particolare dell’economia capitalista.
E’ del tutto evidente che quello che accade nelle città a forte interesse turistico è l’attivarsi di una dinamica ferocemente estrattiva per cui l’attrattività culturale diventa risorse da mettere a reddito, massimizzando il profitto che se ne può trarre e minimizzando i costi delle operazioni e delle tecnologie di estrazione.
Le dinamiche che si innestano su questo settore produttivo, una volta privato della sua specificità di atto relazionale e culturale, sono le stesse di qualsiasi altra attività economica ad alto impatto sul territorio: depauperamento delle risorse e alterazione dell’ambiente.
Dove la risorsa è disponibile in abbondanza ed è estraibile con poca spesa, non è raro che l’intero territorio abbandoni qualsiasi altra vocazione produttiva per trasformarsi in monocultura, esponendosi ai rischi storicamente noti: nel momento di crisi di produzione, non c’è alcun altra attività rimasta che può compensare le perdite.
La soluzione, in un paese ad economia avanzata e ben organizzato, dovrebbe essere una corretta pianificazione delle attività produttive in modo da favorire la differenziazione, evitare l’eccessivo consumo e tutelare l’ambiente. Esattamente l’opposto di quello che è accaduto dopo la pandemia: le amministrazioni delle città, private della loro unica fonte di reddito per due anni e senza alcuna alternativa economica, hanno ritenuto che, per compensare le perdite, l’idea migliore fosse quella di spingere ancora di più sul turismo. La rendita di posizione è diventata la risorsa di intere comunità, bloccando, nella logica dell’emergenza permanente, qualsiasi programmazione volta al doppio fine di migliorare la qualità della vita salvaguardando il territorio dall’eccessivo consumo e assicurare capacità di resilienza alla prossima crisi.
Dmitrij Palagi
Il turismo del XXI secolo ha delle caratteristiche specifiche: la trasformazione di Venezia e Firenze dimostra quanto sappia essere devastante sul piano dell’insostenibilità.
I dibattiti sul cosiddetto over tourism sono stati spazzati via dalla pandemia: i bilanci comunali di alcuni enti locali si sono dimostrati più fragili di altri, soprattutto sulla garanzia dei servizi essenziali (quelli che dovrebbero essere garantiti dalla fiscalità generali, non dalle tasse di soggiorno, per semplificare).
L’attuale sistema economico offre delle presunte esperienze a chi vuole pagare: per mangiare un panino c’è chi è pronto a fare code infinite, bloccando una strada in cui persino le ambulanze a sirene spiegate fanno fatica a passare (accade nel capoluogo toscano, subito dietro Palazzo Vecchio).
La cosa più sorprendente è sentire le promesse di alcune figure di governo, pronte a garantire di non voler tornare all’insostenibilità di un modello di sviluppo precedente a SARS-CoV-2.
Se non lo si è fatto quando c’era la possibilità, con i territori “vuoti”, incitando la ripresa appena possibile (addirittura si parlava di “salvare il Natale”, inteso come momento di acquisto di merci per i regali).
In alcuni casi assistiamo inoltre a un fenomeno davvero inquietante. Lo svuotamento dei borghi si traduce in occasione di profitto per grandi proprietà internazionali, pronte a trasformare parti di Italia in luoghi di lusso, esclusivi ed escludenti.
Il dramma è che nella quotidianità il turistico-ricettivo è un ricatto. O quello, o la povertà e la disoccupazione.
La politica ha il compito e il dovere di evitare questo tipo di ricatti.
Il turismo del XXI secolo è insostenibile, fa parte del problema, senza voler colpevolizzare chi ama viaggiare, ma anzi, proprio per dare importanza al confronto e alla conoscenze delle culture diverse.
Fare il tour di una grande città in 4 ore, è un modo per conoscere qualcosa di diverso e distante da dove si vive? O un’esperienze facile, da fare a favore di qualche piattaforma digitale?
Jacopo Vannucchi
«Firenze ha portato in periferia gli uffici, le università, le aziende, le fabbriche, per questo il centro è diventato fragile. Occorre ripopolarlo, riequilibrare i numeri fra turisti e residenti, e saranno le prime politiche che metterò in campo non appena l’emergenza finirà». Così il 14 marzo 2020 Dario Nardella esponeva a «La Nazione» l’insostenibilità di un’economia turbo-turistica.
Il 17 febbraio 2021, chiedendo la fiducia al Senato, anche Mario Draghi dichiarò: «alcuni modelli di crescita dovranno cambiare: ad esempio il modello di turismo […] il turismo avrà un futuro se non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di preservare l’ambiente, preservare cioè almeno non sciupare città d’arte, luoghi e tradizioni».
Quale tipo di ristrutturazione interesserà dunque il settore turistico? I principali accusati sembrano essere gli affitti brevi. La dinamica è quindi simile a quella che oppone i tassisti e il fenomeno Uber: da un lato le posizioni consolidate di antiche rendite corporative e quasi feudali, dall’altro un modello competitivo sui prezzi grazie a un enorme salto di qualità nello sfruttamento della forza-lavoro.
Già due anni fa la pandemia da Covid-19 si manifestò come la più grave e profonda crisi capitalistica dai tempi della Prima Guerra Mondiale. Durante quella guerra i governi europei imposero alle popolazioni sacrifici umani terribili, e spesso insensati: in cambio furono fatte delle promesse. In alcuni casi quelle promesse non furono rispettate: fu il caso dell’Italia, dove la mancata riforma agraria determinò dapprima un’esplosione di rivendicazioni bracciantili e poi un tremendo riflusso, sotto la violenza dello squadrismo, di un movimento che si rivelò privo di sufficiente organizzazione.
In altri casi furono rispettate le promesse più innocue: fu il caso della Gran Bretagna, in cui furono abrogate alcune discriminazioni antifemminili e concesso il voto alla maggior parte delle donne, o istituito il Ministero della Salute (senza però la sanità pubblica). Anche in quel caso, però, la principale promessa sociale fu mancata: solo metà dei cinquecentomila nuovi alloggi popolari videro la luce. Gli effetti della guerra furono pagati molto a lungo dai lavoratori: poiché la Germania pagava in carbone parte delle esose riparazioni, provocando quindi il calo del prezzo del bene, nel 1926 i minatori britannici furono costretti – nonostante accaniti scioperi – ad accettare la riduzione del salario e l’aumento delle ore di lavoro per mantenere i profitti al livello dell’anteguerra. Nel 1927 furono vietati gli scioperi di solidarietà e gli scioperi generali.
La tempesta economica non è affatto finita. L’impennata inflattiva scatenata dal brusco riassestamento dei flussi commerciali globali viene ulteriormente spinta dalla speculazione e dal terremoto geopolitico legato alla crisi delle relazioni russo-occidentali. Proprio come nel Primo Dopoguerra, tradire le aspettative di riscatto sociale potrebbe avere effetti devastanti.
Immagine di Christian Lorini da
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.