Un’altra lezione di Cinema del leggendario Clint (90 anni a maggio!), che conclude la trilogia ideale “dell’eroe per caso” iniziata con American Sniper e Sully.
Il prossimo 31 maggio compirà 90 anni. Per tutti quelli come me, cresciuti e maturati con le sue maschere e le sue ispirate regie, è come se fosse un nonno aggiunto. Al netto delle idee politiche che non sempre condivido. A quell’età però molto spesso problemi fisici o malattie prendono il sopravvento e cambiano in peggio le persone. Clint Eastwood sembra immune a tutto. È indistruttibile, un vero duro sia dal punto di vista fisico sia mentale. Come scrisse l’anno scorso Andrea Scanzi, “Clint è uno dei più grandi artisti di ogni epoca. Basteranno cinque minuti di qualsivoglia suo film, magari ripescato nei momenti di massimo sconforto, e fuori sembrerà piovere meno forte. Che è poi uno dei compiti dell’artista: far sentire meno soli coloro che ad esso si aggrappano”. Lo abbiamo scoperto noi italiani (o meglio lo ha scoperto Sergio Leone quando costava poco) quando insegnavamo in tutto il mondo come fare cinema. A novembre 2019 l’ultimo curioso episodio: il figlio Scott, noto attore, su Instagram ha postato il video di un forte incendio scoppiato negli studi Warner a Los Angeles (vedi qui). La sicurezza ha imposto a tutti di evacuare l’edificio. Tutti tranne uno: lui, il bounty killer del politicamente corretto, Clint Eastwood.
“No, noi stiamo bene, non ce ne andiamo, c’è del lavoro da finire” – ha tuonato il regista che aveva meno di un mese per consegnare il lavoro alla Warner Bros prima dell’uscita in sala (in America il film è uscito il 13 dicembre). Un uomo tutto di un pezzo, un mito, un indomito leone. Qui c’è amore per il cinema, il piacere di raccontare una storia importante e necessaria da divulgare a tutti gli americani. E questo francamente è il limite di questa pellicola perché c’è un po’ di retorica patriottica a stelle e strisce. Al netto di qualche ruffianeria americana, il film ha tanto da offrire. Anche se è stato inspiegabilmente ignorato ai prossimi Oscar (ci sarà solo Kathy Bates nella categoria miglior attrice non protagonista).
Un altro spaccato di vita reale, ispirata dall’articolo “American Nightmare: The Ballad of Richard Jewell “ di Marie Brenner per il settimanale Vanity Fair. Un altro film potente, amaro, umanissimo con il classico Clint’s touch.
Circa un anno fa, quando ho recensito “Il Corriere” (vedi qui), non avrei mai pensato di vedere un altro film così importante, lucido, sfaccettato. All’epoca di “Ore 15:17 – Assalto al treno” (vedi qui) pensavo che Clint cominciasse a perdere colpi. E invece faccio mea culpa: Eastwood è ancora vivissimo, attivissimo (media di quasi 1 film all’anno a 90 anni). Parla poco, ma quando parla è perché deve dire qualcosa di importante. Anche da regista va sul set preparato in maniera meticolosa: sceglie con cura lo staff, il cast tecnico e artistico. Pochi ciak e via.
Anche “Richard Jewell” è un’opera che ha tanto da dire. Alla fine della visione capisci che Clint ha imparato la lezione di Sergio Leone. Le sue opere, tranne rare eccezioni, sono più di un’esperienza visiva: sono come stringere in un lungo abbraccio una gran bella donna chiamata Cinema. Dopo Bradley Cooper di “American Sniper” (vedi qui) e Tom Hanks di “Sully” (vedi qui), anche qui abbiamo un eroe per caso. Un comune americano che con un atto di immenso coraggio salva la vita a diverse persone. Ma attenzione perché all’interno di questo film si possono trovare elementi di pellicole del passato in cui è tangibile l’ingiustizia: da Un mondo perfetto (capolavoro del 1993) ai due film del 2008, Changeling e Gran Torino. Senza dimenticare “Il corriere” dove un anziano era “costretto” ad arrotondare facendo il mulo per un cartello della droga invece di avere una pensione dignitosa.
Richard Jewell (Paul Walter Hauser di “Tonya” e “BlacKKKlansman”), questo è il nome del protagonista, ha una trentina di anni, è soprappeso, ha il diabete, vive con la madre (Kathy Bates) e si guadagna da vivere con lavoretti di sorveglianza. Inizialmente doveva essere Jonah Hill di “The wolf of Wall Street” ad interpretarlo, poi il ruolo è andato a Hauser. La sua missione è proteggere le persone, è un sostenitore delle leggi dello Stato ed aspira da tutta la vita di diventare un poliziotto. Clint come al solito sa fare, evidenzia, allo stesso tempo, la sua ingenuità e il suo fanatismo, ma anche la sua grande bontà.
27 luglio 1996. La fotografia di Yves Belanger (Il corriere, Dallas Buyers Club) dà quell’idea di malinconia tipica del cinema di Eastwood (in primis Mystic River, Gli Spietati). Alla scrivania della Casa Bianca c’era il democratico Bill Clinton. Ad Atlanta ci sono le Olimpiadi. Richard è in servizio all’esterno del Centennial Olympic Park. Nell’impianto gremito c’è un concerto. Richard nota uno zainetto sospetto sotto una panchina. Mentre le persone normali pensavano allo scandalo Lewinsky o agli eventi sportivi, Richard si accorge che quello zainetto aveva qualcosa di anomalo. Jewell contattò la polizia per prevenire un eventuale attentato. Lo zainetto conteneva davvero 3 ordigni pronti ad esplodere. Grazie alla sua tempestività e alla sua grande bontà d’animo, salvò la numerosa folla che usciva dal concerto. Stampa e opinione pubblica lo fecero diventare un eroe nazionale, una celebrità. Il principe azzurro mise la scarpetta a Cenerentola. Gli stava. I due si innamorarono e vissero felici e contenti nei secoli dei secoli. Amen.
Scherzavo amici. Non finisce così. Non è un film Disney.Richard Jewell aveva fatto male i conti. Aveva ingenuamente pestato i piedi a qualcuno. Il suo innato amore per l’ordine e per lo Stato gli si ritorse contro. I media e il Governo americano lo arrostirono a fuoco lento. La grandezza di Clint arriva qui: Richard Jewell da eroe diventa il ciccione bianco sfigato mammone e magari vergine, ma anche fascista per tendenze e aspirazioni. Ed ecco che viene fuori il vero dubbio per la stampa: non è che sarà pure un pericoloso omossessuale represso? Dopo tre giorni da eroe, ovvero ciò che lui aspirava a diventare, diventa nemico giurato di due poteri fortissimi: il Governo degli Stati Uniti e i media travestiti da burattini con tanto di fili. Probabilmente i due peggiori nemici possibili.
Immenso Eastwood. I temi cardine del suo cinema escono alla distanza. Come osserva giustamente Paola Casella su Mymovies lo stesso Clint “ha impiegato anni a smarcarsi dall’immagine di attore di scarso spessore e acquisire credibilità come autore cinematografico”. Il film si infiamma e va dritto al centro del bersaglio.
L’agente FBI, Tom Shaw (John Hamm), indaga su Richard e scopre la sua passione per le armi. Jewell diventa il sospettato n°1, l’orchestratore di una “baracconata” creata ad arte per prendersi onori e gloria. Ma la domanda vera che sorge è la seguente: chi aveva fatto la soffiata all’FBI? Secondo il film, è frutto di una giornalista dell’ Atlanta Journal Constitution Kathy Scruggs (Olivia Wilde, bravissima), che era andata a letto con Shaw per ottenere lo scoop. Il film non lo fa vedere, ma diciamo che lo fa capire. Questo è il difetto più vistoso della pellicola, soprattutto a livello di scrittura.
In America Eastwood è stato crocifisso e accusato di misoginia. Considerate che la vera Kathy Scruggs è morta per overdose di farmaci nel 2001. Addirittura pare che il regista e la Warner siano vicini ad essere portati in tribunale (vedi qui). L’editore ha preteso l’aggiunta di una nota per riabilitare la reputazione della Scruggs. Eastwood ancora oggi è accusato di essere un fascista reazionario, ma non lo è. Chiaramente critica l’amministrazione Clinton dell’epoca, ma se ha fatto il film oggi vuol dire che nemmeno i repubblicani hanno debellato i problemi che evidenzia. Clint ha dichiarato di aver votato Trump, ma ha sempre odiato il politically correct e anche i repubblicani spesso hanno cercato di “sabotare” i suoi film (emblematica la sua presa di posizione su Saddam e Gheddafi ai tempi di Bush vedi qui). Sarà anziano, ma il regista qui dice forte e chiaro che gli americani devono smetterla di trasformare il mondo in uno stato di polizia. Il 90enne regista americano dice di aver perso fiducia nel sistema giudiziario.
Clint spara a zero, con cognizione e sicurezza nei suoi mezzi, sul potere che non deve rovinare la vita alle persone comuni pur di far prevalere determinate logiche. Eastwood dice che le persone non sono tutte uguali: quelle che il potere privilegia, spesso, sono persone ricattabili che non ragionano con la propria testa. La critica è forte e tangibile: basta vedere come si comportano le persone nei posti chiave per rendersi conto che Clint ha perfettamente ragione. L’umanità di questo grande regista è tangibile in ogni sua opera. E’ il più grande segreto della sua longevità artistica. Ma attenzione a non fare l’errore più comune: Eastwood e Jewell non sono stessa la stessa persona. La scelta di Paul Walter Hauser è sicuramente da applausi. Dopo ruoli marginali da bianco rincoglionito in Tonya e Blackkklansman, stavolta si merita il ruolo da protagonista.
La grandezza di Clint regista si palesa ancora una volta in una scelta controcorrente: “il doppio” del regista non è Jewell, ma è sicuramente l’avvocato di Richard, Watson Bryant (un bravissimo Sam Rockwell, già visto in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”).
Clint, come quest’ultimo, è un cane sciolto, un indipendente, un vero combattente contro l’omologazione del pensiero. Anche la fotografia si è appoggiata a tale scelta: ogni inquadratura è opportunamente illuminata al centro (con tanto di flash accecanti dei media), ma ai margini c’è un po’ di oscurità, pronta a prendersi la scena. Anche nella società italiana il dilemma sembra piuttosto forte visti i comportamenti della maggioranza. In America il film non è stato capito, il pubblico è stato tiepido. In questo film emerge in tutta la sua forza un grande dubbio: meglio la verità o il modo in cui la si racconta (il famigerato storytelling)? Questa domanda posta dal film mi rievoca una celebre massima di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda nazista ai tempi di Hitler: “la verità è il nemico mortale della menzogna e, di conseguenza, la verità è il più grande nemico dello Stato. Se dici una menzogna enorme e continui a ripeterla, prima o poi il popolo ci crederà”. Oggi è più che mai attuale e sta tristemente diventando legge. Il male della Storia è che si ripete. Concordo con Andrea Scanzi: “viviamo una contemporaneità mediamente di merda, ma essere contemporanei di Springsteen, i Pink Floyd e il vecchio Clint è proprio una gran botta di culo”.
FONTI: Rolling Stone, My Movies, Cinematografo, Comingsoon.it, Best Movie
Regia ****1/2 Interpretazioni **** Sceneggiatura ***1/2 Fotografia ****
RICHARD JEWELL ****
(USA 2019)
Genere: Drammatico, Biografico
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Billy Ray, Marie Brenner
Cast: Sam Rockwell, Kathy Bates, Olivia Wilde, Paul Walter Hauser, John Hamm
Durata: 2 ore e 9 minuti
Fotografia: Yves Belanger
Prodotto e distribuito da Warner Bros
Uscita: 16 gennaio 2020
Trailer Italiano qui
1 Nomination agli Oscar 2020 per Kathy Bates per miglior attrice non protagonista
La frase: Lo accusano due delle forze più potenti del mondo: il Governo degli Stati Uniti e i media
Immagine da www.rbcasting.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.